Posthuman.it parla di "Chaos and Order"

Un grande disco jazz rock moderno del quartetto guidato dal clarinettista Francesco Chiapperini per Long Song Records, insieme ad alcune riflessioni su scena beat, jazz e psichedelia.
E alla fine è arrivato anche il momento di ripensare al jazz rock. Se ricordate, circa un anno fa avevo pubblicato un lungo articolo sviscerando un po’ di occulte connessioni fra new wave e progressive, ritenuto più o meno l’Anticristo da quelli che come me avevano 20 anni a metà degli ’80.
Sicché ho proseguito nel recupero di psichedelica e progressive, grazie ai dischi attuali della Black Widow come allo scavo nelle miniere di Hawkwind e Gong, di cui purtroppo abbiamo appena salutato per sempre il leader Daevid Allen, uno che già nel ’63 suonava al Marquee un jazz rock misto a reading “beat” coi futuri Soft Machine (Wyatt, Hopper, Ratledge), ben 6 anni prima che Miles Davis rivoluzionasse il mondo del jazz colla svolta elettrica di In A Silent Way.
È per questa via che un giorno ho fatto questa riflessione: in fondo, l’ampliamento di spettro sonoro portato verso il ’67 dalla psichedelica in buona sostanza consiste nel portare nella composizione rock quella libertà armonica e improvvisativa che nel jazz era legge ormai da 20 anni, cioè dal be bop di Parker & Gillespie. Se vi leggete un po’ di testi di Ginsberg, Burroughs e Kerouac, sapendo che la prassi del reading accompagnato da musicisti jazz era una griffe della congrega nei ’50, vi renderete conto che lì c’era già tutto il nocciolo della rivoluzione psichedelica: visionarietà, sperimentazione senza confini, ampliamento della coscienza sia con la droga che col misticismo orientale.
Così ho aperto le porte al recupero del jazz rock, assaggiando un po’ di quei Weather Report, Mahavishnu Orchestra, Hancock, Pastorius etc., che pure loro in epoca punk venivano per lo più considerati dei soloni virtuosi e auto compiaciuti e che oggi un geniale fricchettone come Les Claypol annovera tranquillamente fra i suoi eroi. Se eravate al concerto milanese dei Primus, infatti, introducendo il brano Lee Van Cleef il bassista ha detto: “Quando si parla delle mie ispirazioni, tutti si aspettano che io citi grandi bassisti come Stanley Clarke e così via… Certo, sono tutti nella lista, però…” (e lì partiva l’omaggio al vecchio leone del western all’italiana). Quindi, comunque, il grande bassista della fusion è pacificamente parte del bagaglio di un rocker alternativo come Claypol!
La scoperta del giorno è che la stagione del jazz rock è tutt’altro che finita con l’incanutimento dei suoi eroi emersi negli anni ’80: i John Lurie, John Zorn, Marc Ribot, Bill Laswell, Bill Frisell etc. Dopo la folgorazione di Caterina Palazzi e di Al Doum, oggi è la Long Song (etichetta che schiera in catalogo nomi doc come Elliott Sharp, Keith Tippett, gli italiani Daniele Cavallanti e Tiziano Tononi, lo stesso Ribot e Jamaaladeen Tacuma) che ci offre una nuova sorpresa: Chaos And Order, album del quartetto “bassless” guidato dal sopranista/clarinettista basso Francesco Chiapperini e composto da Gianluca Elia al sax tenore, Dario Trapani alla chitarra elettrica e Antonio Fusco alla batteria (cover in apertura, la band qui a lato).
Un album che viene subito da accostare all’Incesticide dei Sudoku Killer della Palazzi, mentre il riferimento internazionale più vicino rimangono i Lounge Lizards: non tanto quelli iniziali, accostati alla no wave, piuttosto quelli maturi di Queen Of All Ears, gran disco del ’98, cui potete allegramente mixare i No Pair senza mai percepire un brusco stacco; a parte il fatto che i No Pair sono quattro, mentre sul finora ultimo album della formazione del newyorkese Lurie suonavano in nove, per cui l’insieme risultava ancora più vario e articolato da un brano all’altro, ricchezza che i No Pair perseguono con più lunghe parti soliste per ciascuno strumento nei 6 brani mediamente estesi (dai quasi 5’ ai quasi 11’) che compongono il loro album.
Un mood che il quartetto di Chiapperini (anche autore di tutte le composizioni) condivide sostanzialmente con quello della Palazzi, dal quale si differenzia essenzialmente per l’impasto sonoro: là il contrabbasso è lo strumento della leader, qui manca del tutto, sostituito dal clarinetto basso del pugliese o alternativamente dalla chitarra elettrica. Ma la libertà compositiva ed armonica di pescare tanto dal bagaglio di Eric Dolphy (o magari persino Gershwin in qualche fugace guizzo clarinettistico) come da Hot Rats di Zappa e da tutte le forme di contaminazione successive fra il suono elettrico del rock e quello improvvisativo del jazz (da Hendrix a Ribot) è un dna che accomuna tutti loro. “Ordine e caos”, no?Un grande disco jazz rock moderno del quartetto guidato dal clarinettista Francesco Chiapperini per Long Song Records, insieme ad alcune riflessioni su scena beat, jazz e psichedelia.
