No Time Left!

The Brooklyn Express

Daniele Cavallanti tenor sax, ney flute

Herb Robertson cornet

Steve Swell trombone, flute

Joe Fonda double bass, flute

Tiziano Tononi drums

Da sempre fieri eredi della grande “black” music dei ’60 e ’70, Tononi e Cavallanti celebrano orgogliosamente le loro radici con un nuovo grande lavoro. Registrato a Brooklyn (da qui il nome della band “The Brooklyn Express”) “NO TIME LEFT!!!” nasce dall’incontro con nuovi e vecchi amici quali personaggi storici della scena avant e impro di NY. Il trombonista Steve Swell, il bassista Joe Fonda e il trombettista Herb Robertson sono nomi che non necessitano di presentazioni per gli appassionati del genere, e il loro elenco di collaborazioni illustri è infinito (a caso: Anthony Braxton, Leo Smith, Archie Shepp, Bill Dixon, Peter Brötzmann, William Parker, Cecil Taylor, Tim Berne, Barry Altschul e così via…), come pure la loro produzione solista.

Si aggiunga anche il fattore anagrafico: tutti “born in the fifities”, i cinque hanno seguito simili percorsi di crescita artistica e professionale.

Quindi, più che mai un’affinità collettiva tipo “THIS IS OUR MUSIC” !!

Da questo spirito comune e innata empatia nasce  una musica che unisce coordinate già note a chi segue i due italiani, specialmente a livello compositivo, con una parte in varie occasioni più decisamente avventurosa e libera e completamente improvvisata, nella migliore eredità dei loro nomi tutelari.

Troviamo tributi a Ornette Coleman (a cui è dedicato tutto il disco), Bill Dixon, Gil Evans, Jim Pepper ma anche ad Andrew Cyrille (che durante la session è passato a trovare e omaggiare i suoi “figli”, Tononi tra l’altro fu suo allievo) a cui viene dedicato il titolo stesso di un lungo pezzo.

Tutto il disco trasuda passione ed onestà e si presenta come un fortissimo omaggio ad una musica immortale che ha ispirato generazioni di musicisti, e mai si è piegata ad alcuna logica commercialeThe Brooklyn Express

Daniele Cavallanti tenor sax, ney flute

Herb Robertson cornet

Steve Swell trombone, flute

Joe Fonda double bass, flute

Tiziano Tononi drums

Tononi and Cavallanti, as always proud heirs to the great “black” music of the 60’s and 70’s, they celebrate their roots with a great new work. Recorded in Brookyn (that’s where the name for the band “The Brooklyn Express” comes from) “NO TIME LEFT!!” comes from the meeting of old and new friends who were legends from the NY avant and improv scene. Trombone player Steve Swell, bassist Joe Fonda and trumpeter Herb Robertson are names that need no introduction for people passionate about the genre. Their long list of collaborations with the greats is infinite (names at random: Anthony Braxton, Leo Smith, Archie Shepp, Bill Dixon, Peter Brötzmann, William Parker, Cecil Taylor, Tim Berne, Barry Altschul, and so forth…), as are their solo productions.
Adding to this is the demographic factor: all five were “born in the fifties” and have followed similar paths of artistic and professional development.
So, more than ever there is this huge affinity, like “THIS IS OUR MUSIC” !!

From this kindred spirit and innate empathy a music is born that unites coordinates already known to those who follow these two Italians. Especially in their compositions, a portion of which is decisively adventurous, free, and completely improvised, in the best lineage of their tutors.
We find tributes to Ornette Coleman (to whom the album is dedicated), Bill Dixon, Gil Evans, Jim Pepper. There is also a tribute to Andrew Cyrille (who came by during the recording session to pay homage to his “children”. Tononi was a student of his). The title of a long piece is dedicated to Cyrille.

The whole album sweats passion and honesty and presents itself as a strong homage to an immortal music that has inspired generations of musicians, one that has never bent to commercial interests.

Flawless Dust

Garrison Fewell _ guitar, perc.

Gianni Mimmo _ soprano saxophone

Un dialogo illuminato, non solo musicale, tra Gianni Mimmo e Garrison Fewell, due menti rivolte verso un Altrove che schiude a intensi fenomeni.

Palpiti molecolari, polveri cosmiche, silenziosi bagliori, scintille umili e potentissime.

Rispetto e introspezione animano la danza delle mani intorno a strumenti capaci di nuove e luminose intersezioni.

“Flawless Dust” è un flusso d’idee, di domande e risposte, spesso sorprendenti anche per questi musicisti dal pluridecennale percorso di ricerca ed espansione.

Gentilezza e stratificazione: spiriti cortesi, aperti a un’irradiante luce.Garrison Fewell _ guitar, perc.

