Blow Up – Mucho Acustica

ll sassofonista Bìttolo vanta una militanza nel Gallo Rojo, così come Simone Massaron. L'altro nome noto che partecipa al progetto è J. Tacuma, membro in passato dei Prime Time di Ornette Coleman. Insomma di carne ai fuoco ce n'è. Aggiungiamo al set due batterie e ci possiamo fare un'idea di quanta potenza di suono può scaturire da un simile organico. Prima traccia: Dfw/Calypso de Pelo, un incastro di basso e chitarra baritono, ritmo serrato e assolo graffiante a sax (anch'esso baritono). Ottimo inizio (un po' Zu). Seconda traccia: Simpri Indenant, dannata nostalgia del jazzista. Non si poteva proseguire con la Calypso precedente? Terza traccia: la nostalgia diventa maniera. Quarte traccia, splendido il titolo: The Day Sandro Bondi
Stood Still, si torna a fare sul serio con un Massaron quanto mai friselliano. Quinta traccia: Stoppani Stomp, grande input colemaniano di Bittolo. Sesta traccia: Tsar Bomba!, ancora walking bass bluesy? Settima e ultima: Tamarrow is the Question, gran bel funk! Insomma i ragazzi ci sanno fare, tanta grinta e ruvidezze a non finire che raramente stonano. Un po' di ironia in più e la ricetta è fatta. (7/8)

ll sassofonista Bìttolo vanta una militanza nel Gallo Rojo, così come Simone Massaron. L'altro nome noto che partecipa al progetto è J. Tacuma, membro in passato dei Prime Time di Ornette Coleman. Insomma di carne ai fuoco ce n'è. Aggiungiamo al set due batterie e ci possiamo fare un'idea di quanta potenza di suono può scaturire da un simile organico. Prima traccia: Dfw/Calypso de Pelo, un incastro di basso e chitarra baritono, ritmo serrato e assolo graffiante a sax (anch'esso baritono). Ottimo inizio (un po' Zu). Seconda traccia: Simpri Indenant, dannata nostalgia del jazzista. Non si poteva proseguire con la Calypso precedente? Terza traccia: la nostalgia diventa maniera. Quarte traccia, splendido il titolo: The Day Sandro Bondi
Stood Still, si torna a fare sul serio con un Massaron quanto mai friselliano. Quinta traccia: Stoppani Stomp, grande input colemaniano di Bittolo. Sesta traccia: Tsar Bomba!, ancora walking bass bluesy? Settima e ultima: Tamarrow is the Question, gran bel funk! Insomma i ragazzi ci sanno fare, tanta grinta e ruvidezze a non finire che raramente stonano. Un po' di ironia in più e la ricetta è fatta. (7/8)

http://chitarraedintorni.blogspot.com/ – Mucho Acustica

Avevo già avuto a che fare con il senso dell’umorismo di Piero Bittolo Bon in occasione dell’ascolto del suo lavoro in duo con Simone Massaron “Massa Bon”, ero quindi già preparato a brani dal titolo curioso e a folate devianti di sassofoni lanciati a tutto vapore. Non ne sono rimasto deluso, Piero è un grande musicista e i suoi Pigneto Stompers, nome improbabile dietro cui si nascondono Simone Massaron alle chitarre, Federico Scettri alla batteria (sul canale sinistro), Massimiliano Sorrentini sempre alla batteria ma sul canale destro, coaudiuvati dal mitico basso elettrico “colemaniano” di Jamaaladeen Tacuma, sono partner formidabili, affiatati e carichi al punto giusto.

Free jazz, in salsa blues veneziana – milanese con aggiunte di funky torrido e condidi da una ritmica dal groove micidiale. Disco fantastico di musica rigorosamente improvvisata ad alta gradazione alcolica.

Come scrive lo stesso Jamaaladeen Tacuma nelle note del disco “Music is a Universal Language” e indipendentemente dalle origini geografiche e dalla formazione culturale dei musicisti qui impegnati il risultato è davvero notevole, ve ne consiglio l’ascolto dopo un paio di spritz veneziani per meglio predisporre le orecchie al favoloso cocktail di suoni e di note da cui sarete felicemente investiti.