E alla fine è arrivato anche il momento di ripensare al jazz rock. Se ricordate, circa un anno fa avevo pubblicato un lungo articolo sviscerando un po’ di occulte connessioni fra new wave e progressive, ritenuto più o meno l’Anticristo da quelli che come me avevano 20 anni a metà degli ’80.
Sicché ho proseguito nel recupero di psichedelica e progressive, grazie ai dischi attuali della Black Widow come allo scavo nelle miniere di Hawkwind e Gong, di cui purtroppo abbiamo appena salutato per sempre il leader Daevid Allen, uno che già nel ’63 suonava al Marquee un jazz rock misto a reading “beat” coi futuri Soft Machine (Wyatt, Hopper, Ratledge), ben 6 anni prima che Miles Davis rivoluzionasse il mondo del jazz colla svolta elettrica di In A Silent Way.
È per questa via che un giorno ho fatto questa riflessione: in fondo, l’ampliamento di spettro sonoro portato verso il ’67 dalla psichedelica in buona sostanza consiste nel portare nella composizione rock quella libertà armonica e improvvisativa che nel jazz era legge ormai da 20 anni, cioè dal be bop di Parker & Gillespie. Se vi leggete un po’ di testi di Ginsberg, Burroughs e Kerouac, sapendo che la prassi del reading accompagnato da musicisti jazz era una griffe della congrega nei ’50, vi renderete conto che lì c’era già tutto il nocciolo della rivoluzione psichedelica: visionarietà, sperimentazione senza confini, ampliamento della coscienza sia con la droga che col misticismo orientale.
Così ho aperto le porte al recupero del jazz rock, assaggiando un po’ di quei Weather Report, Mahavishnu Orchestra, Hancock, Pastorius etc., che pure loro in epoca punk venivano per lo più considerati dei soloni virtuosi e auto compiaciuti e che oggi un geniale fricchettone come Les Claypol annovera tranquillamente fra i suoi eroi. Se eravate al concerto milanese dei Primus, infatti, introducendo il brano Lee Van Cleef il bassista ha detto: “Quando si parla delle mie ispirazioni, tutti si aspettano che io citi grandi bassisti come Stanley Clarke e così via… Certo, sono tutti nella lista, però…” (e lì partiva l’omaggio al vecchio leone del western all’italiana). Quindi, comunque, il grande bassista della fusion è pacificamente parte del bagaglio di un rocker alternativo come Claypol!
La scoperta del giorno è che la stagione del jazz rock è tutt’altro che finita con l’incanutimento dei suoi eroi emersi negli anni ’80: i John Lurie, John Zorn, Marc Ribot, Bill Laswell, Bill Frisell etc. Dopo la folgorazione di Caterina Palazzi e di Al Doum, oggi è la Long Song (etichetta che schiera in catalogo nomi doc come Elliott Sharp, Keith Tippett, gli italiani Daniele Cavallanti e Tiziano Tononi, lo stesso Ribot e Jamaaladeen Tacuma) che ci offre una nuova sorpresa: Chaos And Order, album del quartetto “bassless” guidato dal sopranista/clarinettista basso Francesco Chiapperini e composto da Gianluca Elia al sax tenore, Dario Trapani alla chitarra elettrica e Antonio Fusco alla batteria (cover in apertura, la band qui a lato).
Un album che viene subito da accostare all’Incesticide dei Sudoku Killer della Palazzi, mentre il riferimento internazionale più vicino rimangono i Lounge Lizards: non tanto quelli iniziali, accostati alla no wave, piuttosto quelli maturi di Queen Of All Ears, gran disco del ’98, cui potete allegramente mixare i No Pair senza mai percepire un brusco stacco; a parte il fatto che i No Pair sono quattro, mentre sul finora ultimo album della formazione del newyorkese Lurie suonavano in nove, per cui l’insieme risultava ancora più vario e articolato da un brano all’altro, ricchezza che i No Pair perseguono con più lunghe parti soliste per ciascuno strumento nei 6 brani mediamente estesi (dai quasi 5’ ai quasi 11’) che compongono il loro album.
Un mood che il quartetto di Chiapperini (anche autore di tutte le composizioni) condivide sostanzialmente con quello della Palazzi, dal quale si differenzia essenzialmente per l’impasto sonoro: là il contrabbasso è lo strumento della leader, qui manca del tutto, sostituito dal clarinetto basso del pugliese o alternativamente dalla chitarra elettrica. Ma la libertà compositiva ed armonica di pescare tanto dal bagaglio di Eric Dolphy (o magari persino Gershwin in qualche fugace guizzo clarinettistico) come da Hot Rats di Zappa e da tutte le forme di contaminazione successive fra il suono elettrico del rock e quello improvvisativo del jazz (da Hendrix a Ribot) è un dna che accomuna tutti loro. “Ordine e caos”, no?