Gianni Mimmo _ soprano saxophone

An enlightened dialogue, not barely a musical one, between Gianni Mimmo and Garrison Fewell, two Elsewhere oriented minds driving us to intense phenomena.

Molecular heart beats, cosmic dust, silent flashes, humble and powerful sparks.

Respect and introspection liven up a dance of hands around instruments, bursting new and luminous intersections.

“Flawless Dust” is a flow of ideas, questions and answers often surprising even for these musicians with a work of tireless research that spans over decades.

Kindness and layerings: gentle spirits opened to a soul warming light

The Blessed Prince

Emanuele Parrini: Violin0

Dimitri Grechi Espinoza: Sax Alto

Giovanni Maier: Contrabbasso

Andrea Melani: Batteria

Lavoro maturo ed intensissimo, summa del pensiero musicale di Parrini, jazz dalle tinte dense e autunnali, lirico ed esplorativo, graziato da composizioni di grande impatto e scintillanti e misurati momenti solisti.

“The Blessed Prince” ci parla con un jazz orgoglioso ed austero, rigoroso e arcigno, profondamente poetico.

Parrini è leader di un quartetto di uomini a amici e musicisti che celebrano la musica come missione inevitabile di una vita e il jazz come musica evocativa che regala profonde emozioni.Emanuele Parrini: Violin

Dimitri Grechi Espinoza: Alto Sax

Giovanni Maier: Double Bass

Andrea Melani: Drums

This is a work that is mature and quite intense and is the sum of Parrini’s musical thought: jazz that is dense with tints of autumn, lyrical and explorative, blessed with compositions of great impact and sparkling with measured solo moments.

“The Blessed Prince” speaks to us with proud and austere jazz: rigorous and severe, yet profoundly poetic.

Parrini is the leader of a quartet of men, friends and musicians who celebrate music as an inevitable life’s mission and jazz as a evocative music that gives gifts of profound emotions.

Posthuman.it parla di "Chaos and Order"

