La Foce Del Ladrone – mpnews.it

Evviva le conferme, perché le conferme nella vita sono importantissime. E questo nuovo disco “genovese” del polidealista musicale Fabio Zuffanti, il terzo, mette nero su bianco una volte per tutte che se intorno è un continuo parto cesareo iniziatico per una massa di finti cantautori, roba disegnata a tavolino per consumi sempre più famelici e grossolani, qui dentro c’è poesia, sangue e carne figlia del suo tempo e della spiritualità tangibile del maestro Battiato, che lievita tra le tracce e nella parodia del titolo del suo album “La voce del padrone”, che in questo caso si personalizza in “La Foce del ladrone”.

“Essere figlio del suo tempo”: pare che il nostro Zuffanti lo abbia percepito bene, in queste otto tracce rispetta il momento, ama il passato e sogna il futuro, e vive e ci fa vivere il totale del quadro e non si annulla come un codice a barre nell’infinito dell’autocelebrazione: canta ciò che sente con le vibrisse dell’anima, ed è sinceramente un bel sentire.

L’uomo Fabio e il musicista Zuffanti se ne sono usciti con un lavoretto niente male che – anche se non offre l’offerta speciale di una o più svolte stilistiche da enciclopedia – conferma la passione ed il cuore aperto di una macchina sonora cantautoriale che si fa intendere e voler bene, schiettezza e sfumature che partecipano a portarci nel contesto delle sue storie, non solo come audiofili da piazzare davanti ad una fonte sonora, ma come “spettatori fisici” davanti ad un palcoscenico di note. I suoi non sono modelli levati ad altarini, solamente fonti d’ispirazione e linguaggi che si vanno a customerizzare nella sua profonda personalità di penna e di mente, tra lo spiritato dolce ed il liberatorio intrigante.

E se il Battisti Lucio pare bagnare di luce “Musica strana”, “Una nuova stagione” e “In cantina”, la scia profumata dei groove di Battiato, le onde d’archi che ti rapiscono a mulinello d’aria in “Capo Nord”, i contrappunti di pianoforte che dipingono la pelle di “Se c’è lei”, e il saluto finale che fa saltelli e stelle luccicanti in “It’s time to land” la dicono lunga sull’ironia dell’artista Zuffanti, una concessione al pop di marca che non tira all’alba, ma si ferma nel momento preciso in cui il gioco diventa fiamma cantautorale di pregio, e dove c’è fiamma c’è sempre un fuoco poetico da bruciare.

Disco che si ascolta tra una Sprite disimpegnata ed uno Scotch Whisky importante e secco.Evviva le conferme, perché le conferme nella vita sono importantissime. E questo nuovo disco “genovese” del polidealista musicale Fabio Zuffanti, il terzo, mette nero su bianco una volte per tutte che se intorno è un continuo parto cesareo iniziatico per una massa di finti cantautori, roba disegnata a tavolino per consumi sempre più famelici e grossolani, qui dentro c’è poesia, sangue e carne figlia del suo tempo e della spiritualità tangibile del maestro Battiato, che lievita tra le tracce e nella parodia del titolo del suo album “La voce del padrone”, che in questo caso si personalizza in “La Foce del ladrone”.

“Essere figlio del suo tempo”: pare che il nostro Zuffanti lo abbia percepito bene, in queste otto tracce rispetta il momento, ama il passato e sogna il futuro, e vive e ci fa vivere il totale del quadro e non si annulla come un codice a barre nell’infinito dell’autocelebrazione: canta ciò che sente con le vibrisse dell’anima, ed è sinceramente un bel sentire.

L’uomo Fabio e il musicista Zuffanti se ne sono usciti con un lavoretto niente male che – anche se non offre l’offerta speciale di una o più svolte stilistiche da enciclopedia – conferma la passione ed il cuore aperto di una macchina sonora cantautoriale che si fa intendere e voler bene, schiettezza e sfumature che partecipano a portarci nel contesto delle sue storie, non solo come audiofili da piazzare davanti ad una fonte sonora, ma come “spettatori fisici” davanti ad un palcoscenico di note. I suoi non sono modelli levati ad altarini, solamente fonti d’ispirazione e linguaggi che si vanno a customerizzare nella sua profonda personalità di penna e di mente, tra lo spiritato dolce ed il liberatorio intrigante.

