STEREO REZIS

4 STARS ****

Als Elfjahriger bekam Tiziano Tononi aus Mailand sein erstes Schlagzeug. Drei Jahre spater sah er in einem al-ten Kino „zweimal hintereinander” den Fim Ober das Woodstock-Festi-val, hingerissen von Santana-Drum-mer Michael Shrieve. Dem briti¬schen Blues und Art-Rock fronend kam Tononi auf Muddy Waters und Robert Johnson. 1980 formierte er seine heute noch bestehende Band Nexus, die sein Interesse an Ornet-te Coleman reflektiert. Zu Andrew Cy¬rille, dem Ex-Drummer Cecil Taylors, der haufig in Italien tourte, entwi¬ckelte sich eine enge Freundschaft. Tononi wurde die treibende Kraft hin¬ter dem Italian Instabile Orchestra.
Etliche gelungene „Tribute”-Al-ben, die er Don Cherry, John Coltra¬ne, Albert Ayler urd Rahsaan Ro¬land Kirk widmete, basieren auf To¬nonis Konzeption einerSyntheseaus

vielen Sprachen, sein tauter, mach-tiger Sound erinnert stark an Elvin Jones. In „Blindlings” schreibt Clau-dio Magris: „Die Reise 1st der Beginn der Rilckkehr” — ahnlich 1st es mit dieser neuen CD, einer gliihenden Hommage an die Allman Brothers; speziell zum Blues sei er immer wie¬der zuruckgekommen, sagt Tononi. Das Album „Brothers And Sisters” animierte den Italiener einst, der aidstaaten-Band durch alle Hohen und Tiefen zu folgen. Er vergleicht sie mit einem schlauen alten Tier, das sich umsichtig durch den Dschun¬gel unserer Zeit bewegt.
Mit dem neuen Oktett reflektie¬ren sie Ober die vielen Einfliisse, die durch StUcke wie „Whipping Post” strbmten: Miles, Coltrane, Hendrix, The Grateful Dead. Tiz ware nicht Tiz, wenn daraus nicht etwas Eige-nes entstunde. Zartbesaitet sind sie nicht, die Holzblaser, und statt der Orgel wird ein Akkordeon eingesetzt. Zu den Entdeckungen hier zahlen der Geiger Emanuele Parrini und die Sangerin Marta Raviglia. Kaum war die Platte erschienen, erreichte uns die traurige Nachricht vom Tod Gregg Allmans. Karl Lippegaus
4 STARS ****

Als Elfjahriger bekam Tiziano Tononi aus Mailand sein erstes Schlagzeug. Drei Jahre spater sah er in einem al-ten Kino „zweimal hintereinander” den Fim Ober das Woodstock-Festi-val, hingerissen von Santana-Drum-mer Michael Shrieve. Dem briti¬schen Blues und Art-Rock fronend kam Tononi auf Muddy Waters und Robert Johnson. 1980 formierte er seine heute noch bestehende Band Nexus, die sein Interesse an Ornet-te Coleman reflektiert. Zu Andrew Cy¬rille, dem Ex-Drummer Cecil Taylors, der haufig in Italien tourte, entwi¬ckelte sich eine enge Freundschaft. Tononi wurde die treibende Kraft hin¬ter dem Italian Instabile Orchestra.
Etliche gelungene „Tribute”-Al-ben, die er Don Cherry, John Coltra¬ne, Albert Ayler urd Rahsaan Ro¬land Kirk widmete, basieren auf To¬nonis Konzeption einerSyntheseaus

vielen Sprachen, sein tauter, mach-tiger Sound erinnert stark an Elvin Jones. In „Blindlings” schreibt Clau-dio Magris: „Die Reise 1st der Beginn der Rilckkehr” — ahnlich 1st es mit dieser neuen CD, einer gliihenden Hommage an die Allman Brothers; speziell zum Blues sei er immer wie¬der zuruckgekommen, sagt Tononi. Das Album „Brothers And Sisters” animierte den Italiener einst, der aidstaaten-Band durch alle Hohen und Tiefen zu folgen. Er vergleicht sie mit einem schlauen alten Tier, das sich umsichtig durch den Dschun¬gel unserer Zeit bewegt.
Mit dem neuen Oktett reflektie¬ren sie Ober die vielen Einfliisse, die durch StUcke wie „Whipping Post” strbmten: Miles, Coltrane, Hendrix, The Grateful Dead. Tiz ware nicht Tiz, wenn daraus nicht etwas Eige-nes entstunde. Zartbesaitet sind sie nicht, die Holzblaser, und statt der Orgel wird ein Akkordeon eingesetzt. Zu den Entdeckungen hier zahlen der Geiger Emanuele Parrini und die Sangerin Marta Raviglia. Kaum war die Platte erschienen, erreichte uns die traurige Nachricht vom Tod Gregg Allmans. Karl Lippegaus