Un grande disco jazz rock moderno del quartetto guidato dal clarinettista Francesco Chiapperini per Long Song Records, insieme ad alcune riflessioni su scena beat, jazz e psichedelia.
E alla fine è arrivato anche il momento di ripensare al jazz rock. Se ricordate, circa un anno fa avevo pubblicato un lungo articolo sviscerando un po’ di occulte connessioni fra new wave e progressive, ritenuto più o meno l’Anticristo da quelli che come me avevano 20 anni a metà degli ’80.
Sicché ho proseguito nel recupero di psichedelica e progressive, grazie ai dischi attuali della Black Widow come allo scavo nelle miniere di Hawkwind e Gong, di cui purtroppo abbiamo appena salutato per sempre il leader Daevid Allen, uno che già nel ’63 suonava al Marquee un jazz rock misto a reading “beat” coi futuri Soft Machine (Wyatt, Hopper, Ratledge), ben 6 anni prima che Miles Davis rivoluzionasse il mondo del jazz colla svolta elettrica di In A Silent Way.
È per questa via che un giorno ho fatto questa riflessione: in fondo, l’ampliamento di spettro sonoro portato verso il ’67 dalla psichedelica in buona sostanza consiste nel portare nella composizione rock quella libertà armonica e improvvisativa che nel jazz era legge ormai da 20 anni, cioè dal be bop di Parker & Gillespie. Se vi leggete un po’ di testi di Ginsberg, Burroughs e Kerouac, sapendo che la prassi del reading accompagnato da musicisti jazz era una griffe della congrega nei ’50, vi renderete conto che lì c’era già tutto il nocciolo della rivoluzione psichedelica: visionarietà, sperimentazione senza confini, ampliamento della coscienza sia con la droga che col misticismo orientale.
Così ho aperto le porte al recupero del jazz rock, assaggiando un po’ di quei Weather Report, Mahavishnu Orchestra, Hancock, Pastorius etc., che pure loro in epoca punk venivano per lo più considerati dei soloni virtuosi e auto compiaciuti e che oggi un geniale fricchettone come Les Claypol annovera tranquillamente fra i suoi eroi. Se eravate al concerto milanese dei Primus, infatti, introducendo il brano Lee Van Cleef il bassista ha detto: “Quando si parla delle mie ispirazioni, tutti si aspettano che io citi grandi bassisti come Stanley Clarke e così via… Certo, sono tutti nella lista, però…” (e lì partiva l’omaggio al vecchio leone del western all’italiana). Quindi, comunque, il grande bassista della fusion è pacificamente parte del bagaglio di un rocker alternativo come Claypol!
La scoperta del giorno è che la stagione del jazz rock è tutt’altro che finita con l’incanutimento dei suoi eroi emersi negli anni ’80: i John Lurie, John Zorn, Marc Ribot, Bill Laswell, Bill Frisell etc. Dopo la folgorazione di Caterina Palazzi e di Al Doum, oggi è la Long Song (etichetta che schiera in catalogo nomi doc come Elliott Sharp, Keith Tippett, gli italiani Daniele Cavallanti e Tiziano Tononi, lo stesso Ribot e Jamaaladeen Tacuma) che ci offre una nuova sorpresa: Chaos And Order, album del quartetto “bassless” guidato dal sopranista/clarinettista basso Francesco Chiapperini e composto da Gianluca Elia al sax tenore, Dario Trapani alla chitarra elettrica e Antonio Fusco alla batteria (cover in apertura, la band qui a lato).
Un album che viene subito da accostare all’Incesticide dei Sudoku Killer della Palazzi, mentre il riferimento internazionale più vicino rimangono i Lounge Lizards: non tanto quelli iniziali, accostati alla no wave, piuttosto quelli maturi di Queen Of All Ears, gran disco del ’98, cui potete allegramente mixare i No Pair senza mai percepire un brusco stacco; a parte il fatto che i No Pair sono quattro, mentre sul finora ultimo album della formazione del newyorkese Lurie suonavano in nove, per cui l’insieme risultava ancora più vario e articolato da un brano all’altro, ricchezza che i No Pair perseguono con più lunghe parti soliste per ciascuno strumento nei 6 brani mediamente estesi (dai quasi 5’ ai quasi 11’) che compongono il loro album.
Un mood che il quartetto di Chiapperini (anche autore di tutte le composizioni) condivide sostanzialmente con quello della Palazzi, dal quale si differenzia essenzialmente per l’impasto sonoro: là il contrabbasso è lo strumento della leader, qui manca del tutto, sostituito dal clarinetto basso del pugliese o alternativamente dalla chitarra elettrica. Ma la libertà compositiva ed armonica di pescare tanto dal bagaglio di Eric Dolphy (o magari persino Gershwin in qualche fugace guizzo clarinettistico) come da Hot Rats di Zappa e da tutte le forme di contaminazione successive fra il suono elettrico del rock e quello improvvisativo del jazz (da Hendrix a Ribot) è un dna che accomuna tutti loro. “Ordine e caos”, no?Un grande disco jazz rock moderno del quartetto guidato dal clarinettista Francesco Chiapperini per Long Song Records, insieme ad alcune riflessioni su scena beat, jazz e psichedelia.
E alla fine è arrivato anche il momento di ripensare al jazz rock. Se ricordate, circa un anno fa avevo pubblicato un lungo articolo sviscerando un po’ di occulte connessioni fra new wave e progressive, ritenuto più o meno l’Anticristo da quelli che come me avevano 20 anni a metà degli ’80.
Sicché ho proseguito nel recupero di psichedelica e progressive, grazie ai dischi attuali della Black Widow come allo scavo nelle miniere di Hawkwind e Gong, di cui purtroppo abbiamo appena salutato per sempre il leader Daevid Allen, uno che già nel ’63 suonava al Marquee un jazz rock misto a reading “beat” coi futuri Soft Machine (Wyatt, Hopper, Ratledge), ben 6 anni prima che Miles Davis rivoluzionasse il mondo del jazz colla svolta elettrica di In A Silent Way.
È per questa via che un giorno ho fatto questa riflessione: in fondo, l’ampliamento di spettro sonoro portato verso il ’67 dalla psichedelica in buona sostanza consiste nel portare nella composizione rock quella libertà armonica e improvvisativa che nel jazz era legge ormai da 20 anni, cioè dal be bop di Parker & Gillespie. Se vi leggete un po’ di testi di Ginsberg, Burroughs e Kerouac, sapendo che la prassi del reading accompagnato da musicisti jazz era una griffe della congrega nei ’50, vi renderete conto che lì c’era già tutto il nocciolo della rivoluzione psichedelica: visionarietà, sperimentazione senza confini, ampliamento della coscienza sia con la droga che col misticismo orientale.
Così ho aperto le porte al recupero del jazz rock, assaggiando un po’ di quei Weather Report, Mahavishnu Orchestra, Hancock, Pastorius etc., che pure loro in epoca punk venivano per lo più considerati dei soloni virtuosi e auto compiaciuti e che oggi un geniale fricchettone come Les Claypol annovera tranquillamente fra i suoi eroi. Se eravate al concerto milanese dei Primus, infatti, introducendo il brano Lee Van Cleef il bassista ha detto: “Quando si parla delle mie ispirazioni, tutti si aspettano che io citi grandi bassisti come Stanley Clarke e così via… Certo, sono tutti nella lista, però…” (e lì partiva l’omaggio al vecchio leone del western all’italiana). Quindi, comunque, il grande bassista della fusion è pacificamente parte del bagaglio di un rocker alternativo come Claypol!
La scoperta del giorno è che la stagione del jazz rock è tutt’altro che finita con l’incanutimento dei suoi eroi emersi negli anni ’80: i John Lurie, John Zorn, Marc Ribot, Bill Laswell, Bill Frisell etc. Dopo la folgorazione di Caterina Palazzi e di Al Doum, oggi è la Long Song (etichetta che schiera in catalogo nomi doc come Elliott Sharp, Keith Tippett, gli italiani Daniele Cavallanti e Tiziano Tononi, lo stesso Ribot e Jamaaladeen Tacuma) che ci offre una nuova sorpresa: Chaos And Order, album del quartetto “bassless” guidato dal sopranista/clarinettista basso Francesco Chiapperini e composto da Gianluca Elia al sax tenore, Dario Trapani alla chitarra elettrica e Antonio Fusco alla batteria (cover in apertura, la band qui a lato).
Un album che viene subito da accostare all’Incesticide dei Sudoku Killer della Palazzi, mentre il riferimento internazionale più vicino rimangono i Lounge Lizards: non tanto quelli iniziali, accostati alla no wave, piuttosto quelli maturi di Queen Of All Ears, gran disco del ’98, cui potete allegramente mixare i No Pair senza mai percepire un brusco stacco; a parte il fatto che i No Pair sono quattro, mentre sul finora ultimo album della formazione del newyorkese Lurie suonavano in nove, per cui l’insieme risultava ancora più vario e articolato da un brano all’altro, ricchezza che i No Pair perseguono con più lunghe parti soliste per ciascuno strumento nei 6 brani mediamente estesi (dai quasi 5’ ai quasi 11’) che compongono il loro album.
Un mood che il quartetto di Chiapperini (anche autore di tutte le composizioni) condivide sostanzialmente con quello della Palazzi, dal quale si differenzia essenzialmente per l’impasto sonoro: là il contrabbasso è lo strumento della leader, qui manca del tutto, sostituito dal clarinetto basso del pugliese o alternativamente dalla chitarra elettrica. Ma la libertà compositiva ed armonica di pescare tanto dal bagaglio di Eric Dolphy (o magari persino Gershwin in qualche fugace guizzo clarinettistico) come da Hot Rats di Zappa e da tutte le forme di contaminazione successive fra il suono elettrico del rock e quello improvvisativo del jazz (da Hendrix a Ribot) è un dna che accomuna tutti loro. “Ordine e caos”, no?