Tra l’altro mentre scrivo questa recensione apprendo che sembra che il Comune di Venezia abbia messo al bando il free jazz con una ordinanza apposita indicando nelle cause i possibili effetti nocivi delle dissonanze musicali in esso contenute … forse una rappreseglia contro la chitarra magistrale di Massaron nel brano “The Day Sandro Bondi Stood Still”? Contro il sax torrido “Stoppani Stomp”? Nessuno lo sa, ma “Tamarrow Is The Question”e quindi lanciamo una “Tsar Bomba” e ascoltiamo il disco a tutto volume per le calli di Venezia! Da qualche parte Ornette Coleman sorride .. in modo armolodico ovviamente….

Avevo già avuto a che fare con il senso dell’umorismo di Piero Bittolo Bon in occasione dell’ascolto del suo lavoro in duo con Simone Massaron “Massa Bon”, ero quindi già preparato a brani dal titolo curioso e a folate devianti di sassofoni lanciati a tutto vapore. Non ne sono rimasto deluso, Piero è un grande musicista e i suoi Pigneto Stompers, nome improbabile dietro cui si nascondono Simone Massaron alle chitarre, Federico Scettri alla batteria (sul canale sinistro), Massimiliano Sorrentini sempre alla batteria ma sul canale destro, coaudiuvati dal mitico basso elettrico “colemaniano” di Jamaaladeen Tacuma, sono partner formidabili, affiatati e carichi al punto giusto.

Free jazz, in salsa blues veneziana – milanese con aggiunte di funky torrido e condidi da una ritmica dal groove micidiale. Disco fantastico di musica rigorosamente improvvisata ad alta gradazione alcolica.

Come scrive lo stesso Jamaaladeen Tacuma nelle note del disco “Music is a Universal Language” e indipendentemente dalle origini geografiche e dalla formazione culturale dei musicisti qui impegnati il risultato è davvero notevole, ve ne consiglio l’ascolto dopo un paio di spritz veneziani per meglio predisporre le orecchie al favoloso cocktail di suoni e di note da cui sarete felicemente investiti.

Tra l’altro mentre scrivo questa recensione apprendo che sembra che il Comune di Venezia abbia messo al bando il free jazz con una ordinanza apposita indicando nelle cause i possibili effetti nocivi delle dissonanze musicali in esso contenute … forse una rappreseglia contro la chitarra magistrale di Massaron nel brano “The Day Sandro Bondi Stood Still”? Contro il sax torrido “Stoppani Stomp”? Nessuno lo sa, ma “Tamarrow Is The Question”e quindi lanciamo una “Tsar Bomba” e ascoltiamo il disco a tutto volume per le calli di Venezia! Da qualche parte Ornette Coleman sorride .. in modo armolodico ovviamente….