Percorsi Musicali parla di "The Sauna Sessions"

Piero Bittolo Bon è nome piuttosto ricorrente nelle pagine del jazz di questo sito: non solo è uno dei più bravi sassofonisti che l’Italia può vantare ma è anche un cultore della forma moderna dello strumento: oggi forse, per trovare nuove vie, non serve più sparare a zero con esso, richiamare alla memoria crudeltà del suono o miscele orientali, ogni fraseggio deve essere intelligente ed esposto all’evocazione, a prescindere dalla velocità. E questo è un aspetto che può far la differenza fra un sassofonista free di qualche generazione fa e quelli odierni. E’ stato pubblicato recentemente una validissima registrazione effettuata nell’estate del 2012 in forma di sessions estive, a cui parteciparono Tommaso Cappellato alla batteria, Simone Massaron alla chitarra, Glauco Benedetti alla tuba e Peter Evans alla tromba, con l’appellativo di Pbb’s Lacus Amoenus.
“The Sauna session” consegna le proprie credenziali ad uno stato caotico ed eclettico: contando sul valore dei partecipanti, la session è una ricostruzione di musica improvvisata che ha tutto il sapore delle jams di free jazz moderne, basate sull’ontologia dei suoni (convenzionali e non), fatte di velocità e pause, ma lontane dalla ricerca di approfondimenti spirituali vissute nell’omogeneità dell’esperienza improvvisativa come in un Coltrane di I love supreme o di Ascension. L’interazione è sapientemente incanalata sul suono e non sull’effetto catartico; è piena della cultura contemporanea sui suoni e rumori. Senza utilizzare elettronica e basandosi solo sulla strumentazione (anche opportuna modulata sull’amplificazione), i cinque musicisti mantengono alto il livello di libertà espressiva ma sono anche spinti dalla volontà di tentare di delineare un immagine attraverso l’improvvisazione e ci riescono benissimo, poichè negli spazi apparentemente angusti del caos ci si confronta con personalizzazioni (chiamasi assoli) che rientrano nel gotha esibitivo dei partecipanti (Bittolo Bon è al suo top, in versione multistrato, poderoso e frastagliato nel fraseggio, Cappellato sviluppa un’attenta ed oscura parte ritmica tramite la sua “anima” free, Massaron evoca allegorie tra i fantasmi della chitarra elettrica ed i “propri” fantasmi, Benedetti sembra aver in mano un’altro strumento ed Evans si arrampica come una scheggia impazzita).Piero Bittolo Bon è nome piuttosto ricorrente nelle pagine del jazz di questo sito: non solo è uno dei più bravi sassofonisti che l’Italia può vantare ma è anche un cultore della forma moderna dello strumento: oggi forse, per trovare nuove vie, non serve più sparare a zero con esso, richiamare alla memoria crudeltà del suono o miscele orientali, ogni fraseggio deve essere intelligente ed esposto all’evocazione, a prescindere dalla velocità. E questo è un aspetto che può far la differenza fra un sassofonista free di qualche generazione fa e quelli odierni. E’ stato pubblicato recentemente una validissima registrazione effettuata nell’estate del 2012 in forma di sessions estive, a cui parteciparono Tommaso Cappellato alla batteria, Simone Massaron alla chitarra, Glauco Benedetti alla tuba e Peter Evans alla tromba, con l’appellativo di Pbb’s Lacus Amoenus.
“The Sauna session” consegna le proprie credenziali ad uno stato caotico ed eclettico: contando sul valore dei partecipanti, la session è una ricostruzione di musica improvvisata che ha tutto il sapore delle jams di free jazz moderne, basate sull’ontologia dei suoni (convenzionali e non), fatte di velocità e pause, ma lontane dalla ricerca di approfondimenti spirituali vissute nell’omogeneità dell’esperienza improvvisativa come in un Coltrane di I love supreme o di Ascension. L’interazione è sapientemente incanalata sul suono e non sull’effetto catartico; è piena della cultura contemporanea sui suoni e rumori. Senza utilizzare elettronica e basandosi solo sulla strumentazione (anche opportuna modulata sull’amplificazione), i cinque musicisti mantengono alto il livello di libertà espressiva ma sono anche spinti dalla volontà di tentare di delineare un immagine attraverso l’improvvisazione e ci riescono benissimo, poichè negli spazi apparentemente angusti del caos ci si confronta con personalizzazioni (chiamasi assoli) che rientrano nel gotha esibitivo dei partecipanti (Bittolo Bon è al suo top, in versione multistrato, poderoso e frastagliato nel fraseggio, Cappellato sviluppa un’attenta ed oscura parte ritmica tramite la sua “anima” free, Massaron evoca allegorie tra i fantasmi della chitarra elettrica ed i “propri” fantasmi, Benedetti sembra aver in mano un’altro strumento ed Evans si arrampica come una scheggia impazzita).

Musica Jazz parla di Chaos And Order

Il quartetto No Pair ha diverse carte nel suo mazzo: grande spontaneità, amore per la ricerca (che si tinge di colori zappiani e zorniani) e passione per la dicotomìa tra densità e rare-fazione: tutte caratteristiche che si apprezzano bene in questo lavoro, capace di farsi ascoltare sia per l’originalità timbrica della band sia per i pregevoli contributi dei singoli elementi.
Edag è forse il brano più rappresenta¬tivo del disco, con la sua alternanza di melodia e ruvidezza. Da ascoltare più volte è anche l’apparente rilassatezza di Spreadsheet, in cui il clarinetto di Chiapperini brilla nella sua multiforme personalità. Brain Misty è Invece il momento più intimo del gruppo, do¬ve grande risalto hanno le sfumature timbriche dei singoli. A ogni modo ascoltando il lavoro tutto d’un fiato ci si accorge ben presto che la divisione tra un brano e l’altro non è poi così determinante. Siamo di fronte a una serie di pezzi che raccontano una storia unica pur non essendo omo-genei. E questo non può che essere un pregio.Il quartetto No Pair ha diverse carte nel suo mazzo: grande spontaneità, amore per la ricerca (che si tinge di colori zappiani e zorniani) e passione per la dicotomìa tra densità e rare-fazione: tutte caratteristiche che si apprezzano bene in questo lavoro, capace di farsi ascoltare sia per l’originalità timbrica della band sia per i pregevoli contributi dei singoli elementi.
Edag è forse il brano più rappresenta¬tivo del disco, con la sua alternanza di melodia e ruvidezza. Da ascoltare più volte è anche l’apparente rilassatezza di Spreadsheet, in cui il clarinetto di Chiapperini brilla nella sua multiforme personalità. Brain Misty è Invece il momento più intimo del gruppo, do¬ve grande risalto hanno le sfumature timbriche dei singoli. A ogni modo ascoltando il lavoro tutto d’un fiato ci si accorge ben presto che la divisione tra un brano e l’altro non è poi così determinante. Siamo di fronte a una serie di pezzi che raccontano una storia unica pur non essendo omo-genei. E questo non può che essere un pregio.

