The Vancouver Tapes documents Parker ’s appearance at the 1999 edition of that city’s Jazz Festival, his first-ever encounter with the Italian pairing of drummer Tiziano Tononi and reedplayer Daniele Cavallanti. A generous 76-minute program encompasses two sets, revealing a threesome who punch above their weight in a rousing free jazz bout. Milanese Cavallanti and Tononi are longtime colleagues, waxing homages to Rahsaan Roland Kirk, Don Cherry and Ornette Coleman, though perhaps best known as mainstays of the Instabile Orchestra.
Parker ’s multidirectional propulsion, abetted by Tiziano’s widescreen drumming, allows Cavallanti to take off in whatever direction he wishes, most usually energetic Ayler-inspired overblowing. The trio also quotes liberally from Ayler ’s songbook, notably at the conclusion of “Shadows Of The Night”. Each set follows a similar trajectory, from an atmospheric start featuring Cavallanti’s flute in tandem with Parker ’s insistent bowing through to spirited, even ecstatic, interaction. Audience conversation intrudes towards the end to betray the origin as a bootleg tape, but the slightly murky sound doesn’t disguise the chemistry between the threesome.The Vancouver Tapes documents Parker ’s appearance at the 1999 edition of that city’s Jazz Festival, his first-ever encounter with the Italian pairing of drummer Tiziano Tononi and reedplayer Daniele Cavallanti. A generous 76-minute program encompasses two sets, revealing a threesome who punch above their weight in a rousing free jazz bout. Milanese Cavallanti and Tononi are longtime colleagues, waxing homages to Rahsaan Roland Kirk, Don Cherry and Ornette Coleman, though perhaps best known as mainstays of the Instabile Orchestra.
Parker ’s multidirectional propulsion, abetted by Tiziano’s widescreen drumming, allows Cavallanti to take off in whatever direction he wishes, most usually energetic Ayler-inspired overblowing. The trio also quotes liberally from Ayler ’s songbook, notably at the conclusion of “Shadows Of The Night”. Each set follows a similar trajectory, from an atmospheric start featuring Cavallanti’s flute in tandem with Parker ’s insistent bowing through to spirited, even ecstatic, interaction. Audience conversation intrudes towards the end to betray the origin as a bootleg tape, but the slightly murky sound doesn’t disguise the chemistry between the threesome.
All About Jazz Italia parla di "Chaos and Order"
No Pair, il quartetto guidato da Francesco Chiapperini, ha già al proprio attivo una collaborazione importante, dello scorso anno con Tim Berne. È una formazione compatta e ben amalgamata, che interpreta le musiche del leader con forte adesione emotiva e convinzione, mettendo in scena con efficacia i contrasti timbrici, dinamici e stilistici proposti dalle belle composizioni. L’assenza del basso nell’organico strumentale allarga gli spazi, lasciando alla chitarra elettrica di Dario Trapani (e alle sue pedaliere) l’incombenza, discontinua, di disegnare linee di basso.
Chiapperini, altrove anche sassofonista contralto e flautista (di lui ricordiamo, tra l’altro, almeno l’Extemporary Vision Ensemble, dedicato a Massimo Urbani), limita qui il suo apporto all’utilizzo dei clarinetti (soprano e basso) per delineare una delle caratteristiche principali del quartetto: il contrasto tra le proprie ance e quelle del sax tenore di Gianluca Elia. Ulteriore fonte di opposizione e rispecchiamento è quella che pone in continuo rapporto dialettico l’elemento acustico e quello elettrico.
La musica di questo Chaos and Order, come recita lo stesso titolo, si alimenta di tali opposizioni e della loro continua metamorfosi, trascorrendo con fluidità dalle atmosfere incandescenti, scandite con forza dalla batteria di Antonio Fusco e dalla chitarra di Trapani, a quelle più ipnotiche e visionarie, in cui gli strumenti si fondono e trovano svariate forme e sfumature alla propria mescolanza. La duttilità nei ruoli è supportata anche dalla varietà stilistica proposta dal quartetto: la matrice fondamentale è quella del jazz, ma gli stimoli si affacciano su tutta la contemporaneità, guardando a rock, jungle, noise…
Tra i brani del CD, tutti degni di considerazione, ci piace segnalare la title-track posta in chiusra, dove la ricerca timbrica dell’introduzione (affidata alle alchimie di Trapani) scivola in un motivo circolare dei fiati (di segno minimalista) e sfocia poi in un riff dalle tipiche connotazioni hard rock, che però è di continuo frantumato e animato da digressioni, cambi di rotta, inserti free densi di humor.
Ottimo lavoro. **** 4 stelleNo Pair, il quartetto guidato da Francesco Chiapperini, ha già al proprio attivo una collaborazione importante, dello scorso anno con Tim Berne. È una formazione compatta e ben amalgamata, che interpreta le musiche del leader con forte adesione emotiva e convinzione, mettendo in scena con efficacia i contrasti timbrici, dinamici e stilistici proposti dalle belle composizioni. L’assenza del basso nell’organico strumentale allarga gli spazi, lasciando alla chitarra elettrica di Dario Trapani (e alle sue pedaliere) l’incombenza, discontinua, di disegnare linee di basso.
Chiapperini, altrove anche sassofonista contralto e flautista (di lui ricordiamo, tra l’altro, almeno l’Extemporary Vision Ensemble, dedicato a Massimo Urbani), limita qui il suo apporto all’utilizzo dei clarinetti (soprano e basso) per delineare una delle caratteristiche principali del quartetto: il contrasto tra le proprie ance e quelle del sax tenore di Gianluca Elia. Ulteriore fonte di opposizione e rispecchiamento è quella che pone in continuo rapporto dialettico l’elemento acustico e quello elettrico.