La Foce Del Ladrone – Il Manifesto

Questo disco è una sfida, non una proposta. Un attacco diretto e dichiarato, non un gioco di infingimenti. Certo, è anche un gioco, spiazzante e sempre un po’ più in là della prevedibilità, del già sentito. Perché a volte, e anche nell’affollato, egotico mondo della canzone d’autore, è il gioco a pagare. E il gioco, spiega una bella pletora di testi sacri della psicologia, è qualcosa di molto serio. Fabio Zuffanti è musicista vero. Uno di quelli che frequentano bordi inquieti e difficilmente rapportabili al bilancino classificatorio. S’è occupato di elettronica, di jazz, di post rock, di prog in odore di intelligenti dolcezze wyattiane, di colonne sonore, di musica da camera, di note al servizio della scrittura: Wu Ming e Tommaso Labranca, tra gli altri. Ha incrociato Franz Di Cioccio e Roberto Colombo. Questo è un progetto destinato a spiazzare tutti. A partire dal titolo, omaggio al Battiato della svolta «pop», dove «ladrone» è ogni musicista, e «foce» il luogo di sbocco di una sorgente comune. Provate a immaginare una sintesi talmente perfetta da sembrare alchemica tra, appunto, il Battiato della citazione, il tardo Battisti, il Fortis de La grande grotta, e sarete a tiro. A sorprendervi, in fondo, che Zuffanti abbia davvero fatto tutto da solo. (g.fe.)Questo disco è una sfida, non una proposta. Un attacco diretto e dichiarato, non un gioco di infingimenti. Certo, è anche un gioco, spiazzante e sempre un po’ più in là della prevedibilità, del già sentito. Perché a volte, e anche nell’affollato, egotico mondo della canzone d’autore, è il gioco a pagare. E il gioco, spiega una bella pletora di testi sacri della psicologia, è qualcosa di molto serio. Fabio Zuffanti è musicista vero. Uno di quelli che frequentano bordi inquieti e difficilmente rapportabili al bilancino classificatorio. S’è occupato di elettronica, di jazz, di post rock, di prog in odore di intelligenti dolcezze wyattiane, di colonne sonore, di musica da camera, di note al servizio della scrittura: Wu Ming e Tommaso Labranca, tra gli altri. Ha incrociato Franz Di Cioccio e Roberto Colombo. Questo è un progetto destinato a spiazzare tutti. A partire dal titolo, omaggio al Battiato della svolta «pop», dove «ladrone» è ogni musicista, e «foce» il luogo di sbocco di una sorgente comune. Provate a immaginare una sintesi talmente perfetta da sembrare alchemica tra, appunto, il Battiato della citazione, il tardo Battisti, il Fortis de La grande grotta, e sarete a tiro. A sorprendervi, in fondo, che Zuffanti abbia davvero fatto tutto da solo. (g.fe.)