E se il Battisti Lucio pare bagnare di luce “Musica strana”, “Una nuova stagione” e “In cantina”, la scia profumata dei groove di Battiato, le onde d’archi che ti rapiscono a mulinello d’aria in “Capo Nord”, i contrappunti di pianoforte che dipingono la pelle di “Se c’è lei”, e il saluto finale che fa saltelli e stelle luccicanti in “It’s time to land” la dicono lunga sull’ironia dell’artista Zuffanti, una concessione al pop di marca che non tira all’alba, ma si ferma nel momento preciso in cui il gioco diventa fiamma cantautorale di pregio, e dove c’è fiamma c’è sempre un fuoco poetico da bruciare.

Disco che si ascolta tra una Sprite disimpegnata ed uno Scotch Whisky importante e secco.

La Foce Del Ladrone – centromusicacremona.it

Ok, ho aperto la busta, tiro fuori il cd e ho detto, è Battiato. E in effetti leggendo e ascoltando le influenze sono palesi. La piccola differenza (Padrone/Ladrone) è spiegata così: “…penso che il ladrone, anzi i ladroni, siamo tutti noi musicisti/compositori”, Fabio si rivolge qui al fatto che oltre alla semplice ispirazione durante la composizione, c’è sempre un chiaro riferimento altrui. Come dargli torto? Spiegato il riferimento visivo e ovviamente strumentale, Fabio Zuffanti ha una carriera di diciasette anni alle spalle, come musicista, precisamente bassista prog-rock, nei Finisterre, e successivamente altri gruppi. Prima di arrivare al pop di “La foce del ladrone” ha avuto esperienze anche di elettronica, in stile Bluvertigo. E se azzardiamo a mischiare il prog-rock ad un minimo di elettronica, troviamo appunto alcuni dei pezzi contenuti in questo album. I testi spaziano tra sogni, vicende e ricordi anche molto personali (1986) e pure una piccola denuncia alla musica moderna e da tivù (Musica Strana, dal quale è tratto il singolo e il videoclip che annunceranno l’album), e alla società (It’s time to land). Complessivamente questo sentito omaggio a Battiato, è un ottimo disco di “semplice” pop, con le varie accezioni del termine, e ovviamente con i grandi cambi stilistici dati dall’esperienza di Fabio Zuffanti.Ok, ho aperto la busta, tiro fuori il cd e ho detto, è Battiato. E in effetti leggendo e ascoltando le influenze sono palesi. La piccola differenza (Padrone/Ladrone) è spiegata così: “…penso che il ladrone, anzi i ladroni, siamo tutti noi musicisti/compositori”, Fabio si rivolge qui al fatto che oltre alla semplice ispirazione durante la composizione, c’è sempre un chiaro riferimento altrui. Come dargli torto? Spiegato il riferimento visivo e ovviamente strumentale, Fabio Zuffanti ha una carriera di diciasette anni alle spalle, come musicista, precisamente bassista prog-rock, nei Finisterre, e successivamente altri gruppi. Prima di arrivare al pop di “La foce del ladrone” ha avuto esperienze anche di elettronica, in stile Bluvertigo. E se azzardiamo a mischiare il prog-rock ad un minimo di elettronica, troviamo appunto alcuni dei pezzi contenuti in questo album. I testi spaziano tra sogni, vicende e ricordi anche molto personali (1986) e pure una piccola denuncia alla musica moderna e da tivù (Musica Strana, dal quale è tratto il singolo e il videoclip che annunceranno l’album), e alla società (It’s time to land). Complessivamente questo sentito omaggio a Battiato, è un ottimo disco di “semplice” pop, con le varie accezioni del termine, e ovviamente con i grandi cambi stilistici dati dall’esperienza di Fabio Zuffanti.