La musica di questo Chaos and Order, come recita lo stesso titolo, si alimenta di tali opposizioni e della loro continua metamorfosi, trascorrendo con fluidità dalle atmosfere incandescenti, scandite con forza dalla batteria di Antonio Fusco e dalla chitarra di Trapani, a quelle più ipnotiche e visionarie, in cui gli strumenti si fondono e trovano svariate forme e sfumature alla propria mescolanza. La duttilità nei ruoli è supportata anche dalla varietà stilistica proposta dal quartetto: la matrice fondamentale è quella del jazz, ma gli stimoli si affacciano su tutta la contemporaneità, guardando a rock, jungle, noise…
Tra i brani del CD, tutti degni di considerazione, ci piace segnalare la title-track posta in chiusra, dove la ricerca timbrica dell’introduzione (affidata alle alchimie di Trapani) scivola in un motivo circolare dei fiati (di segno minimalista) e sfocia poi in un riff dalle tipiche connotazioni hard rock, che però è di continuo frantumato e animato da digressioni, cambi di rotta, inserti free densi di humor.
Ottimo lavoro. **** 4 stelle
Distorsioni parla di Chaos And Order
Fa molto piacere trovarsi di fronte a dei lavori che, non rispondendo necessariamente ad una comoda classificazione di genere, sembrano riflettere una scelta o una necessità di resistenza alla crescente entropia culturale che pervade il contemporaneo. Venendo al dunque: No Pair è uno dei numerosi progetti capitanati dal sassofonista e clarinettista Francesco Chiapperini, talentuoso musicista pugliese che, insieme al suo combo, dimostra di sapere bene come il jazz non sia la stanca riproposizione di alcune lezioncine accademiche, quanto piuttosto un’attitudine inclusiva capace continuamente di rinnovare se stessa. Ve lo diciamo subito e senza stancanti giri di parole: “Chaos And Order” è davvero un grande disco, ricco di numerose spinte centrifughe, esercitate anche da chiare influenze noise e post-core, che trovano un efficace complemento nel rigore delle partiture scritte da Chiapperini.
Ottima la padronanza della dinamica da parte di tutto il gruppo nell’elaborare atmosfere rarefatte ma tese che, in equilibrio tra parti scritte ed improvvisazione, evolvono in maniera del tutto naturale in risoluzioni a dir poco avvincenti nei quali dagli ostinati sentiamo liberarsi furiose urla di sax e clarinetto basso, esaltanti sferragliate di chitarra ed un drumming impetuoso ma sempre attento. I temi, dalle buone peculiarità narrative, spesso offrono la possibilità al voicing collettivo di intrecciarsi nel gioco di Francesco_sito-300x200scambi tra unisono e contrappunto, sfruttando le possibilità timbriche e le potenzialità poliritmiche del quartetto. Intelligenza, padronanza tecnica, stile, maturità nell’interplay e sicuramente una buona dose di divertimento vengono sprigionate da queste sei tracce, ognuna delle quali potrebbe essere la migliore dell’album nel momento in cui la si ascolta. A tratti potrebbero venire in mente Charles Mingus o Eric Dolphy e immediatamente dopo Marc Ribot oppure John Scofield fino ad arrivare a The Jesus Lizard. Poco importa cercare di stabilire da dove vengano i No Pair, molto più importante è ascoltare dove stiano andando; sicuramente in una direzione in cui incontrando delle frontiere è bene che queste vengano superate. Davvero un buon ascolto.
Voto: 8/10
Fa molto piacere trovarsi di fronte a dei lavori che, non rispondendo necessariamente ad una comoda classificazione di genere, sembrano riflettere una scelta o una necessità di resistenza alla crescente entropia culturale che pervade il contemporaneo. Venendo al dunque: No Pair è uno dei numerosi progetti capitanati dal sassofonista e clarinettista Francesco Chiapperini, talentuoso musicista pugliese che, insieme al suo combo, dimostra di sapere bene come il jazz non sia la stanca riproposizione di alcune lezioncine accademiche, quanto piuttosto un’attitudine inclusiva capace continuamente di rinnovare se stessa. Ve lo diciamo subito e senza stancanti giri di parole: “Chaos And Order” è davvero un grande disco, ricco di numerose spinte centrifughe, esercitate anche da chiare influenze noise e post-core, che trovano un efficace complemento nel rigore delle partiture scritte da Chiapperini.
Ottima la padronanza della dinamica da parte di tutto il gruppo nell’elaborare atmosfere rarefatte ma tese che, in equilibrio tra parti scritte ed improvvisazione, evolvono in maniera del tutto naturale in risoluzioni a dir poco avvincenti nei quali dagli ostinati sentiamo liberarsi furiose urla di sax e clarinetto basso, esaltanti sferragliate di chitarra ed un drumming impetuoso ma sempre attento. I temi, dalle buone peculiarità narrative, spesso offrono la possibilità al voicing collettivo di intrecciarsi nel gioco di Francesco_sito-300x200scambi tra unisono e contrappunto, sfruttando le possibilità timbriche e le potenzialità poliritmiche del quartetto. Intelligenza, padronanza tecnica, stile, maturità nell’interplay e sicuramente una buona dose di divertimento vengono sprigionate da queste sei tracce, ognuna delle quali potrebbe essere la migliore dell’album nel momento in cui la si ascolta. A tratti potrebbero venire in mente Charles Mingus o Eric Dolphy e immediatamente dopo Marc Ribot oppure John Scofield fino ad arrivare a The Jesus Lizard. Poco importa cercare di stabilire da dove vengano i No Pair, molto più importante è ascoltare dove stiano andando; sicuramente in una direzione in cui incontrando delle frontiere è bene che queste vengano superate. Davvero un buon ascolto.