Downtown Music Gallery parla di Chaos And Order

Featuring Franceso Chiaperini on soprano sax & bass clarinet & all compositions, Gianluca Elia on tenor sax, Dario Trapani on electric guitar and Antonio Fusco on drums. The Italian Long Song label has been around for nearly a decade and released 25 discs. Nearly all of their releases have included American musicians like Nels Cline, William Parker, Peter Evans and Marc Ribot. On rare occasion they have released discs from all Italian musicians like Nicola Cipani or the mysterious Foot Job Band. No Pair is another all Italian band, with most members I was not previously familiar with, except for saxist Gianluca Elia who works with Daniele Cavallanti for a recent disc from NuBop.
No Pair sound like a fine, quirky progressive jazz/rock quartet. The frontline of tenor & soprano sax (or bass clarinet) and electric guitar is tight, the writing modestly complex and nicely layered. I dig when they mellow out in the midsection of the first song with tasty soprano and guitar weaving their lines together quietly before building back up to a more intense conclusion, rocking out more with some fine bass clarinet and guitar interplay. One of the things that I like most about this is that the quartet are often laid back and create spirited yet somber moods in a suite like way with all of the pieces continuous. It reminds me of the better, Canterbury-like prog bands from the early seventies with nothing to prove but charming yet quirky music to make us all feel good. A band like No Pair should be playing at the annual RIO (Rock in Opposition) festival in France or appear in the “Romantic Warriors III – The Canterbury Tales” DVD.Featuring Franceso Chiaperini on soprano sax & bass clarinet & all compositions, Gianluca Elia on tenor sax, Dario Trapani on electric guitar and Antonio Fusco on drums. The Italian Long Song label has been around for nearly a decade and released 25 discs. Nearly all of their releases have included American musicians like Nels Cline, William Parker, Peter Evans and Marc Ribot. On rare occasion they have released discs from all Italian musicians like Nicola Cipani or the mysterious Foot Job Band. No Pair is another all Italian band, with most members I was not previously familiar with, except for saxist Gianluca Elia who works with Daniele Cavallanti for a recent disc from NuBop.
No Pair sound like a fine, quirky progressive jazz/rock quartet. The frontline of tenor & soprano sax (or bass clarinet) and electric guitar is tight, the writing modestly complex and nicely layered. I dig when they mellow out in the midsection of the first song with tasty soprano and guitar weaving their lines together quietly before building back up to a more intense conclusion, rocking out more with some fine bass clarinet and guitar interplay. One of the things that I like most about this is that the quartet are often laid back and create spirited yet somber moods in a suite like way with all of the pieces continuous. It reminds me of the better, Canterbury-like prog bands from the early seventies with nothing to prove but charming yet quirky music to make us all feel good. A band like No Pair should be playing at the annual RIO (Rock in Opposition) festival in France or appear in the “Romantic Warriors III – The Canterbury Tales” DVD.

orynx-improvandsounds su The Sauna Session

Lacus Amoenus est un groupe free-jazz relativement punk qui ne se prend pas au sérieux avec le guitariste Simone Massaron (electric et acoustic guitars, fretless guitar, lapsteel guitar, effects), Glauco Benedetti au tuba, le batteur Tommaso Capellato et Peter Evans, crédité trompette et piccolo trumpet. Quand on tend l’oreille, Bittolo Bon est un sérieux client qui a une bonne culture pratique du jazz. Le groupe dépote et déménage avec ou sans clin d’yeux avec une réelle efficacité. Le projet Lacus Amoenus est un croisement entre une approche savante et éduquée du jazz libre (PB Bon et Evans) et un esprit punk (la guitare de Massaron) où le côté parfois noise du trompettiste trouve un exutoire. Onze morceaux où on ne se prend pas au sérieux tout en jouant solide et dans lesquels Evans s’intègre parfaitement. Les titres sont à coucher dehors mais la musique est vraiment bonne et la capacité à jouer « lisible » et efficace du batteur et du guitariste apporte une dynamique bienvenue. Des changements fréquents de registre et de rythmique et l’utilisation intelligente des effets stimulent l’écoute et l’attention, mettant en valeur la présence de Peter Evans. Il y fait son travail avec la plus haute conscience musicale enrichissant chaque séquence où il intervient par des nuances toujours renouvelées et des idées remarquables. Comme ce beau duo guitare acoustique et trompette dans le troisième morceau. Excellent! Un beau travail collectif ! Et Evans se révèle l’héritier le plus sérieux de Booker Little, Kenny Wheeler et du Toshinori Kondo de 79/80/81 et un des musiciens les plus originaux d’aujourd’hui.Lacus Amoenus est un groupe free-jazz relativement punk qui ne se prend pas au sérieux avec le guitariste Simone Massaron (electric et acoustic guitars, fretless guitar, lapsteel guitar, effects), Glauco Benedetti au tuba, le batteur Tommaso Capellato et Peter Evans, crédité trompette et piccolo trumpet. Quand on tend l’oreille, Bittolo Bon est un sérieux client qui a une bonne culture pratique du jazz. Le groupe dépote et déménage avec ou sans clin d’yeux avec une réelle efficacité. Le projet Lacus Amoenus est un croisement entre une approche savante et éduquée du jazz libre (PB Bon et Evans) et un esprit punk (la guitare de Massaron) où le côté parfois noise du trompettiste trouve un exutoire. Onze morceaux où on ne se prend pas au sérieux tout en jouant solide et dans lesquels Evans s’intègre parfaitement. Les titres sont à coucher dehors mais la musique est vraiment bonne et la capacité à jouer « lisible » et efficace du batteur et du guitariste apporte une dynamique bienvenue. Des changements fréquents de registre et de rythmique et l’utilisation intelligente des effets stimulent l’écoute et l’attention, mettant en valeur la présence de Peter Evans. Il y fait son travail avec la plus haute conscience musicale enrichissant chaque séquence où il intervient par des nuances toujours renouvelées et des idées remarquables. Comme ce beau duo guitare acoustique et trompette dans le troisième morceau. Excellent! Un beau travail collectif ! Et Evans se révèle l’héritier le plus sérieux de Booker Little, Kenny Wheeler et du Toshinori Kondo de 79/80/81 et un des musiciens les plus originaux d’aujourd’hui.