La Foce Del Ladrone – ilmascalzone.it

Giocoliere e sognatore. Melanconico al punto giusto, quanto basta per coprire i dettagli di sottile ironia. Di trasformare la bile nera in irriverenza e coscienziosa speranza. Scende fino in fondo, Fabio Zuffanti. Fino ad arrivare alla “Foce del ladrone”, ultimo album dell’artista genovese in cui si racchiudono e condensano quasi venti anni di carriera e molteplici territori musicali. Un lavoro di pura musica pop, nell’accezione migliore del termine, dove si fa il verso al maestro compositore Franco Battiato. In effetti i rimandi, testuali e musicali, all’album che nel 1981 diede una forte scossa al successo dell’artista siciliano, sono più che evidenti. D’altronde non se ne fa assoluto mistero, né tantomeno si evince la voglia di celare o nascondere. L’artista, quello con la A maiuscola, non può non prendere ispirazione pur costruendo secondo i propri canoni. E’ una legge di natura. Nulla si crea o si distrugge. Tutto si trasforma. Allora tanto vale ritornare alla foce, laddove due universi possono incontrarsi e trarne arricchimento in un estasi di passione e ricordi (1986). Correndo sopra le onde “sciogliendo il pensiero come vele al vento” (Capo Nord), nella speranza di “catapultarmi dentro un mondo che non esiste e non esisterà, in cui la terra sparirà in un buco nero ed allora forse in un’altra dimensione ci saranno cose capovolte..tutti ascolteranno musica con la testa,con la pancia, con il cuore” (It’s time to land).
La delicatezza delle corde di violino accarezzano l’intero lavoro che ama perdersi nei meandri di una vita a metà del guado, tra realismo e surrealismo (In cantina, Se c’è lei), dove c’è tempo e spazio per attese, aneddoti, speranze e magari anche una Nuova Stagione, dove non leggere più troppe frasi insensate, verso una nuova idea. Atmosfera soft, trentanove minuti che scivolano via come un buon brandy d’annata. Fresco. Spontaneo. Che lascia il segno della piena senza mai scadere nel già visto e sentito, dove l’omaggio all’aria dismessa e contenuta del lavoro di Battiato, assume una veste originale, inedita. L’immaginazione, palestra per l’azione, trova ampiezza e pienezza di espressione in questi otto brani che strizzano l’occhio a certa tradizione italiana (Alberto Fortis, Enzo Carella, Lucio Battisti). Nulla è lasciato al caso e si vede, così come il retroterra culturale e musicale che fa da sfondo ad un sound che pare abbracciarti mentre, sulla poltrona di casa, consumi l’ennesimo Cohiba. Da ascoltare… e provare.Giocoliere e sognatore. Melanconico al punto giusto, quanto basta per coprire i dettagli di sottile ironia. Di trasformare la bile nera in irriverenza e coscienziosa speranza. Scende fino in fondo, Fabio Zuffanti. Fino ad arrivare alla “Foce del ladrone”, ultimo album dell’artista genovese in cui si racchiudono e condensano quasi venti anni di carriera e molteplici territori musicali. Un lavoro di pura musica pop, nell’accezione migliore del termine, dove si fa il verso al maestro compositore Franco Battiato. In effetti i rimandi, testuali e musicali, all’album che nel 1981 diede una forte scossa al successo dell’artista siciliano, sono più che evidenti. D’altronde non se ne fa assoluto mistero, né tantomeno si evince la voglia di celare o nascondere. L’artista, quello con la A maiuscola, non può non prendere ispirazione pur costruendo secondo i propri canoni. E’ una legge di natura. Nulla si crea o si distrugge. Tutto si trasforma. Allora tanto vale ritornare alla foce, laddove due universi possono incontrarsi e trarne arricchimento in un estasi di passione e ricordi (1986). Correndo sopra le onde “sciogliendo il pensiero come vele al vento” (Capo Nord), nella speranza di “catapultarmi dentro un mondo che non esiste e non esisterà, in cui la terra sparirà in un buco nero ed allora forse in un’altra dimensione ci saranno cose capovolte..tutti ascolteranno musica con la testa,con la pancia, con il cuore” (It’s time to land).
La delicatezza delle corde di violino accarezzano l’intero lavoro che ama perdersi nei meandri di una vita a metà del guado, tra realismo e surrealismo (In cantina, Se c’è lei), dove c’è tempo e spazio per attese, aneddoti, speranze e magari anche una Nuova Stagione, dove non leggere più troppe frasi insensate, verso una nuova idea. Atmosfera soft, trentanove minuti che scivolano via come un buon brandy d’annata. Fresco. Spontaneo. Che lascia il segno della piena senza mai scadere nel già visto e sentito, dove l’omaggio all’aria dismessa e contenuta del lavoro di Battiato, assume una veste originale, inedita. L’immaginazione, palestra per l’azione, trova ampiezza e pienezza di espressione in questi otto brani che strizzano l’occhio a certa tradizione italiana (Alberto Fortis, Enzo Carella, Lucio Battisti). Nulla è lasciato al caso e si vede, così come il retroterra culturale e musicale che fa da sfondo ad un sound che pare abbracciarti mentre, sulla poltrona di casa, consumi l’ennesimo Cohiba. Da ascoltare… e provare.