Mucho Acustica – webmagx.jazzrytmit.com/

Ruutia, räminää ja räiskettä. Funkkia, reggaeta, rockia, jazzia… Tuoreen terhakkaasti. Vapaalla lasketellen. Vanhoja mestareita kunnioittaen. Uutta sukupolvea eteentyöntäen. Ei siis mitään kamarijazzia, muttei taas toisaalta mitään kylmänkalsaa äänimaailmakokeilua. Parman kinkun suussa sulavista siivuista ja makaroonipensaiden varjosta lähdetään liikkeelle kitaristi Massaron ja levyllä vierailevan basisti Tacuman keskenäisellä rupattelulla, johon yhtyy itse maestro alttofoneineen. Kahden rummunlyöjän arsenaali lataa taustalla virtaa tulevaa tahtijyminää varten. Kokonaisuus kasvaa massiiviksi. Pieron valittava altto muuttuu barsan möreäksi komentoääneksi. Rumpupatteristot takovat rytmiä. Kielisoitinosasto jynkyttää afrikkalaistyyppistä rytmiikkaa, sitä, jota seikkailija Joe Smith kuuli aikoinaan Huuhaa Innasen kirjoittamana synkän sademetsän sivulla sijaitsevasta neekerikylästä käsin… Ei, sittenkin taitaa olla kyseessä Karibian saarten calypson woodoomaiset -noitatahdit. Jonkinlaista hypnotiaa kuitenkin… se tunkee kuulijan selkäytimeen..Josko alku lupasi kohtuullista menoa ja meininkiä, kakkosraidalla huilattiin ja tunnelmoitiin. Pääosin Pieron saksofonin johdattelemana. Ja sama hartaus jatkui kolmosraidalla… oikeastaan mitään sanomattomana. Ei minään huonona soittotekniikaltaan, mutta juoneltaan aikalaisen väsyttävänä. Saksofoni juoksenteli ja poukkoili edestakaisin kuin entinen piika housujaan etsiessään. Renkipojat taustalla naputtelivat ja hiplailivat niitä näitä. Yhdentyyppistä nykyaikaista jammailua esikuvanaan vaikkapa Miles Davisin sähköisemmät jutut. Ainoastaan suomalainen melankolisen kylmä suossa kahlaus puuttuu. No, kasvoihan tuo liki varttitunnin raita lopulta myös hieman monisärmäisemmaksi ja muillekin soittajille tilaa antavaksi. Sitten nelonen silmään ja kone päätielle, niinkuin enenvanhaan kunnon autoista sanottiin. Kitara pisti basson kanssa hevosvoimat hyrisemään. Autostrada vilisti alla. Basso nakutti tasaista kuviotaan…Levyn loppukokonaisuus toisti samaa jumppaavan jytkäkkää rytmiä. Jonkinasteinen noiduttu kehä ympäröi kuulijaansa. Tietyn sorttinen avantgardisekspressionismi täytti pääkopan, sillä rytmijumpputuksen päälle maalaili saksofoni, kitara jopa rumpusektio omiaan. Välillä kirkkain värein, välillä sekoittaen maalipurkkien pohjilta kaavitut epämääräisyydet. Muistot ennenvanhaisesta Laitisen värikaupasta Maakuntakadulta tulvahtivat mieleen… niin musiikkivärikirjon kuin kaiken mahdollisen tavaran erinomaisen ahtaan ja sekalaisen järjestyksen myötä. Mutta kaikki toimi kuitenkin hienosti niin tällä levyllä kuin Laitisen Toivollakin omassa puodissaan. Piero Bittolo Bon osoittautui monitahoiseksi saksofonin kuljettajaksi. Hänen otti soittopelistään irti lähes kaikkea mahdollista. Tunnelmoinnista tilanteeseen, jossa viisauden hammas poistetaan peräreiän kautta. Jeeees. Simone Massaron plimputteli samaan kuosiin istuen oman soittopelinsä kieliä. Sähkö oli yksi olennainen tekijä hänen osaamisensä korostajana, kuten myös Jamaaladeen Tacuman bassottelussa. Kelpo pelimanneja molemmat. Massimiliano Sorrentinin ja Federico Scettrin kalvotaiteilu ja peltiakrobatia tuki toisten herrojen välillä kaoottisen rytmiseksikin äitynyttä menoa ja meininkiä jyrmeän voimakkaasti. Tai tarvittaessa kokonaan sivuraiteella leväten. Kelpo kopistelua myös heiltä. Lopputuloksena… aikalainen rytminen ja äänimaailmallinen yhteenhitsaus. Spiritualis-hypnoottinen värikirjo, jossa maallinen ja henkinen muuttuivat joksikin… uskoksi… rytmiksi… klimaksiksi. Parin raidan balladinomaista hissuttelua lukuunottamatta meno oli jopa saatanallisen riehakasta…Toiset tykkäävät tällaisesta. Toiset eivät voi sietää. Minä kuulun ensimmäiseen kategoriaan… (OR)