Blow Up

Il jazz italiano ha intensificato nel tempo i rapporti con it rock/pop, in passato tanto odiato. Hendrix, Led Zeppelin, Zappa, Michael Jackson, Doors, per limitarsi ai maggiori, negli ultimi anni sono stati al centro di “progetti” piu o meno felici, per non parlare dell’approccio “indie” di molti giovani improvvisatori cresciuti con i Radiohead nelle cuffie. Tononi in carriera non ha mai seguito le mode e probabilmente l’aver scelto di dedicarsi alla Allman Brothers Band e un’idea the gli frullava in testa da chissà quanto. Alla materia si e avvicinato con il suo robusto imprinting di free drummer, in compagnia di fiatisti dal piglio deciso e torrenziale (Passerini, Bittolo Bon e in un brano Cavallanti, sodale di tante session infuocate), strumentisti innovativi (Emanuele Parrini, viola e violin, il bassista Joe Fonda) e pure una vocalist (Marta Raviglia) in grado di cavarsela egregiamente. Midnight Rider, Don’t Want You No More, Whipping Post, Hot ‘Lanta, You Don’t Love Me scorrono secondo un’altra prospettiva e rivelano particolari nascosti grazie al percepibile entusiasmo posto in essere dai partecipanti. (7/8)
Il jazz italiano ha intensificato nel tempo i rapporti con it rock/pop, in passato tanto odiato. Hendrix, Led Zeppelin, Zappa, Michael Jackson, Doors, per limitarsi ai maggiori, negli ultimi anni sono stati al centro di “progetti” piu o meno felici, per non parlare dell’approccio “indie” di molti giovani improvvisatori cresciuti con i Radiohead nelle cuffie. Tononi in carriera non ha mai seguito le mode e probabilmente l’aver scelto di dedicarsi alla Allman Brothers Band e un’idea the gli frullava in testa da chissà quanto. Alla materia si e avvicinato con il suo robusto imprinting di free drummer, in compagnia di fiatisti dal piglio deciso e torrenziale (Passerini, Bittolo Bon e in un brano Cavallanti, sodale di tante session infuocate), strumentisti innovativi (Emanuele Parrini, viola e violin, il bassista Joe Fonda) e pure una vocalist (Marta Raviglia) in grado di cavarsela egregiamente. Midnight Rider, Don’t Want You No More, Whipping Post, Hot ‘Lanta, You Don’t Love Me scorrono secondo un’altra prospettiva e rivelano particolari nascosti grazie al percepibile entusiasmo posto in essere dai partecipanti. (7/8)

MUSICA JAZZ

Una delle più belle sorprese dell’anno viene da Tiziano Tononi, che ha fatto fruttare il suo amore per il Southern rock e gli Allman Brothers in particolare con un album di solida bellezza e originalita. I tribute album vivono un momento di stanca, non sono più una novita e sempre più spesso indulgono all’agiografia. Qui invece una esplosiva trasfigurazione della band di Macon, trasportata dal luogo comune del rock blues sudista a un’immaginaria terra di jazz in cui l’Holy ghost di Albert Ayler santifica Whipping Post, Roland Kirk e l’Art Ensemble Of Chicago modificando it DNA di Kind Of Bird e Coltrane e chiama a se Hot ‘Lanta e Interstellar space. La chiave di volta del progetto è la rinuncia alla timbrica originate, chitarre e tastiere, per non finire infilzati dal paragone con i fratelli Allman più Berry Oakley; invece di loro gli ieratici sax di Passerini e Bittolo Bon ma anche i violini di Parrini e la fisa di Torre, con un dolce gusto di folk blues. Più deboli certi momenti tipicamente blues, come It’s Not My Cross To Bear, con la voce di Marta Raviglia the non sembra la più adatta al progetto. Ma Tononi può andar fiero di quel che ha fatto: un potente quadro degli Allman e della sua fantasia, sacerdoti di «un antico rituale magico, un’ancestrale cerimonia africana celebrata nelle paludi della Georgia». Una delle più belle sorprese dell’anno viene da Tiziano Tononi, che ha fatto fruttare il suo amore per il Southern rock e gli Allman Brothers in particolare con un album di solida bellezza e originalita. I tribute album vivono un momento di stanca, non sono più una novita e sempre più spesso indulgono all’agiografia. Qui invece una esplosiva trasfigurazione della band di Macon, trasportata dal luogo comune del rock blues sudista a un’immaginaria terra di jazz in cui l’Holy ghost di Albert Ayler santifica Whipping Post, Roland Kirk e l’Art Ensemble Of Chicago modificando it DNA di Kind Of Bird e Coltrane e chiama a se Hot ‘Lanta e Interstellar space. La chiave di volta del progetto è la rinuncia alla timbrica originate, chitarre e tastiere, per non finire infilzati dal paragone con i fratelli Allman più Berry Oakley; invece di loro gli ieratici sax di Passerini e Bittolo Bon ma anche i violini di Parrini e la fisa di Torre, con un dolce gusto di folk blues. Più deboli certi momenti tipicamente blues, come It’s Not My Cross To Bear, con la voce di Marta Raviglia the non sembra la più adatta al progetto. Ma Tononi può andar fiero di quel che ha fatto: un potente quadro degli Allman e della sua fantasia, sacerdoti di «un antico rituale magico, un’ancestrale cerimonia africana celebrata nelle paludi della Georgia».

is this music

***1/2

Tiziano Tononi, Alessandro Pacho Rossi: Is This… Music??? Dopo un’attività decisamente intensa, con Nexus e con progetti propri (spesso sotto lo stesso ombrello, peraltro) dagli anni Ottanta fino all’inizio del nuovo millennio, Tiziano Tononi ha alquanto allentato la sua presenza discografica, per cui ci fa doppiamente piacere salutare questo suo nuovo lavoro, singolarmente inciso in duo con un altro percussionista, Alessandro Pacho Rossi, e dedicato alla memoria di quello che gli fu maestro, David Lee Searcy, scomparso nel 2011.

Il disco consta di due suite, entrambe firmate dallo stesso Tononi, una in cinque parti e l’altra in tre, dedicate ad altrettanti compositori di area contemporanea (pur nel senso più lato del termine) che alle percussioni hanno rivolto un’attenzione non episodica: John Cage (a partire da “First Construction in Metal,” del 1939), Henry Cowell (“Pulse,” sempre del ’39) e Edgard Varèse (un po’ l’apripista, da “Hyperprism” a “Ionisation,” tanto per citare solo due pagine di rilievo nodale).