Percorsi Musicali parla di "The Sauna Sessions"

Piero Bittolo Bon è nome piuttosto ricorrente nelle pagine del jazz di questo sito: non solo è uno dei più bravi sassofonisti che l’Italia può vantare ma è anche un cultore della forma moderna dello strumento: oggi forse, per trovare nuove vie, non serve più sparare a zero con esso, richiamare alla memoria crudeltà del suono o miscele orientali, ogni fraseggio deve essere intelligente ed esposto all’evocazione, a prescindere dalla velocità. E questo è un aspetto che può far la differenza fra un sassofonista free di qualche generazione fa e quelli odierni. E’ stato pubblicato recentemente una validissima registrazione effettuata nell’estate del 2012 in forma di sessions estive, a cui parteciparono Tommaso Cappellato alla batteria, Simone Massaron alla chitarra, Glauco Benedetti alla tuba e Peter Evans alla tromba, con l’appellativo di Pbb’s Lacus Amoenus.
“The Sauna session” consegna le proprie credenziali ad uno stato caotico ed eclettico: contando sul valore dei partecipanti, la session è una ricostruzione di musica improvvisata che ha tutto il sapore delle jams di free jazz moderne, basate sull’ontologia dei suoni (convenzionali e non), fatte di velocità e pause, ma lontane dalla ricerca di approfondimenti spirituali vissute nell’omogeneità dell’esperienza improvvisativa come in un Coltrane di I love supreme o di Ascension. L’interazione è sapientemente incanalata sul suono e non sull’effetto catartico; è piena della cultura contemporanea sui suoni e rumori. Senza utilizzare elettronica e basandosi solo sulla strumentazione (anche opportuna modulata sull’amplificazione), i cinque musicisti mantengono alto il livello di libertà espressiva ma sono anche spinti dalla volontà di tentare di delineare un immagine attraverso l’improvvisazione e ci riescono benissimo, poichè negli spazi apparentemente angusti del caos ci si confronta con personalizzazioni (chiamasi assoli) che rientrano nel gotha esibitivo dei partecipanti (Bittolo Bon è al suo top, in versione multistrato, poderoso e frastagliato nel fraseggio, Cappellato sviluppa un’attenta ed oscura parte ritmica tramite la sua “anima” free, Massaron evoca allegorie tra i fantasmi della chitarra elettrica ed i “propri” fantasmi, Benedetti sembra aver in mano un’altro strumento ed Evans si arrampica come una scheggia impazzita).Piero Bittolo Bon è nome piuttosto ricorrente nelle pagine del jazz di questo sito: non solo è uno dei più bravi sassofonisti che l’Italia può vantare ma è anche un cultore della forma moderna dello strumento: oggi forse, per trovare nuove vie, non serve più sparare a zero con esso, richiamare alla memoria crudeltà del suono o miscele orientali, ogni fraseggio deve essere intelligente ed esposto all’evocazione, a prescindere dalla velocità. E questo è un aspetto che può far la differenza fra un sassofonista free di qualche generazione fa e quelli odierni. E’ stato pubblicato recentemente una validissima registrazione effettuata nell’estate del 2012 in forma di sessions estive, a cui parteciparono Tommaso Cappellato alla batteria, Simone Massaron alla chitarra, Glauco Benedetti alla tuba e Peter Evans alla tromba, con l’appellativo di Pbb’s Lacus Amoenus.
“The Sauna session” consegna le proprie credenziali ad uno stato caotico ed eclettico: contando sul valore dei partecipanti, la session è una ricostruzione di musica improvvisata che ha tutto il sapore delle jams di free jazz moderne, basate sull’ontologia dei suoni (convenzionali e non), fatte di velocità e pause, ma lontane dalla ricerca di approfondimenti spirituali vissute nell’omogeneità dell’esperienza improvvisativa come in un Coltrane di I love supreme o di Ascension. L’interazione è sapientemente incanalata sul suono e non sull’effetto catartico; è piena della cultura contemporanea sui suoni e rumori. Senza utilizzare elettronica e basandosi solo sulla strumentazione (anche opportuna modulata sull’amplificazione), i cinque musicisti mantengono alto il livello di libertà espressiva ma sono anche spinti dalla volontà di tentare di delineare un immagine attraverso l’improvvisazione e ci riescono benissimo, poichè negli spazi apparentemente angusti del caos ci si confronta con personalizzazioni (chiamasi assoli) che rientrano nel gotha esibitivo dei partecipanti (Bittolo Bon è al suo top, in versione multistrato, poderoso e frastagliato nel fraseggio, Cappellato sviluppa un’attenta ed oscura parte ritmica tramite la sua “anima” free, Massaron evoca allegorie tra i fantasmi della chitarra elettrica ed i “propri” fantasmi, Benedetti sembra aver in mano un’altro strumento ed Evans si arrampica come una scheggia impazzita).