Klavier Massagen – http://freejazz-stef.blogspot.com/

I was quite charmed with Nicola Cipani’s debut album “The Ill-Tempered Piano” on which he plays only untuned and damaged pianos. On this album, he takes the instrument into real uncharted territories, with highly repetitive, drone-like sounds, resulting in feedback, screeching strings, tonal percolations, and a general weirdness that is highly likeable – and sometimes outright impressive – when in the right mood (you have to be calm and serene, if not, you risk to start throwing with things, unless the nervous and unrelenting tension on this album acts as a kind of antidote to calm even if the most restless high-strung anxious bundle of nerves into a state of zen-like acceptance).

To me, the serene mood works best in any case, and it may help to appreciate Cipani’s unique and interesting voice.I was quite charmed with Nicola Cipani’s debut album “The Ill-Tempered Piano” on which he plays only untuned and damaged pianos. On this album, he takes the instrument into real uncharted territories, with highly repetitive, drone-like sounds, resulting in feedback, screeching strings, tonal percolations, and a general weirdness that is highly likeable – and sometimes outright impressive – when in the right mood (you have to be calm and serene, if not, you risk to start throwing with things, unless the nervous and unrelenting tension on this album acts as a kind of antidote to calm even if the most restless high-strung anxious bundle of nerves into a state of zen-like acceptance).

To me, the serene mood works best in any case, and it may help to appreciate Cipani’s unique and interesting voice.