Il caleidoscopio atmosferico-espressivo toccato dai due protagonisti di Is This… Music??? è quanto mai articolato, il che premia il loro sforzo di confezionare un lavoro che altrimenti avrebbe rischiato di insabbiarsi in melmose iterazioni o, per contro, in scorribande incontrollate. Qui tutto ciò rimane generalmente sull’uscio, fra segmenti più liquidi (tipo l’avvio di “Melody for a Bell/Brushes Groove,” uno dei due episodi con ospiti, che s’incammina poi lungo crinali vagamente prog-rock), minimalismi non troppo insistiti, e su su in crescendo di temperatura (alternato fra brano e brano, segmento e segmento, non progressivo e lineare) fino all’espansione-esplosione finale di “Varèse, not a Town,” particolarmente acceso, a tratti persino turbolento.

Lavoro rigoroso ma non troppo, eterodiretto ma non troppo, quindi. Equilibrato, insomma.
***1/2

Tiziano Tononi, Alessandro Pacho Rossi: Is This… Music??? Dopo un’attività decisamente intensa, con Nexus e con progetti propri (spesso sotto lo stesso ombrello, peraltro) dagli anni Ottanta fino all’inizio del nuovo millennio, Tiziano Tononi ha alquanto allentato la sua presenza discografica, per cui ci fa doppiamente piacere salutare questo suo nuovo lavoro, singolarmente inciso in duo con un altro percussionista, Alessandro Pacho Rossi, e dedicato alla memoria di quello che gli fu maestro, David Lee Searcy, scomparso nel 2011.

Il disco consta di due suite, entrambe firmate dallo stesso Tononi, una in cinque parti e l’altra in tre, dedicate ad altrettanti compositori di area contemporanea (pur nel senso più lato del termine) che alle percussioni hanno rivolto un’attenzione non episodica: John Cage (a partire da “First Construction in Metal,” del 1939), Henry Cowell (“Pulse,” sempre del ’39) e Edgard Varèse (un po’ l’apripista, da “Hyperprism” a “Ionisation,” tanto per citare solo due pagine di rilievo nodale).

Il caleidoscopio atmosferico-espressivo toccato dai due protagonisti di Is This… Music??? è quanto mai articolato, il che premia il loro sforzo di confezionare un lavoro che altrimenti avrebbe rischiato di insabbiarsi in melmose iterazioni o, per contro, in scorribande incontrollate. Qui tutto ciò rimane generalmente sull’uscio, fra segmenti più liquidi (tipo l’avvio di “Melody for a Bell/Brushes Groove,” uno dei due episodi con ospiti, che s’incammina poi lungo crinali vagamente prog-rock), minimalismi non troppo insistiti, e su su in crescendo di temperatura (alternato fra brano e brano, segmento e segmento, non progressivo e lineare) fino all’espansione-esplosione finale di “Varèse, not a Town,” particolarmente acceso, a tratti persino turbolento.

Lavoro rigoroso ma non troppo, eterodiretto ma non troppo, quindi. Equilibrato, insomma.