Mucho Acustica – DMG

Piero Bittolo Bon on alto & bari saxes, Simone Massaron on electric & baritone guitars & loops, Jamaaladeen Tacuma on electric bass and Massimiliano Sorrentini & Federico Scettri on drums. We hadn’t heard from the Long Song label in a while so it was great to get this disc in the mail. Besides superstar bassist Jamaaladeen Tacuma, each of these players can be found in previous Italian ensembles. Leader & saxist Piero Bittolo Bon has a disc on El Gallo Rojo as well as on Clean Feed. Guitarist Simone Massaron is on a few earlier Long Song discs. The drummers I don’t really know of before this.
Although all of this music was improvised, this quintet is extremely tight, focused and filled with exuberance. This disc opens with Jamaaladeen’s furious electric bass spinning quickly until the rest of the band comes jumps into the groove, funky and burning! The group gets into a harmelodic groove, with all five members spinning tightly around one another. It is pretty rare to hear music that makes you want to dance and listen at the same time, but that is what the first piece (“DFW/Calypso de Pelo”) actually does. “Simpri Indenant” is a fine laid back duo for electric bass and alto sax that sounds like an warm conversation between two old friends. “Moon Liver” builds from a quiet calm while the Jamaaladeen takes a long, thoughtful story-like solo, the sound of his bass and the way his plucks those strings completely distinctive. By the fourth track, the rhythm team is soaring with some incredible guitar work from Mr. Massaron as he changes the tome of his guitar throughout the entire piece. He uses occasional elements of distortion while playing one of the hottest jazz/rock guitar solos around. Simone ends his long solo with an impressive bluesy conclusion. This entire disc flows organically from beginning to the end with amazing playing from all five members throughout. – Bruce Lee Gallanter, Downtown Music GalleryPiero Bittolo Bon on alto & bari saxes, Simone Massaron on electric & baritone guitars & loops, Jamaaladeen Tacuma on electric bass and Massimiliano Sorrentini & Federico Scettri on drums. We hadn’t heard from the Long Song label in a while so it was great to get this disc in the mail. Besides superstar bassist Jamaaladeen Tacuma, each of these players can be found in previous Italian ensembles. Leader & saxist Piero Bittolo Bon has a disc on El Gallo Rojo as well as on Clean Feed. Guitarist Simone Massaron is on a few earlier Long Song discs. The drummers I don’t really know of before this.
Although all of this music was improvised, this quintet is extremely tight, focused and filled with exuberance. This disc opens with Jamaaladeen’s furious electric bass spinning quickly until the rest of the band comes jumps into the groove, funky and burning! The group gets into a harmelodic groove, with all five members spinning tightly around one another. It is pretty rare to hear music that makes you want to dance and listen at the same time, but that is what the first piece (“DFW/Calypso de Pelo”) actually does. “Simpri Indenant” is a fine laid back duo for electric bass and alto sax that sounds like an warm conversation between two old friends. “Moon Liver” builds from a quiet calm while the Jamaaladeen takes a long, thoughtful story-like solo, the sound of his bass and the way his plucks those strings completely distinctive. By the fourth track, the rhythm team is soaring with some incredible guitar work from Mr. Massaron as he changes the tome of his guitar throughout the entire piece. He uses occasional elements of distortion while playing one of the hottest jazz/rock guitar solos around. Simone ends his long solo with an impressive bluesy conclusion. This entire disc flows organically from beginning to the end with amazing playing from all five members throughout. – Bruce Lee Gallanter, Downtown Music Gallery

Klaviermassagen – Musica Jazz

A circa tre anni di distanza dall’uscita di “The Ill-Tempered Piano” il sorprendente debutto pianistico che lo vide cimentarsi tra le voluminose ed estreme distanze timbriche dei suoi pianoforti rotti e scordati, Nicola Cipani, il creativo pianista di Losanna, torna sul mercato discografico con “Klavier Massagen”, un lavoro composto da tracce che lui numera e definisce “massaggi al pianoforte”, proprio come il titolo dell’intero album, ovvero le manipolazioni, gli sfregamenti, gli strepitii percussivi ed ogni sorta di agire nei confronti del suo pianoforte preparato, attraverso l’uso dei più disparati oggetti, creando delle furiose cellule sonore di provocante ridondanza. Le creature di suoni, prima evocate e poi sobillate dalla libera improvvisazione, sedimentano costruzioni ritmiche ed armoniche che denotano una devastante capacità espressiva ed una intima interazione con la multi-dimensionalità generata, che alternandosi, passa in rassegna la sconfinata lucentezza delle tonalità emozionali, dosando la tensione dell’effemira contesa attraverso un impeccabile e superbo gioco di dinamiche.

Mucho Acustica – Blow Up

Si stratificano le generazioni di improvvisatori e jazzisti italiani che non smettono di ricercare e di dare alla musica che fanno un significato avventuroso. Tra le “giovani leve” che più stanno catturando l’attenzione di critica e pubblico, il sassofonista Piero Bittolo Bon, che guida qui i suoi “Original Pigneto Stompers” in una splendida session di improvvisazioní con il bassista Jamaaladeen Tacuma [storico partner dell’Ornette Coleman elettrico]. Le ossa spolpate del free-funk, un lirismo allucinato, lacerazioni rock – ottimo Simone Massaron alla chitarra e e una ritmica con doppia batteria che sospinge la musica sull’orlo di inebrianti precipizi. (7/8)