Voto: 8/10
Free Fall Jazz parla di The Vancouver Tapes
I più attenti ricorderanno che William Parker, assieme ad altri ospiti, ha già suonato con gli Udu Calls (alias il fiatista Daniele Cavallanti e il batterista Tiziano Tononi) in occasione di ‘Spirits Up Above’ del 2006. ‘The Vancouver Tapes’, che vede coinvolti solo i due musicisti nostrani e il bassista della Grande Mela, non rappresenta però il passo successivo a quella collaborazione, bensì una sorta di prequel. Le registrazioni risalgono infatti al Vancouver Jazz Festival del 1999, frutto di un DAT inaspettatamente ritrovato da Tononi. La qualità audio è, prevedibilmente, abbastanza cruda (ma comunque più che sufficiente), fattore che se da una parte potrebbe scoraggiare certi puristi del suono, dall’altra riesce a rendere bene l’idea dell’impatto e della “ruvidità” che il trio ha sprigionato sul palco quel giorno di Giugno di ormai quasi sedici anni fa.
Musicalmente i territori sono grossomodo quelli che potete aspettarvi se avete un po’ di familiarità coi nomi implicati, ossia un free jazz che celebra gli anni d’oro newyorkesi del genere, abbeverandosi non solo dai più “ovvi” (Ayler in primis, Don Cherry, finanche Marion Brown), ma anche e soprattutto dal sottobosco dei vari Marzette Watts e Frank Lowe. Il tutto si snoda in due “macigni” della durata rispettivamente di 42 e 33 minuti, dei quali il più riuscito è senz’altro il secondo, ‘Shadows Of The Night’, meno caotico dell’iniziale ‘Subterranean Stream Of Consciousness’, diviso tra ottime parentesi atmosferiche (l’intro con il flauto ney, per esempio) e momenti più ritmati che spesso tentano di seguire qualche spunto melodico, restando lontani da certi parossismi fini a se stessi anche nei passaggi più concitati. Il robusto contrabasso di Parker resta punto di riferimento e spina dorsale, mentre i due soci si alternano con disinvoltura con più di uno strumento: tenore e baritono per Cavallanti, percussioni di vario genere e numero per Tononi, che spesso assume anche il ruolo di “guida”, pur senza mai peccare di eccessiva invadenza.
Non un disco consigliato a tutti, ma per chi ama il genere una possibilità è quasi imperativaI più attenti ricorderanno che William Parker, assieme ad altri ospiti, ha già suonato con gli Udu Calls (alias il fiatista Daniele Cavallanti e il batterista Tiziano Tononi) in occasione di ‘Spirits Up Above’ del 2006. ‘The Vancouver Tapes’, che vede coinvolti solo i due musicisti nostrani e il bassista della Grande Mela, non rappresenta però il passo successivo a quella collaborazione, bensì una sorta di prequel. Le registrazioni risalgono infatti al Vancouver Jazz Festival del 1999, frutto di un DAT inaspettatamente ritrovato da Tononi. La qualità audio è, prevedibilmente, abbastanza cruda (ma comunque più che sufficiente), fattore che se da una parte potrebbe scoraggiare certi puristi del suono, dall’altra riesce a rendere bene l’idea dell’impatto e della “ruvidità” che il trio ha sprigionato sul palco quel giorno di Giugno di ormai quasi sedici anni fa.
Musicalmente i territori sono grossomodo quelli che potete aspettarvi se avete un po’ di familiarità coi nomi implicati, ossia un free jazz che celebra gli anni d’oro newyorkesi del genere, abbeverandosi non solo dai più “ovvi” (Ayler in primis, Don Cherry, finanche Marion Brown), ma anche e soprattutto dal sottobosco dei vari Marzette Watts e Frank Lowe. Il tutto si snoda in due “macigni” della durata rispettivamente di 42 e 33 minuti, dei quali il più riuscito è senz’altro il secondo, ‘Shadows Of The Night’, meno caotico dell’iniziale ‘Subterranean Stream Of Consciousness’, diviso tra ottime parentesi atmosferiche (l’intro con il flauto ney, per esempio) e momenti più ritmati che spesso tentano di seguire qualche spunto melodico, restando lontani da certi parossismi fini a se stessi anche nei passaggi più concitati. Il robusto contrabasso di Parker resta punto di riferimento e spina dorsale, mentre i due soci si alternano con disinvoltura con più di uno strumento: tenore e baritono per Cavallanti, percussioni di vario genere e numero per Tononi, che spesso assume anche il ruolo di “guida”, pur senza mai peccare di eccessiva invadenza.
Non un disco consigliato a tutti, ma per chi ama il genere una possibilità è quasi imperativa
Kathodic : Sauna Session
Libera da ogni ortodossia di genere “The Sauna Session”.
Brillante, scavezzacollo, abrasiva ciò che basta.
Che mette insieme i nostri Glauco Benedetti (tuba), Piero Bittolo Bon (fiati e no input electronics), Simone Massaron e le sue corde, Tommaso Cappellato alla batteria e la tromba del newyorchese Peter Evans.
Inarrestabili e genialmente slogati, a buttar nel calderone free, pose da soundtrack western, rarefazioni avant, brume folk e labbra secche da blues cubista, parecchia elettronica rintronata ad intrufolarsi ovunque, grattuge metalliche stecche/avvelenate, inciampi e microfoni lasciati aperti.
In scioltezza lisergico/sudata da piccola Arkestra contemporanea.
Da un incontro occasionale non si può chieder di più.
**** 4 stelle Libera da ogni ortodossia di genere “The Sauna Session”.
Brillante, scavezzacollo, abrasiva ciò che basta.
Che mette insieme i nostri Glauco Benedetti (tuba), Piero Bittolo Bon (fiati e no input electronics), Simone Massaron e le sue corde, Tommaso Cappellato alla batteria e la tromba del newyorchese Peter Evans.