La Foce Del Ladrone – ilmucchio.it

Fabio Zuffanti non è un musicista dell’ultima ora e lo dimostra un curriculum artistico di tutto rispetto, che a partire dal 1994, lo vede coinvolto in diverse identità, stili, formazioni (Hostsonaten e Quadraphonic, Finisterre e La Maschera di Cera, per citarne una manciata). È una premessa importante per poter collocare meglio la sua più recente fatica, questo “La foce del ladrone” che in modo sfacciato omaggia a parole e immagini uno degli album più noti di Franco Battiato e che più discretamente (e con intelligenza), coglie di quel lavoro l’essenza musicale. L’album di Zuffanti non è un divertissement, tantomeno un’enorme masturbazione sonora. Se è vero che come un ladrone pesca a piene mani da illustri predecessori – da cui la foce, non necessariamente il cantautore siciliano – non si coglie la pretesa di sfidare l’ascoltatore ad una estenuante caccia al tesoro. Al contrario, i brani in scaletta hanno la capacità di farsi apprezzare anche, soprattutto, da chi non ha mai seguito o amato Battiato (il quale, in maniera identica, da altre sorgenti ha sempre attinto, senza farne mistero). “1986 (On A Solitary Beach)”, l’intensa “Se c’è lei”, il singolo “Musica strana” sono tra i brani migliori in scaletta, ciascuno a suo modo; quando tra melodie pop e arrangiamenti barocchi si infiltrano echi di musica prog (“In cantina”) Zuffanti raggiunge la perfezione. Probabilmente i puristi odieranno questo disco. Noi odiamo i puristi. Uno pari, palla al centro.Fabio Zuffanti non è un musicista dell’ultima ora e lo dimostra un curriculum artistico di tutto rispetto, che a partire dal 1994, lo vede coinvolto in diverse identità, stili, formazioni (Hostsonaten e Quadraphonic, Finisterre e La Maschera di Cera, per citarne una manciata). È una premessa importante per poter collocare meglio la sua più recente fatica, questo “La foce del ladrone” che in modo sfacciato omaggia a parole e immagini uno degli album più noti di Franco Battiato e che più discretamente (e con intelligenza), coglie di quel lavoro l’essenza musicale. L’album di Zuffanti non è un divertissement, tantomeno un’enorme masturbazione sonora. Se è vero che come un ladrone pesca a piene mani da illustri predecessori – da cui la foce, non necessariamente il cantautore siciliano – non si coglie la pretesa di sfidare l’ascoltatore ad una estenuante caccia al tesoro. Al contrario, i brani in scaletta hanno la capacità di farsi apprezzare anche, soprattutto, da chi non ha mai seguito o amato Battiato (il quale, in maniera identica, da altre sorgenti ha sempre attinto, senza farne mistero). “1986 (On A Solitary Beach)”, l’intensa “Se c’è lei”, il singolo “Musica strana” sono tra i brani migliori in scaletta, ciascuno a suo modo; quando tra melodie pop e arrangiamenti barocchi si infiltrano echi di musica prog (“In cantina”) Zuffanti raggiunge la perfezione. Probabilmente i puristi odieranno questo disco. Noi odiamo i puristi. Uno pari, palla al centro.