Musica Jazz parla di Chaos And Order

Il quartetto No Pair ha diverse carte nel suo mazzo: grande spontaneità, amore per la ricerca (che si tinge di colori zappiani e zorniani) e passione per la dicotomìa tra densità e rare-fazione: tutte caratteristiche che si apprezzano bene in questo lavoro, capace di farsi ascoltare sia per l’originalità timbrica della band sia per i pregevoli contributi dei singoli elementi.
Edag è forse il brano più rappresenta¬tivo del disco, con la sua alternanza di melodia e ruvidezza. Da ascoltare più volte è anche l’apparente rilassatezza di Spreadsheet, in cui il clarinetto di Chiapperini brilla nella sua multiforme personalità. Brain Misty è Invece il momento più intimo del gruppo, do¬ve grande risalto hanno le sfumature timbriche dei singoli. A ogni modo ascoltando il lavoro tutto d’un fiato ci si accorge ben presto che la divisione tra un brano e l’altro non è poi così determinante. Siamo di fronte a una serie di pezzi che raccontano una storia unica pur non essendo omo-genei. E questo non può che essere un pregio.Il quartetto No Pair ha diverse carte nel suo mazzo: grande spontaneità, amore per la ricerca (che si tinge di colori zappiani e zorniani) e passione per la dicotomìa tra densità e rare-fazione: tutte caratteristiche che si apprezzano bene in questo lavoro, capace di farsi ascoltare sia per l’originalità timbrica della band sia per i pregevoli contributi dei singoli elementi.
Edag è forse il brano più rappresenta¬tivo del disco, con la sua alternanza di melodia e ruvidezza. Da ascoltare più volte è anche l’apparente rilassatezza di Spreadsheet, in cui il clarinetto di Chiapperini brilla nella sua multiforme personalità. Brain Misty è Invece il momento più intimo del gruppo, do¬ve grande risalto hanno le sfumature timbriche dei singoli. A ogni modo ascoltando il lavoro tutto d’un fiato ci si accorge ben presto che la divisione tra un brano e l’altro non è poi così determinante. Siamo di fronte a una serie di pezzi che raccontano una storia unica pur non essendo omo-genei. E questo non può che essere un pregio.