La Foce Del Ladrone – rockambula.com

Le cose cambiano, gli anni passano e le mode inevitabilmente tornano a ricordarci di cosa eravamo fatti, di cosa ci facevamo. Per cosa piangevamo. Non capisco se prendere sul serio il disco “La Foce del Ladrone” del musicista Fabio Zuffanti, una parodia schizofrenica ed energica dell’album cult anni 80 di Franco Battiato.
Via da queste sponde sbeffeggiati armonicamente dalle onde, parole narrate in italiano, incastri di vita ed amore, elettronica e musica d’autore. Non è facile entrare nell’ottica del disco, bisogna esasperare gli ascolti per capire che nonostante il mare parliamo di un disco ben fatto (terza produzione per Zuffanti), a volte simpatico, a volte innamorato, a volte schietto. In fondo ben strutturato e materializzato. Qualcosa di innovativo malgrado i chiari riferimenti alle melodie andate, musica strana (e queste sono parole dell’autore) da incastrare senza una spiegazione, no radio edit, la voglia di stupire con effetti speciali, di giocare con la musica senza dolcezza ma con tanta violenza.
Nell’aria armonizzi alla Battisti, c’è sempre il sole dove veglia Lucio, il sole penetra in profondità illuminando candidamente l’intero disco che Fabio Zuffanti riesce in tutte le maniere a fare proprio uscendo volentieri da qualche schemimo ben preparato, la salvezza in calcio d’angolo. E poi viole e violoncelli, continuavano a fiorire le rose. Una cosa diversa finalmente viene a presentarsi alle mie orecchie, non è rock, non so cosa sia ma comunque mi lascio conoscere volentieri. Lode a questo artista musicalmente strano e soddisfacente.Le cose cambiano, gli anni passano e le mode inevitabilmente tornano a ricordarci di cosa eravamo fatti, di cosa ci facevamo. Per cosa piangevamo. Non capisco se prendere sul serio il disco “La Foce del Ladrone” del musicista Fabio Zuffanti, una parodia schizofrenica ed energica dell’album cult anni 80 di Franco Battiato.
Via da queste sponde sbeffeggiati armonicamente dalle onde, parole narrate in italiano, incastri di vita ed amore, elettronica e musica d’autore. Non è facile entrare nell’ottica del disco, bisogna esasperare gli ascolti per capire che nonostante il mare parliamo di un disco ben fatto (terza produzione per Zuffanti), a volte simpatico, a volte innamorato, a volte schietto. In fondo ben strutturato e materializzato. Qualcosa di innovativo malgrado i chiari riferimenti alle melodie andate, musica strana (e queste sono parole dell’autore) da incastrare senza una spiegazione, no radio edit, la voglia di stupire con effetti speciali, di giocare con la musica senza dolcezza ma con tanta violenza.
Nell’aria armonizzi alla Battisti, c’è sempre il sole dove veglia Lucio, il sole penetra in profondità illuminando candidamente l’intero disco che Fabio Zuffanti riesce in tutte le maniere a fare proprio uscendo volentieri da qualche schemimo ben preparato, la salvezza in calcio d’angolo. E poi viole e violoncelli, continuavano a fiorire le rose. Una cosa diversa finalmente viene a presentarsi alle mie orecchie, non è rock, non so cosa sia ma comunque mi lascio conoscere volentieri. Lode a questo artista musicalmente strano e soddisfacente.