Inarrestabili e genialmente slogati, a buttar nel calderone free, pose da soundtrack western, rarefazioni avant, brume folk e labbra secche da blues cubista, parecchia elettronica rintronata ad intrufolarsi ovunque, grattuge metalliche stecche/avvelenate, inciampi e microfoni lasciati aperti.
In scioltezza lisergico/sudata da piccola Arkestra contemporanea.
Da un incontro occasionale non si può chieder di più.
**** 4 stelle
No Pair – Tracce Di Jazz
Prendete quattro belle speranze del jazz italiano che non disdegnano rock e avanguardia, aggiungete un’etichetta discografica che di questo genere di contaminazione ha fatto la sua cifra stilistica, innaffiate il tutto con abbondante creatività e miscelate con l’energia di cento braccia. Il piatto si chiama “NoPair” e va servito caldo…
Chaos and OrderNoPair è il quartetto elettrico del compositore, clarinettista e sassofonista Francesco Chiapperini, originario di Bari ma di stanza a Milano, che in “Chaos and Order” è autore di tutti i brani ed imbraccia clarinetto basso e soprano; sono con lui Gianluca Elia al sax tenore, Dario Trapani alla chitarra ed effetti elettronici ed il batterista Antonio Fusco, trasferitosi di recente in Germania.
L’album in questione è uscito negli ultimi giorni dello scorso anno per Long Song Records (etichetta coraggiosa che da sempre propone ardite miscele sonore tra jazz, rock e musica improvvisata, come recita la didascalia presente sul suo sito Internet) e sin dal titolo esplicita le direttrici artistiche della sua progettualità: strutture formali preordinate si alternano a momenti liberi ed apparentemente caotici, che ad un ascolto più attento, tuttavia, si rivelano essenziali per sottolineare la qualità delle partiture e conferire direzioni diverse al flusso sonoro.
Gli ingredienti di questa miscela esplosiva sono apparentemente semplici: brani di durata medio-lunga (tra i 7 e gli 11 minuti, con una sola eccezione) che consentono continui cambiamenti di atmosfera e variazioni delle dinamiche anche all’interno dello stesso pezzo; formazione che sa trasformarsi all’occorrenza da quartetto a trio, duo e solo, sempre con estrema efficacia; suoni prevalentemente scuri e tempi che virano dal lento al velocissimo, talvolta a mezzo di breaks esplosivi, in altre occasioni mediante aumenti e rilasci della tensione espressiva; impasti sonori particolarmente originali e musicisti che, se dal vivo non lesinano virtuosisimi e vorticosi momenti solistici, in studio si mettono al servizio dell’insieme, con una particolare menzione alla chitarra di Trapani, che con i suoi annessi elettronici produce fondali di sicuro riferimento per i partners e non fa rimpiangere la mancanza di un basso in formazione.
Il brano di apertura, “EDAG”, propone un riff di matrice jazz-rock, da cui prende forma una intensa improvvisazione free del tenore di Elia, ben sostenuto dai fondali di Trapani e dai contrappunti del clarinetto soprano di Chiapperini; dopo il break, è il leader a farsi protagonista di un intervento solistico dal suono riverberato e dalle curve sinuose, prima della sezione finale che riprende il riff di apertura, per poi dissolversi in un’ambientazione tutta giocata su timbri ed effetti.
“Sliding Snikers” è introdotta da un bel solo di Fusco, che predilige, per l’occasione, puntare sui colori piuttosto che sul ritmo; gli inserimenti della chitarra prima e dei fiati poi fanno ribollire il magma sonoro e crescere la tensione, fino ad esplodere a metà brano in una energica scansione rock. Ma anche in questo caso il climax è destinato a cambiare presto, in una progressiva dissolvenza che si risolve in un bel solo di chitarra, per poi riprendere intensità e ritmo prima del dialogo finale tra i due fiati.
Uno degli episodi più riusciti è senza dubbio “Spreadsheet”, dall’inizio dolente, quasi come una vecchia “ballad”, con la melodia esposta dai due fiati da cui prende presto le mosse un bel tema bluesy del clarinetto; ma ancora una volta uno stacco netto ci porta altrove, ed un ritmo deciso fa spiccare il volo al tenore, sorretto da preziosi contrappunti chitarristici fino all’atterraggio, guarda caso, sullo stesso soffice terreno da cui era partito il tutto.
Segue “Heavy Walk”, con i fiati appoggiati su un pedale minimale di Trapani ed un drumming leggero di Fusco; l’assolo al clarinetto soprano del leader è caldo ed avvolgente e rimanda per qualche istante la memoria al deserto sahariano. Il break a metà brano sposta ancora una volta l’accento sul ritmo, ma questa volta la matrice rock è contaminata da reminescenze mediorientali.
“Brain Misty”, dall’inizio particolarmente greve, è valorizzata da un prezioso solo del tenore di Elia, in tono sommesso e a tempo lento, ricamato dai suoni di Trapani e in un secondo tempo dal clarinetto basso di Chiapperini; dopo un altro bel momento solistico di Fusco, che gioca a lungo con timbri e colori, la chitarra prende fuoco ed i fiati partecipano con energia esplosiva a tre minuti di puro rock.
Chiude l’album “No Pair”, altro pezzo di particolare efficacia e manifesto del gruppo sin dal titolo, introdotto in stile noise dalla sola chitarra, alla quale si uniscono poi la batteria ed i fiati, che sviluppano un tema reiterato quasi da film horror; suoni gutturali trasportano quindi l’ascoltatore verso un finale in cui la scansione rock è continuamente spezzata da suggestivi breaks di fiati e chitarra.