Orynx – Improv' and Sounds su The Vancouver Tapes

Image très floue sur la pochette (peinture ??), enregistrement à Vancouver en 1999, nom de groupe improbable. Les titres : Subterranean Streams of Consciousness, Shadows of the Night. Un moto dans le texte de pochette : My Roots are in my record player. Ne vous fiez pas aux apparences, William Parker joue ici avec deux grands du jazz libre européen en apportant toutes les couleurs requises (flûtes, guimbri) : le batteur Tiziano Tononi auteur de la longue suite de 42 minutes de Streams et de Shadows et son acolyte de toujours, le saxophoniste Daniele Cavallanti. Superbe, épique, intense et du point de vue du saxophone ténor, de haute volée. Quant au sax baryton, c’est vraiment du solide ! William Parker a souvent joué avec les regrettés Glenn Spearman, David S Ware et Fred Anderson, sans oublier Edward Kidd Jordan. Cavallanti tient la comparaison à son avantage : son abattage et l’articulation de son jeu s’imposent naturellement. L’enregistrement n’est sans soute pas idéal, mais la qualité de la musique jouée est indubitable. Quand Tononi empoigne ses congas, on entend assez clairement la basse de Parker vrombir et tressauter d’aise dans ses grands écarts africains. Il y a une réelle dimension africaine et caraïbe dans leur musique libérée des carcans du jazz de festival bien-comme-il faut. Une authentique célébration du rythme et de la frénésie de la musique afro-américaine des Coltrane, Blackwell, Cherry. Des types avec un tel métier pourraient se contenter de faire du jazz rondouillard pour magazine cucul et sillonner tous les festivals bien-pensants. Ils ont choisi une voie authentique, engagée et difficile (tenir la scène avec un morceau de quarante minutes !) dans une musique mouvante qui se réfère à la Great Black Music militante. Et qui se teinte d’orientalisme dans la deuxième partie (Shadows of the Night, 33 :31) avec le ney de William Parker (ou Cavallanti) et le tabla de Tononi pour retrouver ensuite des accents africains inédits. Malgré la durée en dizaines de minutes, le temps passe très agréablement. C’est un peu dommage que le son de l’enregistrement n’est pas tout à fait à la hauteur, surtout pour pouvoir goûter l’interaction batterie et basse, mais suffisant pour que le plaisir de la découverte reste intact. Cavallanti évoque un penchant rollinsien avec une puissance et un mordant qui ne trompent pas. Et finit par évoquer Albert Ayler le plus simplement du monde dans l’esprit de la fameuse suite de Don Cherry. C’est dire ! Remarquable !! Image très floue sur la pochette (peinture ??), enregistrement à Vancouver en 1999, nom de groupe improbable. Les titres : Subterranean Streams of Consciousness, Shadows of the Night. Un moto dans le texte de pochette : My Roots are in my record player. Ne vous fiez pas aux apparences, William Parker joue ici avec deux grands du jazz libre européen en apportant toutes les couleurs requises (flûtes, guimbri) : le batteur Tiziano Tononi auteur de la longue suite de 42 minutes de Streams et de Shadows et son acolyte de toujours, le saxophoniste Daniele Cavallanti. Superbe, épique, intense et du point de vue du saxophone ténor, de haute volée. Quant au sax baryton, c’est vraiment du solide ! William Parker a souvent joué avec les regrettés Glenn Spearman, David S Ware et Fred Anderson, sans oublier Edward Kidd Jordan. Cavallanti tient la comparaison à son avantage : son abattage et l’articulation de son jeu s’imposent naturellement. L’enregistrement n’est sans soute pas idéal, mais la qualité de la musique jouée est indubitable. Quand Tononi empoigne ses congas, on entend assez clairement la basse de Parker vrombir et tressauter d’aise dans ses grands écarts africains. Il y a une réelle dimension africaine et caraïbe dans leur musique libérée des carcans du jazz de festival bien-comme-il faut. Une authentique célébration du rythme et de la frénésie de la musique afro-américaine des Coltrane, Blackwell, Cherry. Des types avec un tel métier pourraient se contenter de faire du jazz rondouillard pour magazine cucul et sillonner tous les festivals bien-pensants. Ils ont choisi une voie authentique, engagée et difficile (tenir la scène avec un morceau de quarante minutes !) dans une musique mouvante qui se réfère à la Great Black Music militante. Et qui se teinte d’orientalisme dans la deuxième partie (Shadows of the Night, 33 :31) avec le ney de William Parker (ou Cavallanti) et le tabla de Tononi pour retrouver ensuite des accents africains inédits. Malgré la durée en dizaines de minutes, le temps passe très agréablement. C’est un peu dommage que le son de l’enregistrement n’est pas tout à fait à la hauteur, surtout pour pouvoir goûter l’interaction batterie et basse, mais suffisant pour que le plaisir de la découverte reste intact. Cavallanti évoque un penchant rollinsien avec une puissance et un mordant qui ne trompent pas. Et finit par évoquer Albert Ayler le plus simplement du monde dans l’esprit de la fameuse suite de Don Cherry. C’est dire ! Remarquable !!