La Foce Del Ladrone – Blow Up

L’elemento emulativo ed ironico del nuovo lavoro di Zuffanti, il suo disco più insostenibilmente leggero, non si riferisce solo a quel che è così palese da risultare ingannevole, ossia Franco Battiato (nel titolo, nel layout grafico e certo pure nella musica). investe tutta la temperie del suono italiota che potremmo raccogliere sotto la bandiera di “italiani Brava Gente”, in quella forma – un poco straniante, iperreale disegnata proprio da Zingales. Elementi bipolari appaiono qua e là tra le righe dei testi, mentre le melodie disegnano amenità filosofico-balneari, critiche sociali, visionarietà divulgative. Tutte istigazioni al coretto in macchina che solleticano il ventre molle della retorica (un raggio verde bruciava la vita in pochi istanti), ad un certo punto inquietano (ed a//ora io prendo un fucile con cui faccio una bella strage non sopravvive nessuno) e alla
fine… ‘chi se ne frega’ (e corro via verso un ‘idea / una nuova stagione). ll catanese dicevamo. Evidenti, ma accortamente parche, le citazioni punteggiano l’aria canzonettistica del brano di apertura che tanto per non nascondersi dietro ad un dito si intitola 1986 (On a Solitary Beach). Ma nella musica risuona tutta la dimensione citazionistica della cultura italiana, la nostalgia che ci ha condannato in maniera patologica al memorialismo sonoro-esistenziale. Viviamo una eterna proiezione dei ricordi ’60, ’70, ’80. Le impronte che riconosciamo di più sono degli Audio2 (quelli che praticarono la pornografia: imitare Battisti, senti In Cantina), di Tiromancino (la propensione romantico-esistenziale di Zampaglione, ad esempio giù per Capo Nord) e pure di Elio e le Storie Tese (quando sono ai vertici della simulazione ironica e quasi sembrano esserci e
non farci). ll passino di Zuffanti però ha buchini piccoli piccoli e l’impasto risulta di grana fine. Non fa citazionismo Zutfanti, ma rumina tutta la stagione culturale e gli spea-
kers / gli auricolari ve la riversano. C’è qualcosa di candidamente osceno in questo disco anche perchè non si riesce a dire, definitivamente, se ‘c’è o ci fa’ (a Fabio il prog-pop piace ma ne conosce assai bene i limiti. _ .). Certo la presentazione su facebook di Tommaso Labranca diventa ingombrante e rischia di sancirne lo status di prodotto ‘intellettuale’ (o comunque psicanalitico, il suo disco-confessione, dice). Noi ci mettiamo il carico da undici (qualcosa di meno…). Pur ricordandovi, infatti, che lo Zuffanti migliore è sperimentale, non riusciamo ad evitare la tentazione di entrare nel potenziale ‘ciclo di hype’ inserendoci tra i 20.200 risultati (data stesura recensione) di google con
l’invenzione del genere paracul-situazionista reflux pop. Genere che furoreggia nell’universo parallelo in cui Debord non si suicida ma diviene ospite fisso della Prova del Cuoco e in cui Roberto Mariani non muore d’incidente stradale. Lo stesso universo dove ‘Musica Strana’ diventa il tormentone dell’estate. (… il voto è consequenziale).L’elemento emulativo ed ironico del nuovo lavoro di Zuffanti, il suo disco più insostenibilmente leggero, non si riferisce solo a quel che è così palese da risultare ingannevole, ossia Franco Battiato (nel titolo, nel layout grafico e certo pure nella musica). investe tutta la temperie del suono italiota che potremmo raccogliere sotto la bandiera di “italiani Brava Gente”, in quella forma – un poco straniante, iperreale disegnata proprio da Zingales. Elementi bipolari appaiono qua e là tra le righe dei testi, mentre le melodie disegnano amenità filosofico-balneari, critiche sociali, visionarietà divulgative. Tutte istigazioni al coretto in macchina che solleticano il ventre molle della retorica (un raggio verde bruciava la vita in pochi istanti), ad un certo punto inquietano (ed a//ora io prendo un fucile con cui faccio una bella strage non sopravvive nessuno) e alla
fine… ‘chi se ne frega’ (e corro via verso un ‘idea / una nuova stagione). ll catanese dicevamo. Evidenti, ma accortamente parche, le citazioni punteggiano l’aria canzonettistica del brano di apertura che tanto per non nascondersi dietro ad un dito si intitola 1986 (On a Solitary Beach). Ma nella musica risuona tutta la dimensione citazionistica della cultura italiana, la nostalgia che ci ha condannato in maniera patologica al memorialismo sonoro-esistenziale. Viviamo una eterna proiezione dei ricordi ’60, ’70, ’80. Le impronte che riconosciamo di più sono degli Audio2 (quelli che praticarono la pornografia: imitare Battisti, senti In Cantina), di Tiromancino (la propensione romantico-esistenziale di Zampaglione, ad esempio giù per Capo Nord) e pure di Elio e le Storie Tese (quando sono ai vertici della simulazione ironica e quasi sembrano esserci e
non farci). ll passino di Zuffanti però ha buchini piccoli piccoli e l’impasto risulta di grana fine. Non fa citazionismo Zutfanti, ma rumina tutta la stagione culturale e gli spea-
kers / gli auricolari ve la riversano. C’è qualcosa di candidamente osceno in questo disco anche perchè non si riesce a dire, definitivamente, se ‘c’è o ci fa’ (a Fabio il prog-pop piace ma ne conosce assai bene i limiti. _ .). Certo la presentazione su facebook di Tommaso Labranca diventa ingombrante e rischia di sancirne lo status di prodotto ‘intellettuale’ (o comunque psicanalitico, il suo disco-confessione, dice). Noi ci mettiamo il carico da undici (qualcosa di meno…). Pur ricordandovi, infatti, che lo Zuffanti migliore è sperimentale, non riusciamo ad evitare la tentazione di entrare nel potenziale ‘ciclo di hype’ inserendoci tra i 20.200 risultati (data stesura recensione) di google con
l’invenzione del genere paracul-situazionista reflux pop. Genere che furoreggia nell’universo parallelo in cui Debord non si suicida ma diviene ospite fisso della Prova del Cuoco e in cui Roberto Mariani non muore d’incidente stradale. Lo stesso universo dove ‘Musica Strana’ diventa il tormentone dell’estate. (… il voto è consequenziale).