Insomma, non c’è di che annoiarsi; da ultimo occorre sottolineare la grande cura dei suoni e la qualità della produzione, sia in fase di registrazione che di assemblaggio del materiale; elementi indispensabili, questi, per apprezzare al meglio la proposta e la voce originale di un gruppo che farà sicuramente parlare di sè nel prossimo futuro.Prendete quattro belle speranze del jazz italiano che non disdegnano rock e avanguardia, aggiungete un’etichetta discografica che di questo genere di contaminazione ha fatto la sua cifra stilistica, innaffiate il tutto con abbondante creatività e miscelate con l’energia di cento braccia. Il piatto si chiama “NoPair” e va servito caldo…
Chaos and OrderNoPair è il quartetto elettrico del compositore, clarinettista e sassofonista Francesco Chiapperini, originario di Bari ma di stanza a Milano, che in “Chaos and Order” è autore di tutti i brani ed imbraccia clarinetto basso e soprano; sono con lui Gianluca Elia al sax tenore, Dario Trapani alla chitarra ed effetti elettronici ed il batterista Antonio Fusco, trasferitosi di recente in Germania.
L’album in questione è uscito negli ultimi giorni dello scorso anno per Long Song Records (etichetta coraggiosa che da sempre propone ardite miscele sonore tra jazz, rock e musica improvvisata, come recita la didascalia presente sul suo sito Internet) e sin dal titolo esplicita le direttrici artistiche della sua progettualità: strutture formali preordinate si alternano a momenti liberi ed apparentemente caotici, che ad un ascolto più attento, tuttavia, si rivelano essenziali per sottolineare la qualità delle partiture e conferire direzioni diverse al flusso sonoro.
Gli ingredienti di questa miscela esplosiva sono apparentemente semplici: brani di durata medio-lunga (tra i 7 e gli 11 minuti, con una sola eccezione) che consentono continui cambiamenti di atmosfera e variazioni delle dinamiche anche all’interno dello stesso pezzo; formazione che sa trasformarsi all’occorrenza da quartetto a trio, duo e solo, sempre con estrema efficacia; suoni prevalentemente scuri e tempi che virano dal lento al velocissimo, talvolta a mezzo di breaks esplosivi, in altre occasioni mediante aumenti e rilasci della tensione espressiva; impasti sonori particolarmente originali e musicisti che, se dal vivo non lesinano virtuosisimi e vorticosi momenti solistici, in studio si mettono al servizio dell’insieme, con una particolare menzione alla chitarra di Trapani, che con i suoi annessi elettronici produce fondali di sicuro riferimento per i partners e non fa rimpiangere la mancanza di un basso in formazione.
Il brano di apertura, “EDAG”, propone un riff di matrice jazz-rock, da cui prende forma una intensa improvvisazione free del tenore di Elia, ben sostenuto dai fondali di Trapani e dai contrappunti del clarinetto soprano di Chiapperini; dopo il break, è il leader a farsi protagonista di un intervento solistico dal suono riverberato e dalle curve sinuose, prima della sezione finale che riprende il riff di apertura, per poi dissolversi in un’ambientazione tutta giocata su timbri ed effetti.
“Sliding Snikers” è introdotta da un bel solo di Fusco, che predilige, per l’occasione, puntare sui colori piuttosto che sul ritmo; gli inserimenti della chitarra prima e dei fiati poi fanno ribollire il magma sonoro e crescere la tensione, fino ad esplodere a metà brano in una energica scansione rock. Ma anche in questo caso il climax è destinato a cambiare presto, in una progressiva dissolvenza che si risolve in un bel solo di chitarra, per poi riprendere intensità e ritmo prima del dialogo finale tra i due fiati.
Uno degli episodi più riusciti è senza dubbio “Spreadsheet”, dall’inizio dolente, quasi come una vecchia “ballad”, con la melodia esposta dai due fiati da cui prende presto le mosse un bel tema bluesy del clarinetto; ma ancora una volta uno stacco netto ci porta altrove, ed un ritmo deciso fa spiccare il volo al tenore, sorretto da preziosi contrappunti chitarristici fino all’atterraggio, guarda caso, sullo stesso soffice terreno da cui era partito il tutto.
Segue “Heavy Walk”, con i fiati appoggiati su un pedale minimale di Trapani ed un drumming leggero di Fusco; l’assolo al clarinetto soprano del leader è caldo ed avvolgente e rimanda per qualche istante la memoria al deserto sahariano. Il break a metà brano sposta ancora una volta l’accento sul ritmo, ma questa volta la matrice rock è contaminata da reminescenze mediorientali.
“Brain Misty”, dall’inizio particolarmente greve, è valorizzata da un prezioso solo del tenore di Elia, in tono sommesso e a tempo lento, ricamato dai suoni di Trapani e in un secondo tempo dal clarinetto basso di Chiapperini; dopo un altro bel momento solistico di Fusco, che gioca a lungo con timbri e colori, la chitarra prende fuoco ed i fiati partecipano con energia esplosiva a tre minuti di puro rock.
Chiude l’album “No Pair”, altro pezzo di particolare efficacia e manifesto del gruppo sin dal titolo, introdotto in stile noise dalla sola chitarra, alla quale si uniscono poi la batteria ed i fiati, che sviluppano un tema reiterato quasi da film horror; suoni gutturali trasportano quindi l’ascoltatore verso un finale in cui la scansione rock è continuamente spezzata da suggestivi breaks di fiati e chitarra.
Insomma, non c’è di che annoiarsi; da ultimo occorre sottolineare la grande cura dei suoni e la qualità della produzione, sia in fase di registrazione che di assemblaggio del materiale; elementi indispensabili, questi, per apprezzare al meglio la proposta e la voce originale di un gruppo che farà sicuramente parlare di sè nel prossimo futuro.