The New York City Jazz Record parla di "The Vancouver Tapes"

The Vancouver Tapes documents Parker ’s appearance at the 1999 edition of that city’s Jazz Festival, his first-ever encounter with the Italian pairing of drummer Tiziano Tononi and reedplayer Daniele Cavallanti. A generous 76-minute program encompasses two sets, revealing a threesome who punch above their weight in a rousing free jazz bout. Milanese Cavallanti and Tononi are longtime colleagues, waxing homages to Rahsaan Roland Kirk, Don Cherry and Ornette Coleman, though perhaps best known as mainstays of the Instabile Orchestra.
Parker ’s multidirectional propulsion, abetted by Tiziano’s widescreen drumming, allows Cavallanti to take off in whatever direction he wishes, most usually energetic Ayler-inspired overblowing. The trio also quotes liberally from Ayler ’s songbook, notably at the conclusion of “Shadows Of The Night”. Each set follows a similar trajectory, from an atmospheric start featuring Cavallanti’s flute in tandem with Parker ’s insistent bowing through to spirited, even ecstatic, interaction. Audience conversation intrudes towards the end to betray the origin as a bootleg tape, but the slightly murky sound doesn’t disguise the chemistry between the threesome.The Vancouver Tapes documents Parker ’s appearance at the 1999 edition of that city’s Jazz Festival, his first-ever encounter with the Italian pairing of drummer Tiziano Tononi and reedplayer Daniele Cavallanti. A generous 76-minute program encompasses two sets, revealing a threesome who punch above their weight in a rousing free jazz bout. Milanese Cavallanti and Tononi are longtime colleagues, waxing homages to Rahsaan Roland Kirk, Don Cherry and Ornette Coleman, though perhaps best known as mainstays of the Instabile Orchestra.
Parker ’s multidirectional propulsion, abetted by Tiziano’s widescreen drumming, allows Cavallanti to take off in whatever direction he wishes, most usually energetic Ayler-inspired overblowing. The trio also quotes liberally from Ayler ’s songbook, notably at the conclusion of “Shadows Of The Night”. Each set follows a similar trajectory, from an atmospheric start featuring Cavallanti’s flute in tandem with Parker ’s insistent bowing through to spirited, even ecstatic, interaction. Audience conversation intrudes towards the end to betray the origin as a bootleg tape, but the slightly murky sound doesn’t disguise the chemistry between the threesome.

All About Jazz Italia parla di "Chaos and Order"

No Pair, il quartetto guidato da Francesco Chiapperini, ha già al proprio attivo una collaborazione importante, dello scorso anno con Tim Berne. È una formazione compatta e ben amalgamata, che interpreta le musiche del leader con forte adesione emotiva e convinzione, mettendo in scena con efficacia i contrasti timbrici, dinamici e stilistici proposti dalle belle composizioni. L’assenza del basso nell’organico strumentale allarga gli spazi, lasciando alla chitarra elettrica di Dario Trapani (e alle sue pedaliere) l’incombenza, discontinua, di disegnare linee di basso.

Chiapperini, altrove anche sassofonista contralto e flautista (di lui ricordiamo, tra l’altro, almeno l’Extemporary Vision Ensemble, dedicato a Massimo Urbani), limita qui il suo apporto all’utilizzo dei clarinetti (soprano e basso) per delineare una delle caratteristiche principali del quartetto: il contrasto tra le proprie ance e quelle del sax tenore di Gianluca Elia. Ulteriore fonte di opposizione e rispecchiamento è quella che pone in continuo rapporto dialettico l’elemento acustico e quello elettrico.

La musica di questo Chaos and Order, come recita lo stesso titolo, si alimenta di tali opposizioni e della loro continua metamorfosi, trascorrendo con fluidità dalle atmosfere incandescenti, scandite con forza dalla batteria di Antonio Fusco e dalla chitarra di Trapani, a quelle più ipnotiche e visionarie, in cui gli strumenti si fondono e trovano svariate forme e sfumature alla propria mescolanza. La duttilità nei ruoli è supportata anche dalla varietà stilistica proposta dal quartetto: la matrice fondamentale è quella del jazz, ma gli stimoli si affacciano su tutta la contemporaneità, guardando a rock, jungle, noise…

Tra i brani del CD, tutti degni di considerazione, ci piace segnalare la title-track posta in chiusra, dove la ricerca timbrica dell’introduzione (affidata alle alchimie di Trapani) scivola in un motivo circolare dei fiati (di segno minimalista) e sfocia poi in un riff dalle tipiche connotazioni hard rock, che però è di continuo frantumato e animato da digressioni, cambi di rotta, inserti free densi di humor.

Ottimo lavoro. **** 4 stelleNo Pair, il quartetto guidato da Francesco Chiapperini, ha già al proprio attivo una collaborazione importante, dello scorso anno con Tim Berne. È una formazione compatta e ben amalgamata, che interpreta le musiche del leader con forte adesione emotiva e convinzione, mettendo in scena con efficacia i contrasti timbrici, dinamici e stilistici proposti dalle belle composizioni. L’assenza del basso nell’organico strumentale allarga gli spazi, lasciando alla chitarra elettrica di Dario Trapani (e alle sue pedaliere) l’incombenza, discontinua, di disegnare linee di basso.