jazz convention

«The Allman Brothers Band Music meets Coltrane, Ayler and Mingus. A stunning mix of Avant Jazz and Rock Blues!» Questa la presentazione che il sito della Long Song Records offre per il nuovo lavoro di Tiziano Tononi & Southbound. E prosegue con una “equazione musicale” che spiega una parte del ragionamento seguito da Tiziano Tononi: togliere le chitarre dai brani della Allman Brothers Band per aggiungere fiati, violino e fisarmonica. E così abbiamo il quadro sonoro e i riferimenti artistici di Trouble No More… All Men Are Brothers.
Quando si parla dello stato attuale della musica, si arriva spesso ad una affermazione condivisa in modo pressoché unanime: «Oggi come oggi, è già stato fatto tutto!» Credo che, probabilmente, non sia mai stato tentato un progetto analogo a questo: sia andando a memoria che cercando in rete, non ho trovato altri esempi simili. È un omaggio alla band di Gregg e Duane Allman, in primo luogo, e alla concezione musicale di quelle formazioni ampie e ampiamente dedicate all’improvvisazione nel rock. E poi al blues, ai suoi accenti e ai suoi interpreti. L’andamento disegnato da Tononi riprende quello di un live di una Jam Band, con i brani aperti a lunghe improvvisazioni modali, i temi che ritornano, gli assolo come discorso condiviso tra i vari solisti che si alternano, si rispondono e proseguono l’uno il concetto dell’altro, si affiancano e si sommano. Naturalmente nel progetto di Tononi si aggiungono anche altre ispirazioni e suggestioni al Southern Rock: le avanguardie jazzistiche e la lunga pratica di improvvisazione radicale del leader e e di molti dei suoi compagni di avventura; il rock psichedelico californiano della fine degli anni sessanta fa capolino in certe assonanze e in alcuni punti di contatto presenti già all’epoca tra le due correnti. Le sonorità di violino e fisarmonica rappresentano una delle chiavi più intriganti del lavoro: se, da una parte, si avvicinano alle chitarre e alle tastiere dell’originale, richiamano anche il jazz degli albori e la musica popolare per offrire dimensioni ulteriori alla musica e dare una visione personale e meno scontata all’interpretazione offerta ai brani.
La personalità dei singoli e l’adesione convinta alle “linee-guida” del progetto completano il discorso. Trouble No More è un disco suonato con energia e dedizione, un ragionamento musicale che prende le mosse da un punto anche molto specifico e preciso – i brani della Allman Brothers Band, come è ovvio – ma raccoglie stimoli e spunti da tante direzioni diverse. Il mondo sonoro degli Allman si presta a questo tipo di suggestioni e di sintesi: basta considerare alcuni capisaldi della loro discografia, come il Live at Fillmore East e Eat a Peach, oppure le vicende artistiche dei vari membri che hanno fatto parte della band nel corso di oltre quattro decenni. Una miscela capace di sfuggire sempre ad una definizione precisa: siamo in ambito rock, è ovvio, per il suono delle chitarre, per molti stilemi, per l’estetica generale, ma in ogni nota si sente anche altro. Ed è proprio nelle “finestre” aperte verso altri mondi presenti nella produzione degli Allman che si inserisce Tononi per intrecciare il suo contributo: il materiale di partenza non viene stravolto né utilizzato come pretesto, viene suonato con un approccio da jam band ma secondo le personalità dei dieci protagonisti. L’assolo di armonica in You Don’t Love Me di Fabio Treves, uno dei padri nobili del blues italiano, è l’esempio più immediato per mostrare il rispetto che Southbound ha per l’originale ma lo stesso atteggiamento in grado di unire rispetto e personalità viene utilizzato per tutto il disco.
Come afferma Tononi, presentando il disco, la musica degli Allman unisce altissima qualità e una fertilissima creatività. E, in effetti, il batterista e i suoi musicisti seguono lo stesso principio ispiratore per avviarsi verso una sintesi espressiva davvero ben congegnata. Il risultato è in un quattordici tracce in cui riescono a tenere sempre viva la tensione, a convogliare gli stilemi del jazz in un contesto più vicino al rock e viceversa, a rivolgersi in una tanto agli appassionati del jazz che degli Allman Brothers con un disco in grado di non deludere gli aspettative né degli uni né degli altri e, magari, di gettare un ponte per avviare anche alcuni ascoltatori verso dischi o gruppi mai affrontati finora. «The Allman Brothers Band Music meets Coltrane, Ayler and Mingus. A stunning mix of Avant Jazz and Rock Blues!» Questa la presentazione che il sito della Long Song Records offre per il nuovo lavoro di Tiziano Tononi & Southbound. E prosegue con una “equazione musicale” che spiega una parte del ragionamento seguito da Tiziano Tononi: togliere le chitarre dai brani della Allman Brothers Band per aggiungere fiati, violino e fisarmonica. E così abbiamo il quadro sonoro e i riferimenti artistici di Trouble No More… All Men Are Brothers.
Quando si parla dello stato attuale della musica, si arriva spesso ad una affermazione condivisa in modo pressoché unanime: «Oggi come oggi, è già stato fatto tutto!» Credo che, probabilmente, non sia mai stato tentato un progetto analogo a questo: sia andando a memoria che cercando in rete, non ho trovato altri esempi simili. È un omaggio alla band di Gregg e Duane Allman, in primo luogo, e alla concezione musicale di quelle formazioni ampie e ampiamente dedicate all’improvvisazione nel rock. E poi al blues, ai suoi accenti e ai suoi interpreti. L’andamento disegnato da Tononi riprende quello di un live di una Jam Band, con i brani aperti a lunghe improvvisazioni modali, i temi che ritornano, gli assolo come discorso condiviso tra i vari solisti che si alternano, si rispondono e proseguono l’uno il concetto dell’altro, si affiancano e si sommano. Naturalmente nel progetto di Tononi si aggiungono anche altre ispirazioni e suggestioni al Southern Rock: le avanguardie jazzistiche e la lunga pratica di improvvisazione radicale del leader e e di molti dei suoi compagni di avventura; il rock psichedelico californiano della fine degli anni sessanta fa capolino in certe assonanze e in alcuni punti di contatto presenti già all’epoca tra le due correnti. Le sonorità di violino e fisarmonica rappresentano una delle chiavi più intriganti del lavoro: se, da una parte, si avvicinano alle chitarre e alle tastiere dell’originale, richiamano anche il jazz degli albori e la musica popolare per offrire dimensioni ulteriori alla musica e dare una visione personale e meno scontata all’interpretazione offerta ai brani.
La personalità dei singoli e l’adesione convinta alle “linee-guida” del progetto completano il discorso. Trouble No More è un disco suonato con energia e dedizione, un ragionamento musicale che prende le mosse da un punto anche molto specifico e preciso – i brani della Allman Brothers Band, come è ovvio – ma raccoglie stimoli e spunti da tante direzioni diverse. Il mondo sonoro degli Allman si presta a questo tipo di suggestioni e di sintesi: basta considerare alcuni capisaldi della loro discografia, come il Live at Fillmore East e Eat a Peach, oppure le vicende artistiche dei vari membri che hanno fatto parte della band nel corso di oltre quattro decenni. Una miscela capace di sfuggire sempre ad una definizione precisa: siamo in ambito rock, è ovvio, per il suono delle chitarre, per molti stilemi, per l’estetica generale, ma in ogni nota si sente anche altro. Ed è proprio nelle “finestre” aperte verso altri mondi presenti nella produzione degli Allman che si inserisce Tononi per intrecciare il suo contributo: il materiale di partenza non viene stravolto né utilizzato come pretesto, viene suonato con un approccio da jam band ma secondo le personalità dei dieci protagonisti. L’assolo di armonica in You Don’t Love Me di Fabio Treves, uno dei padri nobili del blues italiano, è l’esempio più immediato per mostrare il rispetto che Southbound ha per l’originale ma lo stesso atteggiamento in grado di unire rispetto e personalità viene utilizzato per tutto il disco.
Come afferma Tononi, presentando il disco, la musica degli Allman unisce altissima qualità e una fertilissima creatività. E, in effetti, il batterista e i suoi musicisti seguono lo stesso principio ispiratore per avviarsi verso una sintesi espressiva davvero ben congegnata. Il risultato è in un quattordici tracce in cui riescono a tenere sempre viva la tensione, a convogliare gli stilemi del jazz in un contesto più vicino al rock e viceversa, a rivolgersi in una tanto agli appassionati del jazz che degli Allman Brothers con un disco in grado di non deludere gli aspettative né degli uni né degli altri e, magari, di gettare un ponte per avviare anche alcuni ascoltatori verso dischi o gruppi mai affrontati finora.