La Foce Del Ladrone – moveoutmagazine.com

Un bel disco “La foce del Ladrone”, ascoltato in anteprima dalla redazione di Move Out. Un grande impegno nella ricerca di sonorità trasversali, piene, emozionanti. In 17 anni di carriera Fabio Zuffanti ha partecipato a molteplici progetti musicali esplorando prog, elettronica, sperimentazione, folk, trip-hop, post-rock, jazz, colonne sonore e musica da camera, tenendo diversi tour in Italia e nel resto del Mondo e collaborando con moltissimi artisti tra cui Franz di Cioccio (PFM), Roberto Colombo, Julie’s Haircut e Wu Ming. “La foce del ladrone” è il suo terzo disco solista, e per la prima volta si tratta di un disco pop, nell’accezione migliore del termine, che a partire dal titolo rende omaggio a Franco Battiato e alle atmosfere della migliore musica italiana anni ’80.
Arrangiamenti synth pop palesemente retrò (“Musica Strana”, “Luna Park”), loop di percussioni uniti a fraseggi melanconici di grand-piano (“Se c’è Lei”) sormontati da violini e viole. Una gran cassa squisitamente anni’80 scandisce in lontananza il tempo di “Luna Park”, mentre un ostinato di violoncello proseguito da accordi di una vecchia chitarra elettrica segna l’inizio del “latoB” con “Una nuova stagione”. Un disco da avere.Un bel disco “La foce del Ladrone”, ascoltato in anteprima dalla redazione di Move Out. Un grande impegno nella ricerca di sonorità trasversali, piene, emozionanti. In 17 anni di carriera Fabio Zuffanti ha partecipato a molteplici progetti musicali esplorando prog, elettronica, sperimentazione, folk, trip-hop, post-rock, jazz, colonne sonore e musica da camera, tenendo diversi tour in Italia e nel resto del Mondo e collaborando con moltissimi artisti tra cui Franz di Cioccio (PFM), Roberto Colombo, Julie’s Haircut e Wu Ming. “La foce del ladrone” è il suo terzo disco solista, e per la prima volta si tratta di un disco pop, nell’accezione migliore del termine, che a partire dal titolo rende omaggio a Franco Battiato e alle atmosfere della migliore musica italiana anni ’80.
Arrangiamenti synth pop palesemente retrò (“Musica Strana”, “Luna Park”), loop di percussioni uniti a fraseggi melanconici di grand-piano (“Se c’è Lei”) sormontati da violini e viole. Una gran cassa squisitamente anni’80 scandisce in lontananza il tempo di “Luna Park”, mentre un ostinato di violoncello proseguito da accordi di una vecchia chitarra elettrica segna l’inizio del “latoB” con “Una nuova stagione”. Un disco da avere.