No Pair – Trentino Corriere Alpi
E’ partito sabato scorso dal Café Théatre Artemisia di Arco il tour del quartetto No Pair, che presentava il nuovo album della formazione lombarda, “Chaos and Order”, pubblicato da pochi giorni. Formato dal clarinettista Francesco Chiapperini, dal sassofonista tenore Gianluca Elia, dal chitarrista Dario Trapani e dal batterista Antonio Fusco, il quartetto spicca per l’originalità dell’organico strumentale, dove ai due fiati della front-line è abbinata una sezione ritmica che rinuncia alla presenza del basso, affidando a chitarra e batteria la funzione di motore ritmico del gruppo. In realtà le linee del basso sono tracciate in taluni episodi dallo stesso chitarrista, ma caratteristica del gruppo è una notevole elasticità nella combinazione tra gli strumenti, tra gli episodi strutturati e quelli più liberi, tra i generi presentati. La chitarra si può associare di volta in volta alla batteria nella costruzione di una scansione ritmica, oppure agli strumenti a fiato nel disegnare parti melodiche e contrappunti. Il contrasto tra i due fiati è stimolante, con i clarinetti del leader Francesco Chiapperini sobri e misurati e il tenore di Elia più scuro e nero-americano, a tratti decisamente free. Tale duttilità nei ruoli è supportata anche dalla varietà stilistica proposta dal quartetto: la matrice fondamentale è quella del jazz, ma gli stimoli si affacciano su tutta la contemporaneità, guardando al rock, al jungle, al noise. La scansione del rock e la spinta del jazz si mescolano alle costruzioni ben tornite, tutte dovute al leader della formazione, mettendo gli strumenti di volta in volta in contrasto o in relazione dialogica. La formazione si è esibita con successo al concerto di Arco, mostrando senza dubbio di essere uno dei giovani gruppi più originali e agguerriti della scena italiana. E’ partito sabato scorso dal Café Théatre Artemisia di Arco il tour del quartetto No Pair, che presentava il nuovo album della formazione lombarda, “Chaos and Order”, pubblicato da pochi giorni. Formato dal clarinettista Francesco Chiapperini, dal sassofonista tenore Gianluca Elia, dal chitarrista Dario Trapani e dal batterista Antonio Fusco, il quartetto spicca per l’originalità dell’organico strumentale, dove ai due fiati della front-line è abbinata una sezione ritmica che rinuncia alla presenza del basso, affidando a chitarra e batteria la funzione di motore ritmico del gruppo. In realtà le linee del basso sono tracciate in taluni episodi dallo stesso chitarrista, ma caratteristica del gruppo è una notevole elasticità nella combinazione tra gli strumenti, tra gli episodi strutturati e quelli più liberi, tra i generi presentati. La chitarra si può associare di volta in volta alla batteria nella costruzione di una scansione ritmica, oppure agli strumenti a fiato nel disegnare parti melodiche e contrappunti. Il contrasto tra i due fiati è stimolante, con i clarinetti del leader Francesco Chiapperini sobri e misurati e il tenore di Elia più scuro e nero-americano, a tratti decisamente free. Tale duttilità nei ruoli è supportata anche dalla varietà stilistica proposta dal quartetto: la matrice fondamentale è quella del jazz, ma gli stimoli si affacciano su tutta la contemporaneità, guardando al rock, al jungle, al noise. La scansione del rock e la spinta del jazz si mescolano alle costruzioni ben tornite, tutte dovute al leader della formazione, mettendo gli strumenti di volta in volta in contrasto o in relazione dialogica. La formazione si è esibita con successo al concerto di Arco, mostrando senza dubbio di essere uno dei giovani gruppi più originali e agguerriti della scena italiana.
Udu Calls Trio – Blow Up
Tiziano Tononi e Daniele Cavallanti, con la gentile partecipazione di William Parker, sono riportati alla luce in un set del 1999 al Vancouver International Jazz Festival. Non è un reperto archeologico perché il credo di Tononi è sempre stato coerentemente legato alla dimensione storica della great black music e dunque l’anno di produzione di un album ha in sé scarsa importanza. Due sole ampie tracce in ciascuna delle quali il trio ha modo sia di evidenziare le individualità sia di sviluppare la dimensione collettiva. Energia espressiva, senso ritmico elevato, liberazione dei sensi e degli intelletti, che volete di più?
Voto: 7/8 Tiziano Tononi e Daniele Cavallanti, con la gentile partecipazione di William Parker, sono riportati alla luce in un set del 1999 al Vancouver International Jazz Festival. Non è un reperto archeologico perché il credo di Tononi è sempre stato coerentemente legato alla dimensione storica della great black music e dunque l’anno di produzione di un album ha in sé scarsa importanza. Due sole ampie tracce in ciascuna delle quali il trio ha modo sia di evidenziare le individualità sia di sviluppare la dimensione collettiva. Energia espressiva, senso ritmico elevato, liberazione dei sensi e degli intelletti, che volete di più?
Voto: 7/8
diskoryxeion – Lasting Ephemerals
Τριπλή εταιρική συνεργασία (Amirani, Long Song, Teriyaki) για ένα άλμπουμ βινυλίου (“Lasting Ephemerals”) που φέρνει κοντά δύο προσωπικότητες της σύγχρονης avant και improvised music – τον ιταλό σοπράνο σαξοφωνίστα Gianni Mimmo και την βρετανή βιολίστρια Alison Blunt.