FreeJazzBlogSpot

4 STARS ****

A founding member of Italian Instabile Orchestra, drummer Tiziano Tononi has a knack both for re-arranging songs to adapt to his diverse ensembles, and his Southbound octet is no exception. In addition to Tononi on drums and percussion, there’s Emanuele Passerini on soprano and tenor; Piero Bittolo Bon on alto, bass clarinet, and flutes; Emanuele Parrini on violin and viola; Carmelo Massimo Torre on accordion; Joe Fonda on both acoustic and electric bass; Pacho on congas, bongos, and percussion; and Marta Raviglia on vocals. Any tribute to the Allman Brothers needs to bring a mighty rhythm section, and Tononi, Pacho, and Fonda sound tremendous here, driving the band through a woolly, funky take on Allman’s blues-rock. Torre fills in the chordal middle on accordion, and Passerini, Bon, and Parrini play lead on most of the album.

Trouble No More… All Men Are Brothers opens with a stellar, genderbent take on two Allman Brothers classics, “Whippin’ Post” and “Midnight Rider.” Raviglia sings lead. In addition to being a woman singing lines written by and for a man, she flips the phrasing on a lot of signature lines, giving a fresh reading to lyrics I’ve heard dozens upon dozens of times. “Whippin’ Post” is atmospheric and rich, and “Midnight Rider” is barely recognizable. The band takes most of the trademark elements, the guitar riff and shuffle beat, and replaces them with an arrangement that highlights the weariness of rebellion.

Tononi composed three songs for the album, including “Requiem for Skydog,” a folkish tribute to guitarist Duane Allman, whose professed admiration for John Coltrane and Miles Davis (particularly, Kind of Blue) creates an interesting feedback loop, with his music now re-arranged for a jazz ensemble. Fonda takes a solo near the end that starts as a duet with Tononi, before the drummer gently drifts away in the final minute. It’s a lovely moment, providing the slightest of breaths before the final burner of a trio: “You Don’t Love Me,” “Soul Serenade,” “You Don’t Love Me (Glorious Ending).” Raviglia returns, again bending the lyrics to her style and Tononi’s hard-driving swing. Fabio Treves guests on harmonica, giving “You Don’t Love Me” one of the more traditional-sounding interpretations on the album, until the bottom drops out midway through and Passerini and Bon take an improvised sax-only duet that leads into a Dixieland coda.

I started this review a couple of weeks before Gregg Allman died, unexpectedly, in May. As with his tributes to Ornette Coleman, Don Cherry, and Rahsaan Roland Kirk, Tonini’s celebration of the Allman Brothers Band’s music is joyful, sincere, and revelatory, and with the recent loss of Allman, suddenly timely.
4 STARS ****

A founding member of Italian Instabile Orchestra, drummer Tiziano Tononi has a knack both for re-arranging songs to adapt to his diverse ensembles, and his Southbound octet is no exception. In addition to Tononi on drums and percussion, there’s Emanuele Passerini on soprano and tenor; Piero Bittolo Bon on alto, bass clarinet, and flutes; Emanuele Parrini on violin and viola; Carmelo Massimo Torre on accordion; Joe Fonda on both acoustic and electric bass; Pacho on congas, bongos, and percussion; and Marta Raviglia on vocals. Any tribute to the Allman Brothers needs to bring a mighty rhythm section, and Tononi, Pacho, and Fonda sound tremendous here, driving the band through a woolly, funky take on Allman’s blues-rock. Torre fills in the chordal middle on accordion, and Passerini, Bon, and Parrini play lead on most of the album.

Trouble No More… All Men Are Brothers opens with a stellar, genderbent take on two Allman Brothers classics, “Whippin’ Post” and “Midnight Rider.” Raviglia sings lead. In addition to being a woman singing lines written by and for a man, she flips the phrasing on a lot of signature lines, giving a fresh reading to lyrics I’ve heard dozens upon dozens of times. “Whippin’ Post” is atmospheric and rich, and “Midnight Rider” is barely recognizable. The band takes most of the trademark elements, the guitar riff and shuffle beat, and replaces them with an arrangement that highlights the weariness of rebellion.

Tononi composed three songs for the album, including “Requiem for Skydog,” a folkish tribute to guitarist Duane Allman, whose professed admiration for John Coltrane and Miles Davis (particularly, Kind of Blue) creates an interesting feedback loop, with his music now re-arranged for a jazz ensemble. Fonda takes a solo near the end that starts as a duet with Tononi, before the drummer gently drifts away in the final minute. It’s a lovely moment, providing the slightest of breaths before the final burner of a trio: “You Don’t Love Me,” “Soul Serenade,” “You Don’t Love Me (Glorious Ending).” Raviglia returns, again bending the lyrics to her style and Tononi’s hard-driving swing. Fabio Treves guests on harmonica, giving “You Don’t Love Me” one of the more traditional-sounding interpretations on the album, until the bottom drops out midway through and Passerini and Bon take an improvised sax-only duet that leads into a Dixieland coda.

I started this review a couple of weeks before Gregg Allman died, unexpectedly, in May. As with his tributes to Ornette Coleman, Don Cherry, and Rahsaan Roland Kirk, Tonini’s celebration of the Allman Brothers Band’s music is joyful, sincere, and revelatory, and with the recent loss of Allman, suddenly timely.