La Foce Del Ladrone – sands-zine.com

Nel 1968 Frank Zappa pubblicava il suo terzo album, intitolato “We’re Only in it for the money”. In copertina una riproduzione iconoclasta di “Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band”.
A quarant’anni di distanza, tra profezie e ingenuità, c’interroghiamo ancora sulla cultura pop, l’industria discografica, la musica di massa. Nel mezzo in tanti han detto la loro, e dalle nostre parti, Franco Battiato tra i più influenti e acuti, agli albori dei fatali anni ’80 con “La voce del padrone” lasciava tracimare il suo linguaggio nel grande oceano della musica commerciale.
Siamo figli delle stelle pronipoti di sua maestà il denaro.
Arriva probabilmente da lì lo stimolo di Fabio Zuffanti, coetaneo del disco di Zappa e figlio adottivo di quello di Battiato. Anche lui gioca col mito, suo e generazionale. Ci gioca a nervi scoperti, evidenzia, sottolinea, ricalca. Ma sostanzialmente ci gioca. Questa è la premessa che fa da cornice al terzo album solista dell’autore genovese, curato e prodotto in prima persona, pubblicato in condivisione tra la propria Spirals e l’avanguardistica Long Song, e dedicato alla memoria di Gianni Sassi.
La predilezione di Zuffanti per i tempi dispari rimane assecondata giusto nel brano d’apertura, la citazionista 1986(on a solitary beach). Da lì, la sfida è svincolarsi dalle familiari atmosfere progressive per sporcarsi le mani con la musica pop, facendo ricorso a tutte le possibili e necessarie combinazioni del caso, preferendo un gioco sulle forme più retro della canzone, e richiamando così strutture, melodie, sonorità, ereditate da Battisti, Sorrenti, Gazzè, oltre naturalmente a Battiato, non solo omaggiato ma apertamente citato ed emulato soprattutto nell’impostazione vocale.
Zuffanti lascia trasparire una personalità sentita come ormai troppo matura,in quell’età di mezzo che vorebbe strapparti una volta per tutte l’innocenza dalle mani, autentica o illusoria che sia (io vorrei precipitare nello spazio tra il silenzio/trovare solo un fragile equilibrio/tra quello che io sono e quel che sogno – Capo Nord). Nel quieto vivere lo spazio per un’illusione è tanto accarezzato quanto circoscritto (pensare a lei mi rende vivo/anche se non ho il coraggio/di lasciare le certezze e le ipocrisie – Se c’è lei); i piccoli mondi immaginati vengono presto rimessi nel cassetto dei rimpianti (sopra le luci della città/in strade senza suoni mentre tutto andava via/e le maniglie sulle porte mi parlavano di te/è stato quello il punto/ci siam fermati lassù/ci siam perduti lassù – Lunar Park).
Tutto quello che si vorrebbe è un briciolo di gratificazione (Musica Strana) e quell’incanto che un tempo accompagnava ogni scoperta è il dolce sapore che resta in bocca alla fine di questo viaggio (It’s time to land), una catarsi per lui, un piacevole regalo per noi.Nel 1968 Frank Zappa pubblicava il suo terzo album, intitolato “We’re Only in it for the money”. In copertina una riproduzione iconoclasta di “Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band”.
A quarant’anni di distanza, tra profezie e ingenuità, c’interroghiamo ancora sulla cultura pop, l’industria discografica, la musica di massa. Nel mezzo in tanti han detto la loro, e dalle nostre parti, Franco Battiato tra i più influenti e acuti, agli albori dei fatali anni ’80 con “La voce del padrone” lasciava tracimare il suo linguaggio nel grande oceano della musica commerciale.
Siamo figli delle stelle pronipoti di sua maestà il denaro.
Arriva probabilmente da lì lo stimolo di Fabio Zuffanti, coetaneo del disco di Zappa e figlio adottivo di quello di Battiato. Anche lui gioca col mito, suo e generazionale. Ci gioca a nervi scoperti, evidenzia, sottolinea, ricalca. Ma sostanzialmente ci gioca. Questa è la premessa che fa da cornice al terzo album solista dell’autore genovese, curato e prodotto in prima persona, pubblicato in condivisione tra la propria Spirals e l’avanguardistica Long Song, e dedicato alla memoria di Gianni Sassi.
La predilezione di Zuffanti per i tempi dispari rimane assecondata giusto nel brano d’apertura, la citazionista 1986(on a solitary beach). Da lì, la sfida è svincolarsi dalle familiari atmosfere progressive per sporcarsi le mani con la musica pop, facendo ricorso a tutte le possibili e necessarie combinazioni del caso, preferendo un gioco sulle forme più retro della canzone, e richiamando così strutture, melodie, sonorità, ereditate da Battisti, Sorrenti, Gazzè, oltre naturalmente a Battiato, non solo omaggiato ma apertamente citato ed emulato soprattutto nell’impostazione vocale.
Zuffanti lascia trasparire una personalità sentita come ormai troppo matura,in quell’età di mezzo che vorebbe strapparti una volta per tutte l’innocenza dalle mani, autentica o illusoria che sia (io vorrei precipitare nello spazio tra il silenzio/trovare solo un fragile equilibrio/tra quello che io sono e quel che sogno – Capo Nord). Nel quieto vivere lo spazio per un’illusione è tanto accarezzato quanto circoscritto (pensare a lei mi rende vivo/anche se non ho il coraggio/di lasciare le certezze e le ipocrisie – Se c’è lei); i piccoli mondi immaginati vengono presto rimessi nel cassetto dei rimpianti (sopra le luci della città/in strade senza suoni mentre tutto andava via/e le maniglie sulle porte mi parlavano di te/è stato quello il punto/ci siam fermati lassù/ci siam perduti lassù – Lunar Park).
Tutto quello che si vorrebbe è un briciolo di gratificazione (Musica Strana) e quell’incanto che un tempo accompagnava ogni scoperta è il dolce sapore che resta in bocca alla fine di questo viaggio (It’s time to land), una catarsi per lui, un piacevole regalo per noi.