Chiapperini, altrove anche sassofonista contralto e flautista (di lui ricordiamo, tra l’altro, almeno l’Extemporary Vision Ensemble, dedicato a Massimo Urbani), limita qui il suo apporto all’utilizzo dei clarinetti (soprano e basso) per delineare una delle caratteristiche principali del quartetto: il contrasto tra le proprie ance e quelle del sax tenore di Gianluca Elia. Ulteriore fonte di opposizione e rispecchiamento è quella che pone in continuo rapporto dialettico l’elemento acustico e quello elettrico.

La musica di questo Chaos and Order, come recita lo stesso titolo, si alimenta di tali opposizioni e della loro continua metamorfosi, trascorrendo con fluidità dalle atmosfere incandescenti, scandite con forza dalla batteria di Antonio Fusco e dalla chitarra di Trapani, a quelle più ipnotiche e visionarie, in cui gli strumenti si fondono e trovano svariate forme e sfumature alla propria mescolanza. La duttilità nei ruoli è supportata anche dalla varietà stilistica proposta dal quartetto: la matrice fondamentale è quella del jazz, ma gli stimoli si affacciano su tutta la contemporaneità, guardando a rock, jungle, noise…

Tra i brani del CD, tutti degni di considerazione, ci piace segnalare la title-track posta in chiusra, dove la ricerca timbrica dell’introduzione (affidata alle alchimie di Trapani) scivola in un motivo circolare dei fiati (di segno minimalista) e sfocia poi in un riff dalle tipiche connotazioni hard rock, che però è di continuo frantumato e animato da digressioni, cambi di rotta, inserti free densi di humor.

Ottimo lavoro. **** 4 stelle

Distorsioni parla di Chaos And Order

Fa molto piacere trovarsi di fronte a dei lavori che, non rispondendo necessariamente ad una comoda classificazione di genere, sembrano riflettere una scelta o una necessità di resistenza alla crescente entropia culturale che pervade il contemporaneo. Venendo al dunque: No Pair è uno dei numerosi progetti capitanati dal sassofonista e clarinettista Francesco Chiapperini, talentuoso musicista pugliese che, insieme al suo combo, dimostra di sapere bene come il jazz non sia la stanca riproposizione di alcune lezioncine accademiche, quanto piuttosto un’attitudine inclusiva capace continuamente di rinnovare se stessa. Ve lo diciamo subito e senza stancanti giri di parole: “Chaos And Order” è davvero un grande disco, ricco di numerose spinte centrifughe, esercitate anche da chiare influenze noise e post-core, che trovano un efficace complemento nel rigore delle partiture scritte da Chiapperini.

Ottima la padronanza della dinamica da parte di tutto il gruppo nell’elaborare atmosfere rarefatte ma tese che, in equilibrio tra parti scritte ed improvvisazione, evolvono in maniera del tutto naturale in risoluzioni a dir poco avvincenti nei quali dagli ostinati sentiamo liberarsi furiose urla di sax e clarinetto basso, esaltanti sferragliate di chitarra ed un drumming impetuoso ma sempre attento. I temi, dalle buone peculiarità narrative, spesso offrono la possibilità al voicing collettivo di intrecciarsi nel gioco di Francesco_sito-300x200scambi tra unisono e contrappunto, sfruttando le possibilità timbriche e le potenzialità poliritmiche del quartetto. Intelligenza, padronanza tecnica, stile, maturità nell’interplay e sicuramente una buona dose di divertimento vengono sprigionate da queste sei tracce, ognuna delle quali potrebbe essere la migliore dell’album nel momento in cui la si ascolta. A tratti potrebbero venire in mente Charles Mingus o Eric Dolphy e immediatamente dopo Marc Ribot oppure John Scofield fino ad arrivare a The Jesus Lizard. Poco importa cercare di stabilire da dove vengano i No Pair, molto più importante è ascoltare dove stiano andando; sicuramente in una direzione in cui incontrando delle frontiere è bene che queste vengano superate. Davvero un buon ascolto.
Voto: 8/10
Fa molto piacere trovarsi di fronte a dei lavori che, non rispondendo necessariamente ad una comoda classificazione di genere, sembrano riflettere una scelta o una necessità di resistenza alla crescente entropia culturale che pervade il contemporaneo. Venendo al dunque: No Pair è uno dei numerosi progetti capitanati dal sassofonista e clarinettista Francesco Chiapperini, talentuoso musicista pugliese che, insieme al suo combo, dimostra di sapere bene come il jazz non sia la stanca riproposizione di alcune lezioncine accademiche, quanto piuttosto un’attitudine inclusiva capace continuamente di rinnovare se stessa. Ve lo diciamo subito e senza stancanti giri di parole: “Chaos And Order” è davvero un grande disco, ricco di numerose spinte centrifughe, esercitate anche da chiare influenze noise e post-core, che trovano un efficace complemento nel rigore delle partiture scritte da Chiapperini.