el intruso

Tiziano Tononi y su banda Southbound ofrecerán, en el álbum Trouble No More…All Men Are Brothers, un innovador tributo -desde la perspectiva del jazz de vanguardia- a la legendaria The Allman Brothers Band, agrupación constituida en 1969 (en origen integrada por Duane Allman en guitarra, Gregg Allman en voz y órgano, Butch Trucks y Jaimoe Johanson en baterías, Berry Oakley en bajo y Dickey Betts en guitarra y voz) a la que se considera artífice principal del denominado rock sureño.
El experimentado percusionista, compositor y arreglista Tiziano Tononi es una de las figuras más encumbradas de la escena jazzista italiana. Su dilatada trayectoria incluye un recordado paso por la Democratic Orchestra Milano, la fundación en sociedad con Daniele Cavallanti de los ensambles Nexus y Moon ont the Water, las contribuciones en el Jazz Chromatic Ensemble y la Italian Instabile Orchestra, el liderazgo de Multiphonics Tuba Trio y sus elogiados tributos a la música de Don Cherry (en Awake Nu – A Tribute to Don Cherry de 1996), a John Coltrane (en Infinity Train de 1997), a Rahsaan Roland Kirk (en We Did It, We Did It! en 2000) y Ornette Coleman (en Peace Warriors de 2005 y el álbum doble Peace Warriors / Forgotten Children de 2007).
El alegato entregado por Tiziano Tononi and Southbound en el álbum Trouble No More…All Men Are Brothers recrea el espíritu original contenido en algunos clásicos de The Allman Brothers Band pero desde un punto de vista musical que amalgama al jazz de vanguardia y la libre improvisación contemporánea.
A tal fin, conformó una estelar alineación integrada por algunos de los improvisadores más relevantes de la escena italiana y que incluye a su líder en batería y percusión, Emanuel Passerini en saxos tenor y soprano, Piero Bittolo Bon en saxo alto, clarinete bajo y flautas, Emanuele Parrini en violín y viola, Carmelo Massimo Torre en acordeón, Pacho en congas, bongos y percusión, Marta Raviglia en voces y el bajista estadounidense Joe Fonda más el agregado de Fabio Treves en armónica y Daniele Cavallanti en saxo tenor como músicos invitados.
El álbum comprende recreaciones muy personales de Whippin’ Post, Don’t Want You No More e It’s Not My Cross to Bear (todas ellas extractadas del disco The Allman Brothers Band de 1969), Midnight Rider (Idlewild South de 1970), Hot’ Lanta y You Don’t Love Me (del icónico At Filmore East de 1971), Les Brers in G Minor (Eat A Peach de 1972) y Kind of Bird (Shades of Two Worlds de 1991), una versión de Soul Serenade (tema de King Curtis que integrara el repertorio de The Allman Brothers) y tres composiciones originales con autoría de Tiziano Tononi: For Berry O., Clouds on Macon y Requiem for Skydog.
El lanzamiento de Trouble No More…All Men Are Brothers se producirá el próximo 2 de mayo y su edición estará a cargo del sello discográfico –dirigido por el productor Fabrizio Perissinotto– Long Song Records.
Tiziano Tononi y su banda Southbound ofrecerán, en el álbum Trouble No More…All Men Are Brothers, un innovador tributo -desde la perspectiva del jazz de vanguardia- a la legendaria The Allman Brothers Band, agrupación constituida en 1969 (en origen integrada por Duane Allman en guitarra, Gregg Allman en voz y órgano, Butch Trucks y Jaimoe Johanson en baterías, Berry Oakley en bajo y Dickey Betts en guitarra y voz) a la que se considera artífice principal del denominado rock sureño.
El experimentado percusionista, compositor y arreglista Tiziano Tononi es una de las figuras más encumbradas de la escena jazzista italiana. Su dilatada trayectoria incluye un recordado paso por la Democratic Orchestra Milano, la fundación en sociedad con Daniele Cavallanti de los ensambles Nexus y Moon ont the Water, las contribuciones en el Jazz Chromatic Ensemble y la Italian Instabile Orchestra, el liderazgo de Multiphonics Tuba Trio y sus elogiados tributos a la música de Don Cherry (en Awake Nu – A Tribute to Don Cherry de 1996), a John Coltrane (en Infinity Train de 1997), a Rahsaan Roland Kirk (en We Did It, We Did It! en 2000) y Ornette Coleman (en Peace Warriors de 2005 y el álbum doble Peace Warriors / Forgotten Children de 2007).
El alegato entregado por Tiziano Tononi and Southbound en el álbum Trouble No More…All Men Are Brothers recrea el espíritu original contenido en algunos clásicos de The Allman Brothers Band pero desde un punto de vista musical que amalgama al jazz de vanguardia y la libre improvisación contemporánea.
A tal fin, conformó una estelar alineación integrada por algunos de los improvisadores más relevantes de la escena italiana y que incluye a su líder en batería y percusión, Emanuel Passerini en saxos tenor y soprano, Piero Bittolo Bon en saxo alto, clarinete bajo y flautas, Emanuele Parrini en violín y viola, Carmelo Massimo Torre en acordeón, Pacho en congas, bongos y percusión, Marta Raviglia en voces y el bajista estadounidense Joe Fonda más el agregado de Fabio Treves en armónica y Daniele Cavallanti en saxo tenor como músicos invitados.
El álbum comprende recreaciones muy personales de Whippin’ Post, Don’t Want You No More e It’s Not My Cross to Bear (todas ellas extractadas del disco The Allman Brothers Band de 1969), Midnight Rider (Idlewild South de 1970), Hot’ Lanta y You Don’t Love Me (del icónico At Filmore East de 1971), Les Brers in G Minor (Eat A Peach de 1972) y Kind of Bird (Shades of Two Worlds de 1991), una versión de Soul Serenade (tema de King Curtis que integrara el repertorio de The Allman Brothers) y tres composiciones originales con autoría de Tiziano Tononi: For Berry O., Clouds on Macon y Requiem for Skydog.
El lanzamiento de Trouble No More…All Men Are Brothers se producirá el próximo 2 de mayo y su edición estará a cargo del sello discográfico –dirigido por el productor Fabrizio Perissinotto– Long Song Records.

all about jazz trouble

***1/2

La musica della Allman Brothers Band (e in fondo tutta una tradizione blues pregressa) a braccetto con Trane, Ayler, Mingus, il Davis orgiastico della svolta elettrica, e poi Rahsaan, Sun Ra, Cherry, l’Art Ensemble: questa, dichiaratamente, la linea percorsa dal nuovo lavoro del percussionista milanese, che del resto ad operazioni del genere è avvezzo da oltre venticinque anni (il primo capitolo della saga ci pare l’Ayler del ’90, nel ventennale della morte del sassofonista di Cleveland).