Downtown Music Gallery parla di Chaos And Order

Featuring Franceso Chiaperini on soprano sax & bass clarinet & all compositions, Gianluca Elia on tenor sax, Dario Trapani on electric guitar and Antonio Fusco on drums. The Italian Long Song label has been around for nearly a decade and released 25 discs. Nearly all of their releases have included American musicians like Nels Cline, William Parker, Peter Evans and Marc Ribot. On rare occasion they have released discs from all Italian musicians like Nicola Cipani or the mysterious Foot Job Band. No Pair is another all Italian band, with most members I was not previously familiar with, except for saxist Gianluca Elia who works with Daniele Cavallanti for a recent disc from NuBop.
No Pair sound like a fine, quirky progressive jazz/rock quartet. The frontline of tenor & soprano sax (or bass clarinet) and electric guitar is tight, the writing modestly complex and nicely layered. I dig when they mellow out in the midsection of the first song with tasty soprano and guitar weaving their lines together quietly before building back up to a more intense conclusion, rocking out more with some fine bass clarinet and guitar interplay. One of the things that I like most about this is that the quartet are often laid back and create spirited yet somber moods in a suite like way with all of the pieces continuous. It reminds me of the better, Canterbury-like prog bands from the early seventies with nothing to prove but charming yet quirky music to make us all feel good. A band like No Pair should be playing at the annual RIO (Rock in Opposition) festival in France or appear in the “Romantic Warriors III – The Canterbury Tales” DVD.Featuring Franceso Chiaperini on soprano sax & bass clarinet & all compositions, Gianluca Elia on tenor sax, Dario Trapani on electric guitar and Antonio Fusco on drums. The Italian Long Song label has been around for nearly a decade and released 25 discs. Nearly all of their releases have included American musicians like Nels Cline, William Parker, Peter Evans and Marc Ribot. On rare occasion they have released discs from all Italian musicians like Nicola Cipani or the mysterious Foot Job Band. No Pair is another all Italian band, with most members I was not previously familiar with, except for saxist Gianluca Elia who works with Daniele Cavallanti for a recent disc from NuBop.
No Pair sound like a fine, quirky progressive jazz/rock quartet. The frontline of tenor & soprano sax (or bass clarinet) and electric guitar is tight, the writing modestly complex and nicely layered. I dig when they mellow out in the midsection of the first song with tasty soprano and guitar weaving their lines together quietly before building back up to a more intense conclusion, rocking out more with some fine bass clarinet and guitar interplay. One of the things that I like most about this is that the quartet are often laid back and create spirited yet somber moods in a suite like way with all of the pieces continuous. It reminds me of the better, Canterbury-like prog bands from the early seventies with nothing to prove but charming yet quirky music to make us all feel good. A band like No Pair should be playing at the annual RIO (Rock in Opposition) festival in France or appear in the “Romantic Warriors III – The Canterbury Tales” DVD.

Is This Music?

Music, once you’ve played it, it’s gone, in the air, and you can never capture it again…(Eric Dolphy)

The vibration of the gongs, the air in motion, sheets of sounds spreading out of skins and metals, the abstract geometrical encounters of rhythms and figures, beauty of the opposites complementing each other, the night & day/ male & female / black & white of life, the perpetual motion that keeps things rolling, makes you move (and smile…) and makes our lives happier, worth being lived. Music is a healer, music is a blessing.

This recording is dedicated to

the living memory of David Lee Searcy,

master musician, teacher, friend.

(Oakland/S.Francisco 1946 – Milano 2011)

Among the many great experiences I’ve had through my whole life as a musician, meeting David Lee Searcy was one of the most extraordinary, and a blessing. Not only I had the good fortune to study with him, we also became friends and shared some deep moments talkin’, eating, rehearsing, playing and recording as “Moon On The Water”, the percussion trio we had with Jonathan Scully. We also spent time together listening to Jimi Hendrix, a common passion, actually something not so common for a “classical” musician. But Dave was more than that, besides the monster tympanist/keeper of the flame of a genuine European playing tradition, he was a free thinker/free spirit, inspirer of people, a one-of-a-kind type of person with a broad landscape and vision in front of him, in part due – I like to think so – to his Oakland/S.Francisco-Bay Area roots. When I think of him, I can’t but remember the many times he succeeded visualizing a sound through words and images, some sort of a magic quality I only found in him. This way, with this recording, I feel like he’s somehow living through my playing, every time I try to find the”right” sound.

So long, Dave, the one and only “Moon One”,

see you there… on the Moon.

Tiziano Tononi,”Tizi”, Moon Three. Music, once you’ve played it, it’s gone, in the air, and you can never capture it again…(Eric Dolphy)

The vibration of the gongs, the air in motion, sheets of sounds spreading out of skins and metals, the abstract geometrical encounters of rhythms and figures, beauty of the opposites complementing each other, the night & day/ male & female / black & white of life, the perpetual motion that keeps things rolling, makes you move (and smile…) and makes our lives happier, worth being lived. Music is a healer, music is a blessing.

This recording is dedicated to

the living memory of David Lee Searcy,

master musician, teacher, friend.