Klaviermassagen – altremusiche.it

Dall’uso di un pianoforte rotto – il cui suono deformato era terreno di esplorazione in cui si giocava una musicalità prima di tutto da re-inventare – si è passati a uno strumento integro, ma fatto risuonare in maniera del tutto insolita. All’opera il pianista svizzero Nicola Cipani, che rimane ancora fedele a quella indetermitezza dell’esplorazione sonora fatta filtrare attraverso l’effetto di un accurato massaggio della cordiera di un pianoforte acustico. La tecnica più che una preparazione tradizionale di cageiana memoria sembra quella di una scelta molto concentrata sugli strumenti usati per percuotere, frizionare, strusciare le corde. Ricorrente l’uso di un oggetto che ruota su se stesso come un piccolo ventilatore – così sembra – che posto sulle corde lasciate in risonanza crea una sorta di interminabile effetto cetra-centrifugata, che è drone ipnotico e allucinato.

Ovviamente le informazioni sulle procedure di organizzazione del suono, nate dal semplice ascolto, purtroppo non sono date in pubblicazioni che puntano poco al dato empirico-razionalista. Per sintesi poniamo comunque il musicista all’interno dell’equazione: Cipani sta al pianoforte come Paolo Angeli alla chitarra acustica. Rimane un mistero sapere se al pianoforte il massaggio è poi piaciuto….

The Talking Bass – supermizzi

Giovanni Maier, classe 1965, è un contrabbassista coi fiocchi, uno che ha suonato con gente del calibro di Rava e Trovesi, ma anche con un chitarrista come Marc Ribot. Insomma, credenziali di tutto rispetto, tanto che sul suo nuovo cd pubblicato da Long Song Records si poteva giustamente riporre qualche lecita aspettativa. Assieme a lui, ecco Luca Calabrese alla tromba, Emanuele Parrini al violino e alla viola e Scott Amendola alla batteria, per un classico quartetto. Il disco non delude affatto e risulta un perfetto esempio di jazz libero e scapestrato, messo in piedi da musicisti molto bravi ciascuno nel proprio strumento, ma soprattutto capaci di un dialogo avvincente. Tutte le composizioni sono di Maier, canovacci sui quali ciascuno ha saputo dare il meglio di sé. Come scritto a chiare lettere nelle note d’accompagnamento, tutte le tracce sono “first take”, ossia “buona la prima”, a soddisfare un’urgenza espressiva che diventa il fuoco ardente di queste nove tracce. Scelta da condividere, visti i risultati, che non tradiscono affatto le intenzioni di partenza.Giovanni Maier, classe 1965, è un contrabbassista coi fiocchi, uno che ha suonato con gente del calibro di Rava e Trovesi, ma anche con un chitarrista come Marc Ribot. Insomma, credenziali di tutto rispetto, tanto che sul suo nuovo cd pubblicato da Long Song Records si poteva giustamente riporre qualche lecita aspettativa. Assieme a lui, ecco Luca Calabrese alla tromba, Emanuele Parrini al violino e alla viola e Scott Amendola alla batteria, per un classico quartetto. Il disco non delude affatto e risulta un perfetto esempio di jazz libero e scapestrato, messo in piedi da musicisti molto bravi ciascuno nel proprio strumento, ma soprattutto capaci di un dialogo avvincente. Tutte le composizioni sono di Maier, canovacci sui quali ciascuno ha saputo dare il meglio di sé. Come scritto a chiare lettere nelle note d’accompagnamento, tutte le tracce sono “first take”, ossia “buona la prima”, a soddisfare un’urgenza espressiva che diventa il fuoco ardente di queste nove tracce. Scelta da condividere, visti i risultati, che non tradiscono affatto le intenzioni di partenza.