Il risultato è abbastanza eccentrico rispetto a tutti i precedenti, anche se, per altri versi, un dato marchio di fabbrica è una volta di più avvertibilissimo. La musica, come detto, è quella di Duane e Gregg Allman, debitamente riarrangiata da Tiziano Tononi (ma molto rispettata, almeno nelle coordinate-chiave, con al centro la voce di Marta Raviglia), il quale mette giù di suo pugno anche tre brani, “For Barry O.,” “Clouds of Macon” e “Skydog Blues.”

Il totale è ovviamente molto di più della musica di riferimento iniziale, ed ecco che vengono fuori più o meno distintamente i vari nomi fatti all’inizio. Il più prossimo ci pare Sun Ra, ma tutto un suono squisitamente black (a cui Tononi si è da sempre mostrato particolarmente sensibile) fa capolino di continuo, dall’anima funky, soul, R&B e chi più ne ha più ne metta, alle intemperanze free (magistrali ovunque i solisti), con tutto (molto, almeno) quello che ci passa in mezzo.

Ci sono qua e là delle leggerezze persino eccessive, ma fa parte del gioco. Ci sono, volta a volta, aromaticità e veemenza, turgori e ritualismo, venature anche country (l’armonica di Fabio Treves in “You Don’t Love Me,” che fa venire in mente i Canned Heat, che magari proprio country non erano, ma circumnavigavano pure quell’universo, e poi il violino di Parrini) e negritudine anche grassa (e qui ecco i fantasmi dell’ultimo Ayler, New Grass e dintorni, come l’Art Ensemble più di marca-Bowie). C’è tanta mercanzia, venendo incontro a gusti di varia etnia. Soddisfacendo di fatto un po’ tutti e aspettando il prossimo capitolo della saga tononiana.***1/2

La musica della Allman Brothers Band (e in fondo tutta una tradizione blues pregressa) a braccetto con Trane, Ayler, Mingus, il Davis orgiastico della svolta elettrica, e poi Rahsaan, Sun Ra, Cherry, l’Art Ensemble: questa, dichiaratamente, la linea percorsa dal nuovo lavoro del percussionista milanese, che del resto ad operazioni del genere è avvezzo da oltre venticinque anni (il primo capitolo della saga ci pare l’Ayler del ’90, nel ventennale della morte del sassofonista di Cleveland).

Il risultato è abbastanza eccentrico rispetto a tutti i precedenti, anche se, per altri versi, un dato marchio di fabbrica è una volta di più avvertibilissimo. La musica, come detto, è quella di Duane e Gregg Allman, debitamente riarrangiata da Tiziano Tononi (ma molto rispettata, almeno nelle coordinate-chiave, con al centro la voce di Marta Raviglia), il quale mette giù di suo pugno anche tre brani, “For Barry O.,” “Clouds of Macon” e “Skydog Blues.”

Il totale è ovviamente molto di più della musica di riferimento iniziale, ed ecco che vengono fuori più o meno distintamente i vari nomi fatti all’inizio. Il più prossimo ci pare Sun Ra, ma tutto un suono squisitamente black (a cui Tononi si è da sempre mostrato particolarmente sensibile) fa capolino di continuo, dall’anima funky, soul, R&B e chi più ne ha più ne metta, alle intemperanze free (magistrali ovunque i solisti), con tutto (molto, almeno) quello che ci passa in mezzo.

Ci sono qua e là delle leggerezze persino eccessive, ma fa parte del gioco. Ci sono, volta a volta, aromaticità e veemenza, turgori e ritualismo, venature anche country (l’armonica di Fabio Treves in “You Don’t Love Me,” che fa venire in mente i Canned Heat, che magari proprio country non erano, ma circumnavigavano pure quell’universo, e poi il violino di Parrini) e negritudine anche grassa (e qui ecco i fantasmi dell’ultimo Ayler, New Grass e dintorni, come l’Art Ensemble più di marca-Bowie). C’è tanta mercanzia, venendo incontro a gusti di varia etnia. Soddisfacendo di fatto un po’ tutti e aspettando il prossimo capitolo della saga tononiana.

The Arts Fuse on Duet

Duet (Long Song Records) is from a 2015 live date recorded in a small chapel in Portland, Maine. Fujii engages with the highly inventive bassist Joe Fonda for a long piece called “Paul Bley.” A moving homage to the late, great pianist/composer, the players generate intense synergies that touch on the inner and outer reaches of ‘free jazz.’ The conversation is intuitive, at times seemingly telepathic — and it creates an enormous amount of drama and joy. In the piece, Fujii spends a lot of time working inside the piano, dampening strings, carefully drawing sounds out of the instrument’s metal and wood. These eerie scrapes and shimmering drones, added to Fonda’s arco moans and whispers, conjure up a mysterious soundscape, a soundtrack for a tour of a netherworld.

Fonda, a veteran of many risk-taking collaborations, including a long stint with Anthony Braxton, is a musician who not only overflows with ideas, but possesses the technique to make them concrete, musically. What’s more, he brings a rich, resonant tone to his work with Fujii; the result is that the pair pays loving tribute to Bley while both musicians stretch their distinctive musical imaginations.