(Oakland/S.Francisco 1946 – Milano 2011)

Among the many great experiences I’ve had through my whole life as a musician, meeting David Lee Searcy was one of the most extraordinary, and a blessing. Not only I had the good fortune to study with him, we also became friends and shared some deep moments talkin’, eating, rehearsing, playing and recording as “Moon On The Water”, the percussion trio we had with Jonathan Scully. We also spent time together listening to Jimi Hendrix, a common passion, actually something not so common for a “classical” musician. But Dave was more than that, besides the monster tympanist/keeper of the flame of a genuine European playing tradition, he was a free thinker/free spirit, inspirer of people, a one-of-a-kind type of person with a broad landscape and vision in front of him, in part due – I like to think so – to his Oakland/S.Francisco-Bay Area roots. When I think of him, I can’t but remember the many times he succeeded visualizing a sound through words and images, some sort of a magic quality I only found in him. This way, with this recording, I feel like he’s somehow living through my playing, every time I try to find the”right” sound.

So long, Dave, the one and only “Moon One”,

see you there… on the Moon.

Tiziano Tononi,”Tizi”, Moon Three.

orynx-improvandsounds su The Sauna Session

Lacus Amoenus est un groupe free-jazz relativement punk qui ne se prend pas au sérieux avec le guitariste Simone Massaron (electric et acoustic guitars, fretless guitar, lapsteel guitar, effects), Glauco Benedetti au tuba, le batteur Tommaso Capellato et Peter Evans, crédité trompette et piccolo trumpet. Quand on tend l’oreille, Bittolo Bon est un sérieux client qui a une bonne culture pratique du jazz. Le groupe dépote et déménage avec ou sans clin d’yeux avec une réelle efficacité. Le projet Lacus Amoenus est un croisement entre une approche savante et éduquée du jazz libre (PB Bon et Evans) et un esprit punk (la guitare de Massaron) où le côté parfois noise du trompettiste trouve un exutoire. Onze morceaux où on ne se prend pas au sérieux tout en jouant solide et dans lesquels Evans s’intègre parfaitement. Les titres sont à coucher dehors mais la musique est vraiment bonne et la capacité à jouer « lisible » et efficace du batteur et du guitariste apporte une dynamique bienvenue. Des changements fréquents de registre et de rythmique et l’utilisation intelligente des effets stimulent l’écoute et l’attention, mettant en valeur la présence de Peter Evans. Il y fait son travail avec la plus haute conscience musicale enrichissant chaque séquence où il intervient par des nuances toujours renouvelées et des idées remarquables. Comme ce beau duo guitare acoustique et trompette dans le troisième morceau. Excellent! Un beau travail collectif ! Et Evans se révèle l’héritier le plus sérieux de Booker Little, Kenny Wheeler et du Toshinori Kondo de 79/80/81 et un des musiciens les plus originaux d’aujourd’hui.Lacus Amoenus est un groupe free-jazz relativement punk qui ne se prend pas au sérieux avec le guitariste Simone Massaron (electric et acoustic guitars, fretless guitar, lapsteel guitar, effects), Glauco Benedetti au tuba, le batteur Tommaso Capellato et Peter Evans, crédité trompette et piccolo trumpet. Quand on tend l’oreille, Bittolo Bon est un sérieux client qui a une bonne culture pratique du jazz. Le groupe dépote et déménage avec ou sans clin d’yeux avec une réelle efficacité. Le projet Lacus Amoenus est un croisement entre une approche savante et éduquée du jazz libre (PB Bon et Evans) et un esprit punk (la guitare de Massaron) où le côté parfois noise du trompettiste trouve un exutoire. Onze morceaux où on ne se prend pas au sérieux tout en jouant solide et dans lesquels Evans s’intègre parfaitement. Les titres sont à coucher dehors mais la musique est vraiment bonne et la capacité à jouer « lisible » et efficace du batteur et du guitariste apporte une dynamique bienvenue. Des changements fréquents de registre et de rythmique et l’utilisation intelligente des effets stimulent l’écoute et l’attention, mettant en valeur la présence de Peter Evans. Il y fait son travail avec la plus haute conscience musicale enrichissant chaque séquence où il intervient par des nuances toujours renouvelées et des idées remarquables. Comme ce beau duo guitare acoustique et trompette dans le troisième morceau. Excellent! Un beau travail collectif ! Et Evans se révèle l’héritier le plus sérieux de Booker Little, Kenny Wheeler et du Toshinori Kondo de 79/80/81 et un des musiciens les plus originaux d’aujourd’hui.