Reciprocal Uncles – All About Jazz New York

Hot tension and competition is indeed suggested on Reciprocal Uncles. The competition is recreational, as it were, and pianist Gianni Lenoci and saxist Gianni Mimmo never come to blows. Rather, they are as sporting as two fencing partners. What it lacks for in grand, communal emotion it makes up for in percussive and lyrical invention. In the earlier numbers the tensions are often resolved by one player allowing the other to dominate or, sometimes, in standoffs, where one will drop out entirely as the other solos. The dynamics throughout are fun and swinging.
It is the later numbers that offer resolutions – and revolutions – turning the tensions into forays of breathtaking complexity. “Sparse Lyrics” begins with a plaintive but swinging soprano over a lean, abstracted piano. The two come together then drift apart, repeatedly. As they compete for the lead, one circles the other as in an electron orbit. Then, the piano starts pumping out separate melodies in both bass and treble, dividing the soprano’s attention, now following one and then the other. In “News from the Distance” beginning with hard percussion from both instruments, the piano sometimes thwarts and sometimes follows the soprano. Ultimately it takes the lead and runs with it to an entirely other place, mostly inthebass-butsofar,asina360turn,itstartsto follow again.Hot tension and competition is indeed suggested on Reciprocal Uncles. The competition is recreational, as it were, and pianist Gianni Lenoci and saxist Gianni Mimmo never come to blows. Rather, they are as sporting as two fencing partners. What it lacks for in grand, communal emotion it makes up for in percussive and lyrical invention. In the earlier numbers the tensions are often resolved by one player allowing the other to dominate or, sometimes, in standoffs, where one will drop out entirely as the other solos. The dynamics throughout are fun and swinging.
It is the later numbers that offer resolutions – and revolutions – turning the tensions into forays of breathtaking complexity. “Sparse Lyrics” begins with a plaintive but swinging soprano over a lean, abstracted piano. The two come together then drift apart, repeatedly. As they compete for the lead, one circles the other as in an electron orbit. Then, the piano starts pumping out separate melodies in both bass and treble, dividing the soprano’s attention, now following one and then the other. In “News from the Distance” beginning with hard percussion from both instruments, the piano sometimes thwarts and sometimes follows the soprano. Ultimately it takes the lead and runs with it to an entirely other place, mostly inthebass-butsofar,asina360turn,itstartsto follow again.

The Talking Bass – BlowUp

Raduna attorno a sé un quartetto essenziale e efficacissimo, il contrabbassista Giovanni Maier, per questo “The Talking Bass”: Emanule Parrini a violino e viola, Luca Calabrese alla tromba, Scott Amendola alla batteria. È un narrare spiraleggiante, che guarda sia alla creatività del jazz afroamericano degli anni Settanta che alla instabilità urbana di molto jazz contemporaneo, ma che vibra di una sensibilità tutta originale, ben assecondata da tutti, sia nei collettivi che nei momenti solisti. Bello. (7)Raduna attorno a sé un quartetto essenziale e efficacissimo, il contrabbassista Giovanni Maier, per questo “The Talking Bass”: Emanule Parrini a violino e viola, Luca Calabrese alla tromba, Scott Amendola alla batteria. È un narrare spiraleggiante, che guarda sia alla creatività del jazz afroamericano degli anni Settanta che alla instabilità urbana di molto jazz contemporaneo, ma che vibra di una sensibilità tutta originale, ben assecondata da tutti, sia nei collettivi che nei momenti solisti. Bello. (7)