Για τον Mimmo έχω γράψει κι άλλες φορές στο δισκορυχείον τονίζοντας την αξία της παρουσίας του σε μια σειρά «προχωρημένων» εγγραφών της δικής του εταιρείας Amirani Records, ενώ και η Blunt (γεννημένη στην Μομπάσα της Κένυας το 1971) είναι μία μουσικός με τεράστιο αριθμό συνεργασιών και παρουσία σε δεκάδες avant events ανά τον κόσμο. Το “Lasting Ephemerals”, που είναι μία παράσταση των δύο, είναι ηχογραφημένο ζωντανά στην St. Leonard’s Shoreditch Church του Λονδίνου (26/6/2013) και, όπως και να το κάνουμε, περικλείει κάτι (πολύ) από την δυναμική όχι μόνον του duo, αλλά και του συγκεκριμένου χώρου. Τούτο διαπιστώνεται, βασικά, από το «βάθος πεδίου» και την επιστημονικώς μελετημένη ανάδραση της εγγραφής (όσον αφορά στα τεχνικά χαρακτηριστικά), αλλά και από τον τρόπο που παρίστανται οι δύο μουσικοί σ’ έναν ναό, που είναι 270 χρόνια παλαιός. Υποθέτω, δηλαδή, πως ο λυρισμός ορισμένων συνθέσεων, ή μάλλον, καλύτερα, ορισμένων μερών των συνθέσεων, δεν μπορεί να είναι άμοιρος τής εσωτερικής αρχιτεκτονικής ομορφιάς και του περιβάλλοντος χώρου. Αλλιώς, τι νόημα θα είχε να ηχογραφήσει κανείς σ’ έναν τέτοιο τόπο; Θέλω να πω πως αν εύρισκε εκεί ό,τι θα μπορούσε να βρει σ’ ένα στούντιο, τότε δεν θα υπήρχε ουδείς λόγος να κανονιστεί μιαν ηχογράφηση σ’ ένα μνημείο του 18ου αιώνα.
Ξεκινώντας από ’κει θα έλεγα πως και οι τρεις συνθέσεις του LP, το 22λεπτο φερώνυμο κομμάτι, το 12λεπτο “Elliptical birds” και το σχεδόν 9λεπτο “Scherzo”, δεν μπορεί παρά να ανταποκρίνονται στις απαιτήσεις μιας τόσο «ειδικής» παράστασης, συγκεράζοντας στοιχεία μουσικής δωματίου και ελεύθερου αυτοσχεδιασμού με τον πιο απροσδόκητο τρόπο. Τόσο ο Mimmo όσο και η Blunt επιχειρούν να εκμεταλλευτούν κάθε ηχόχρωμα των οργάνων τους, παίζοντας σε συμφωνία φάσης ή μη, και με ρόλους που μπορεί να δημιουργούν συνεχώς διαβρωτικά περιβάλλοντα (ο ένας δηλαδή να υποσκάπτει την παρουσία του άλλου στην εξέλιξη της «σύνθεσης»). Έτσι παρατηρούμε συχνά, για παράδειγμα, το ένα όργανο ν’ ακούγεται «μπροστά» και το άλλο να δημιουργεί, σ’ ένα «πίσω» επίπεδο, αλλόκοτες γενικώς καταστάσεις. Αυτή η εναλλαγή προσώπων και ηχοχρωμάτων προσφέρει στο “Lasting Ephemerals” επιπρόσθετους βαθμούς πλαστικότητας, μετατρέποντάς το σ’ ένα συνειδητό άκουσμα για την… μισή οικογένεια.
Στο πλαίσιο των 49ων Δημητρίων, την 7/10/2014 (δηλαδή προχθές), ο Gianni Mimmo μαζί με τον πιανίστα Gianni Lenoci και την ελληνική Plus’ n’ Minus Collective Orchestra θα εμφανίζονταν στην Αίθουσα δοκιμών της Κ.Ο.Θ. (πρώην κινηματογράφος Παλλάς) στη Θεσσαλονίκη. Αν πήγε κάποιος και παρακολούθησε, ας μας πει δυο λόγια…Τριπλή εταιρική συνεργασία (Amirani, Long Song, Teriyaki) για ένα άλμπουμ βινυλίου (“Lasting Ephemerals”) που φέρνει κοντά δύο προσωπικότητες της σύγχρονης avant και improvised music – τον ιταλό σοπράνο σαξοφωνίστα Gianni Mimmo και την βρετανή βιολίστρια Alison Blunt.
Για τον Mimmo έχω γράψει κι άλλες φορές στο δισκορυχείον τονίζοντας την αξία της παρουσίας του σε μια σειρά «προχωρημένων» εγγραφών της δικής του εταιρείας Amirani Records, ενώ και η Blunt (γεννημένη στην Μομπάσα της Κένυας το 1971) είναι μία μουσικός με τεράστιο αριθμό συνεργασιών και παρουσία σε δεκάδες avant events ανά τον κόσμο. Το “Lasting Ephemerals”, που είναι μία παράσταση των δύο, είναι ηχογραφημένο ζωντανά στην St. Leonard’s Shoreditch Church του Λονδίνου (26/6/2013) και, όπως και να το κάνουμε, περικλείει κάτι (πολύ) από την δυναμική όχι μόνον του duo, αλλά και του συγκεκριμένου χώρου. Τούτο διαπιστώνεται, βασικά, από το «βάθος πεδίου» και την επιστημονικώς μελετημένη ανάδραση της εγγραφής (όσον αφορά στα τεχνικά χαρακτηριστικά), αλλά και από τον τρόπο που παρίστανται οι δύο μουσικοί σ’ έναν ναό, που είναι 270 χρόνια παλαιός. Υποθέτω, δηλαδή, πως ο λυρισμός ορισμένων συνθέσεων, ή μάλλον, καλύτερα, ορισμένων μερών των συνθέσεων, δεν μπορεί να είναι άμοιρος τής εσωτερικής αρχιτεκτονικής ομορφιάς και του περιβάλλοντος χώρου. Αλλιώς, τι νόημα θα είχε να ηχογραφήσει κανείς σ’ έναν τέτοιο τόπο; Θέλω να πω πως αν εύρισκε εκεί ό,τι θα μπορούσε να βρει σ’ ένα στούντιο, τότε δεν θα υπήρχε ουδείς λόγος να κανονιστεί μιαν ηχογράφηση σ’ ένα μνημείο του 18ου αιώνα.