Ottima la padronanza della dinamica da parte di tutto il gruppo nell’elaborare atmosfere rarefatte ma tese che, in equilibrio tra parti scritte ed improvvisazione, evolvono in maniera del tutto naturale in risoluzioni a dir poco avvincenti nei quali dagli ostinati sentiamo liberarsi furiose urla di sax e clarinetto basso, esaltanti sferragliate di chitarra ed un drumming impetuoso ma sempre attento. I temi, dalle buone peculiarità narrative, spesso offrono la possibilità al voicing collettivo di intrecciarsi nel gioco di Francesco_sito-300x200scambi tra unisono e contrappunto, sfruttando le possibilità timbriche e le potenzialità poliritmiche del quartetto. Intelligenza, padronanza tecnica, stile, maturità nell’interplay e sicuramente una buona dose di divertimento vengono sprigionate da queste sei tracce, ognuna delle quali potrebbe essere la migliore dell’album nel momento in cui la si ascolta. A tratti potrebbero venire in mente Charles Mingus o Eric Dolphy e immediatamente dopo Marc Ribot oppure John Scofield fino ad arrivare a The Jesus Lizard. Poco importa cercare di stabilire da dove vengano i No Pair, molto più importante è ascoltare dove stiano andando; sicuramente in una direzione in cui incontrando delle frontiere è bene che queste vengano superate. Davvero un buon ascolto.
Voto: 8/10

Free Fall Jazz parla di The Vancouver Tapes

I più attenti ricorderanno che William Parker, assieme ad altri ospiti, ha già suonato con gli Udu Calls (alias il fiatista Daniele Cavallanti e il batterista Tiziano Tononi) in occasione di ‘Spirits Up Above’ del 2006. ‘The Vancouver Tapes’, che vede coinvolti solo i due musicisti nostrani e il bassista della Grande Mela, non rappresenta però il passo successivo a quella collaborazione, bensì una sorta di prequel. Le registrazioni risalgono infatti al Vancouver Jazz Festival del 1999, frutto di un DAT inaspettatamente ritrovato da Tononi. La qualità audio è, prevedibilmente, abbastanza cruda (ma comunque più che sufficiente), fattore che se da una parte potrebbe scoraggiare certi puristi del suono, dall’altra riesce a rendere bene l’idea dell’impatto e della “ruvidità” che il trio ha sprigionato sul palco quel giorno di Giugno di ormai quasi sedici anni fa.

Musicalmente i territori sono grossomodo quelli che potete aspettarvi se avete un po’ di familiarità coi nomi implicati, ossia un free jazz che celebra gli anni d’oro newyorkesi del genere, abbeverandosi non solo dai più “ovvi” (Ayler in primis, Don Cherry, finanche Marion Brown), ma anche e soprattutto dal sottobosco dei vari Marzette Watts e Frank Lowe. Il tutto si snoda in due “macigni” della durata rispettivamente di 42 e 33 minuti, dei quali il più riuscito è senz’altro il secondo, ‘Shadows Of The Night’, meno caotico dell’iniziale ‘Subterranean Stream Of Consciousness’, diviso tra ottime parentesi atmosferiche (l’intro con il flauto ney, per esempio) e momenti più ritmati che spesso tentano di seguire qualche spunto melodico, restando lontani da certi parossismi fini a se stessi anche nei passaggi più concitati. Il robusto contrabasso di Parker resta punto di riferimento e spina dorsale, mentre i due soci si alternano con disinvoltura con più di uno strumento: tenore e baritono per Cavallanti, percussioni di vario genere e numero per Tononi, che spesso assume anche il ruolo di “guida”, pur senza mai peccare di eccessiva invadenza.

Non un disco consigliato a tutti, ma per chi ama il genere una possibilità è quasi imperativaI più attenti ricorderanno che William Parker, assieme ad altri ospiti, ha già suonato con gli Udu Calls (alias il fiatista Daniele Cavallanti e il batterista Tiziano Tononi) in occasione di ‘Spirits Up Above’ del 2006. ‘The Vancouver Tapes’, che vede coinvolti solo i due musicisti nostrani e il bassista della Grande Mela, non rappresenta però il passo successivo a quella collaborazione, bensì una sorta di prequel. Le registrazioni risalgono infatti al Vancouver Jazz Festival del 1999, frutto di un DAT inaspettatamente ritrovato da Tononi. La qualità audio è, prevedibilmente, abbastanza cruda (ma comunque più che sufficiente), fattore che se da una parte potrebbe scoraggiare certi puristi del suono, dall’altra riesce a rendere bene l’idea dell’impatto e della “ruvidità” che il trio ha sprigionato sul palco quel giorno di Giugno di ormai quasi sedici anni fa.

Musicalmente i territori sono grossomodo quelli che potete aspettarvi se avete un po’ di familiarità coi nomi implicati, ossia un free jazz che celebra gli anni d’oro newyorkesi del genere, abbeverandosi non solo dai più “ovvi” (Ayler in primis, Don Cherry, finanche Marion Brown), ma anche e soprattutto dal sottobosco dei vari Marzette Watts e Frank Lowe. Il tutto si snoda in due “macigni” della durata rispettivamente di 42 e 33 minuti, dei quali il più riuscito è senz’altro il secondo, ‘Shadows Of The Night’, meno caotico dell’iniziale ‘Subterranean Stream Of Consciousness’, diviso tra ottime parentesi atmosferiche (l’intro con il flauto ney, per esempio) e momenti più ritmati che spesso tentano di seguire qualche spunto melodico, restando lontani da certi parossismi fini a se stessi anche nei passaggi più concitati. Il robusto contrabasso di Parker resta punto di riferimento e spina dorsale, mentre i due soci si alternano con disinvoltura con più di uno strumento: tenore e baritono per Cavallanti, percussioni di vario genere e numero per Tononi, che spesso assume anche il ruolo di “guida”, pur senza mai peccare di eccessiva invadenza.

Non un disco consigliato a tutti, ma per chi ama il genere una possibilità è quasi imperativa