Orynx – Improv' and Sounds su The Vancouver Tapes

Image très floue sur la pochette (peinture ??), enregistrement à Vancouver en 1999, nom de groupe improbable. Les titres : Subterranean Streams of Consciousness, Shadows of the Night. Un moto dans le texte de pochette : My Roots are in my record player. Ne vous fiez pas aux apparences, William Parker joue ici avec deux grands du jazz libre européen en apportant toutes les couleurs requises (flûtes, guimbri) : le batteur Tiziano Tononi auteur de la longue suite de 42 minutes de Streams et de Shadows et son acolyte de toujours, le saxophoniste Daniele Cavallanti. Superbe, épique, intense et du point de vue du saxophone ténor, de haute volée. Quant au sax baryton, c’est vraiment du solide ! William Parker a souvent joué avec les regrettés Glenn Spearman, David S Ware et Fred Anderson, sans oublier Edward Kidd Jordan. Cavallanti tient la comparaison à son avantage : son abattage et l’articulation de son jeu s’imposent naturellement. L’enregistrement n’est sans soute pas idéal, mais la qualité de la musique jouée est indubitable. Quand Tononi empoigne ses congas, on entend assez clairement la basse de Parker vrombir et tressauter d’aise dans ses grands écarts africains. Il y a une réelle dimension africaine et caraïbe dans leur musique libérée des carcans du jazz de festival bien-comme-il faut. Une authentique célébration du rythme et de la frénésie de la musique afro-américaine des Coltrane, Blackwell, Cherry. Des types avec un tel métier pourraient se contenter de faire du jazz rondouillard pour magazine cucul et sillonner tous les festivals bien-pensants. Ils ont choisi une voie authentique, engagée et difficile (tenir la scène avec un morceau de quarante minutes !) dans une musique mouvante qui se réfère à la Great Black Music militante. Et qui se teinte d’orientalisme dans la deuxième partie (Shadows of the Night, 33 :31) avec le ney de William Parker (ou Cavallanti) et le tabla de Tononi pour retrouver ensuite des accents africains inédits. Malgré la durée en dizaines de minutes, le temps passe très agréablement. C’est un peu dommage que le son de l’enregistrement n’est pas tout à fait à la hauteur, surtout pour pouvoir goûter l’interaction batterie et basse, mais suffisant pour que le plaisir de la découverte reste intact. Cavallanti évoque un penchant rollinsien avec une puissance et un mordant qui ne trompent pas. Et finit par évoquer Albert Ayler le plus simplement du monde dans l’esprit de la fameuse suite de Don Cherry. C’est dire ! Remarquable !! Image très floue sur la pochette (peinture ??), enregistrement à Vancouver en 1999, nom de groupe improbable. Les titres : Subterranean Streams of Consciousness, Shadows of the Night. Un moto dans le texte de pochette : My Roots are in my record player. Ne vous fiez pas aux apparences, William Parker joue ici avec deux grands du jazz libre européen en apportant toutes les couleurs requises (flûtes, guimbri) : le batteur Tiziano Tononi auteur de la longue suite de 42 minutes de Streams et de Shadows et son acolyte de toujours, le saxophoniste Daniele Cavallanti. Superbe, épique, intense et du point de vue du saxophone ténor, de haute volée. Quant au sax baryton, c’est vraiment du solide ! William Parker a souvent joué avec les regrettés Glenn Spearman, David S Ware et Fred Anderson, sans oublier Edward Kidd Jordan. Cavallanti tient la comparaison à son avantage : son abattage et l’articulation de son jeu s’imposent naturellement. L’enregistrement n’est sans soute pas idéal, mais la qualité de la musique jouée est indubitable. Quand Tononi empoigne ses congas, on entend assez clairement la basse de Parker vrombir et tressauter d’aise dans ses grands écarts africains. Il y a une réelle dimension africaine et caraïbe dans leur musique libérée des carcans du jazz de festival bien-comme-il faut. Une authentique célébration du rythme et de la frénésie de la musique afro-américaine des Coltrane, Blackwell, Cherry. Des types avec un tel métier pourraient se contenter de faire du jazz rondouillard pour magazine cucul et sillonner tous les festivals bien-pensants. Ils ont choisi une voie authentique, engagée et difficile (tenir la scène avec un morceau de quarante minutes !) dans une musique mouvante qui se réfère à la Great Black Music militante. Et qui se teinte d’orientalisme dans la deuxième partie (Shadows of the Night, 33 :31) avec le ney de William Parker (ou Cavallanti) et le tabla de Tononi pour retrouver ensuite des accents africains inédits. Malgré la durée en dizaines de minutes, le temps passe très agréablement. C’est un peu dommage que le son de l’enregistrement n’est pas tout à fait à la hauteur, surtout pour pouvoir goûter l’interaction batterie et basse, mais suffisant pour que le plaisir de la découverte reste intact. Cavallanti évoque un penchant rollinsien avec une puissance et un mordant qui ne trompent pas. Et finit par évoquer Albert Ayler le plus simplement du monde dans l’esprit de la fameuse suite de Don Cherry. C’est dire ! Remarquable !!