Ξεκινώντας από ’κει θα έλεγα πως και οι τρεις συνθέσεις του LP, το 22λεπτο φερώνυμο κομμάτι, το 12λεπτο “Elliptical birds” και το σχεδόν 9λεπτο “Scherzo”, δεν μπορεί παρά να ανταποκρίνονται στις απαιτήσεις μιας τόσο «ειδικής» παράστασης, συγκεράζοντας στοιχεία μουσικής δωματίου και ελεύθερου αυτοσχεδιασμού με τον πιο απροσδόκητο τρόπο. Τόσο ο Mimmo όσο και η Blunt επιχειρούν να εκμεταλλευτούν κάθε ηχόχρωμα των οργάνων τους, παίζοντας σε συμφωνία φάσης ή μη, και με ρόλους που μπορεί να δημιουργούν συνεχώς διαβρωτικά περιβάλλοντα (ο ένας δηλαδή να υποσκάπτει την παρουσία του άλλου στην εξέλιξη της «σύνθεσης»). Έτσι παρατηρούμε συχνά, για παράδειγμα, το ένα όργανο ν’ ακούγεται «μπροστά» και το άλλο να δημιουργεί, σ’ ένα «πίσω» επίπεδο, αλλόκοτες γενικώς καταστάσεις. Αυτή η εναλλαγή προσώπων και ηχοχρωμάτων προσφέρει στο “Lasting Ephemerals” επιπρόσθετους βαθμούς πλαστικότητας, μετατρέποντάς το σ’ ένα συνειδητό άκουσμα για την… μισή οικογένεια.
Στο πλαίσιο των 49ων Δημητρίων, την 7/10/2014 (δηλαδή προχθές), ο Gianni Mimmo μαζί με τον πιανίστα Gianni Lenoci και την ελληνική Plus’ n’ Minus Collective Orchestra θα εμφανίζονταν στην Αίθουσα δοκιμών της Κ.Ο.Θ. (πρώην κινηματογράφος Παλλάς) στη Θεσσαλονίκη. Αν πήγε κάποιος και παρακολούθησε, ας μας πει δυο λόγια…
Mark Corroto – Allboutjazz.com
The Vancouver Tapes might have been called The Lost Recordings had drummer Tiziano Tononi not found this recording at the bottom of a chest he stored it in after his appearance with saxophonist Daniele Cavallanti and bassist William Parker. It was their first ever meeting at the 1999 Vancouver Jazz Festival.
The instant the trio hits the stage the upsurge of energy is palpable. Nay flute, bells, and the dynamo of Parker’s bass ignites the two lengthy sets. While the Milanese musicians Cavallanti and Tononi were long time collaborators, recording the original duo Udu Calls (Splasc(h), 1996), in tribute bands to Rahsaan Roland Kirk, Don Cherry, and Ornette Coleman, and as members of the Italian Instabile Orchestra, this is their first meeting with the heavyweight champion of New York’s free jazz scene.
While the three would reunite for Spirits Up Above (Splasc(h), 2006), this recording, although troubled by less than perfect sound, is a rare treasure.
Parker’s bass inspires the Italians to reach back into the the New York scene that produced the music of Frank Lowe, Albert Ayler, and Marion Brown. Add to that Parker’s association with David S. Ware, and the table was set for some fireworks. Cavallanti has covered several Ayler compositions on his discs; here he freely quotes from the Holy Ghost’s repertoire. Such is the attraction of this trio. They glide between marches, frenetic passages, nursery rhymes, and graceful interactions without fragmentation. Credit Tononi’s inexhaustible supply of percussive devices. He is in constant conversation with Cavallanti and Parker, prodding sounds, rousing flights, and stirring the freedom pot. If this music doesn’t move you, then as they say, “Jack, your dead.”
Track Listing: First Set: Subterranean Streams Of Consciousness; Second Set: Shadows Of The Night.
Personnel: Daniele Cavallanti: tenor saxophone, baritone saxophone, nay flute, bells; William Parker: double bass; Tiziano Tononi: drums, congas, udu drum, gong, bells, whistles.
**** 4 starsThe Vancouver Tapes might have been called The Lost Recordings had drummer Tiziano Tononi not found this recording at the bottom of a chest he stored it in after his appearance with saxophonist Daniele Cavallanti and bassist William Parker. It was their first ever meeting at the 1999 Vancouver Jazz Festival.
The instant the trio hits the stage the upsurge of energy is palpable. Nay flute, bells, and the dynamo of Parker’s bass ignites the two lengthy sets. While the Milanese musicians Cavallanti and Tononi were long time collaborators, recording the original duo Udu Calls (Splasc(h), 1996), in tribute bands to Rahsaan Roland Kirk, Don Cherry, and Ornette Coleman, and as members of the Italian Instabile Orchestra, this is their first meeting with the heavyweight champion of New York’s free jazz scene.
While the three would reunite for Spirits Up Above (Splasc(h), 2006), this recording, although troubled by less than perfect sound, is a rare treasure.
Parker’s bass inspires the Italians to reach back into the the New York scene that produced the music of Frank Lowe, Albert Ayler, and Marion Brown. Add to that Parker’s association with David S. Ware, and the table was set for some fireworks. Cavallanti has covered several Ayler compositions on his discs; here he freely quotes from the Holy Ghost’s repertoire. Such is the attraction of this trio. They glide between marches, frenetic passages, nursery rhymes, and graceful interactions without fragmentation. Credit Tononi’s inexhaustible supply of percussive devices. He is in constant conversation with Cavallanti and Parker, prodding sounds, rousing flights, and stirring the freedom pot. If this music doesn’t move you, then as they say, “Jack, your dead.”
Track Listing: First Set: Subterranean Streams Of Consciousness; Second Set: Shadows Of The Night.
Personnel: Daniele Cavallanti: tenor saxophone, baritone saxophone, nay flute, bells; William Parker: double bass; Tiziano Tononi: drums, congas, udu drum, gong, bells, whistles.
**** 4 stars