A short trio piece is included, featuring Natsuki Tamura’s breathy trumpet work. But this tune is most notable for Fujii’s sonic image of a slow eruption; her fingers release notes like bubbling lava from a deep source within her instrument. Fonda adds a bit of flute to further broaden the recording’s palette.Duet (Long Song Records) is from a 2015 live date recorded in a small chapel in Portland, Maine. Fujii engages with the highly inventive bassist Joe Fonda for a long piece called “Paul Bley.” A moving homage to the late, great pianist/composer, the players generate intense synergies that touch on the inner and outer reaches of ‘free jazz.’ The conversation is intuitive, at times seemingly telepathic — and it creates an enormous amount of drama and joy. In the piece, Fujii spends a lot of time working inside the piano, dampening strings, carefully drawing sounds out of the instrument’s metal and wood. These eerie scrapes and shimmering drones, added to Fonda’s arco moans and whispers, conjure up a mysterious soundscape, a soundtrack for a tour of a netherworld.

Fonda, a veteran of many risk-taking collaborations, including a long stint with Anthony Braxton, is a musician who not only overflows with ideas, but possesses the technique to make them concrete, musically. What’s more, he brings a rich, resonant tone to his work with Fujii; the result is that the pair pays loving tribute to Bley while both musicians stretch their distinctive musical imaginations.

A short trio piece is included, featuring Natsuki Tamura’s breathy trumpet work. But this tune is most notable for Fujii’s sonic image of a slow eruption; her fingers release notes like bubbling lava from a deep source within her instrument. Fonda adds a bit of flute to further broaden the recording’s palette.

The Squidsear on duet

The cover of this disc depicts what appears to be the flames of a setting sun igniting a band of cumulus clouds. The music itself is being experienced by your humble reviewer on a wet, chilly, alabaster evening in early February, and as both Satoko Fujii’s piano and Joe Fonda’s bass erupt out of the stereo field, such illustrated contrasts become apparent, literal, and livid.

Let’s note the pedigree of these players at the outset. Pianist Fujii has developed a reputation over the years, deservedly so, as one of improv’s leading lights, a clever and savvy performer of her chosen instrument who manages to combine the dexterity of Monk, the naked abstraction of Cecil Taylor, and the impressionistic flights of fancy so beloved of Paul Bley (for whom the lengthy opening piece is named, Bley being Fujii’s mentor) into a commandeering whole that is far more than the sum of its parts. Virtuoso bassist Fonda has performed with a number of jazz luminaries, most recently with Barry Altschul; his fingerstrokes are nothing less than volcanic, bespoken with a unique percussive attack repurposing the grandeur of Miroslav Vitous and Eberhard Weber in one mighty package. The two came together, having never met, let alone ever performed together, before, in a fortuitous happenstance, recorded in a church in Portland, Maine in 2015, that resulted in the works documented here.

Fonda breaks through the sonic membrane on “Paul Bley” first, his huge, earthy sound working below Fujii’s first tentative upper register flutters like a bubbling magma displacement. But soon Fujii’s cluster tones tickle across the soundstage in a cascading run of thrusting keyboard stabs, velvety trills, and more brazen fisticuffs. All the while Fonda’s formidable thunder bellows underneath, providing a fully articulated stream of notes that Fujii responds to with a near telepathic sense of tonal synergy. Fujii’s husband and frequent sparring partner, trumpeter Natsuki Tamura provides some beautifully languid accompaniment on the second shorter excursion, “JSN”, adding his usual mercurial vibe to an already heady brew. The very nature of the recording itself is practically a corresponding third instrumental element: live, this performance was undoubtedly captivating to behold, but on CD, the production and sound is absolutely electrifying.

Fujii’s work can sometimes recall a contemporary such as Vijay Iyer, but her unbridled energy and never-ending flow of ideas remains far more texturally inviting and aurally stimulating. She’s a force of nature, one to be reckoned with, which positions Duet as one of the most vital discs of its type you’ll hear this year.

The cover of this disc depicts what appears to be the flames of a setting sun igniting a band of cumulus clouds. The music itself is being experienced by your humble reviewer on a wet, chilly, alabaster evening in early February, and as both Satoko Fujii’s piano and Joe Fonda’s bass erupt out of the stereo field, such illustrated contrasts become apparent, literal, and livid.

Let’s note the pedigree of these players at the outset. Pianist Fujii has developed a reputation over the years, deservedly so, as one of improv’s leading lights, a clever and savvy performer of her chosen instrument who manages to combine the dexterity of Monk, the naked abstraction of Cecil Taylor, and the impressionistic flights of fancy so beloved of Paul Bley (for whom the lengthy opening piece is named, Bley being Fujii’s mentor) into a commandeering whole that is far more than the sum of its parts. Virtuoso bassist Fonda has performed with a number of jazz luminaries, most recently with Barry Altschul; his fingerstrokes are nothing less than volcanic, bespoken with a unique percussive attack repurposing the grandeur of Miroslav Vitous and Eberhard Weber in one mighty package. The two came together, having never met, let alone ever performed together, before, in a fortuitous happenstance, recorded in a church in Portland, Maine in 2015, that resulted in the works documented here.

Fonda breaks through the sonic membrane on “Paul Bley” first, his huge, earthy sound working below Fujii’s first tentative upper register flutters like a bubbling magma displacement. But soon Fujii’s cluster tones tickle across the soundstage in a cascading run of thrusting keyboard stabs, velvety trills, and more brazen fisticuffs. All the while Fonda’s formidable thunder bellows underneath, providing a fully articulated stream of notes that Fujii responds to with a near telepathic sense of tonal synergy. Fujii’s husband and frequent sparring partner, trumpeter Natsuki Tamura provides some beautifully languid accompaniment on the second shorter excursion, “JSN”, adding his usual mercurial vibe to an already heady brew. The very nature of the recording itself is practically a corresponding third instrumental element: live, this performance was undoubtedly captivating to behold, but on CD, the production and sound is absolutely electrifying.

Fujii’s work can sometimes recall a contemporary such as Vijay Iyer, but her unbridled energy and never-ending flow of ideas remains far more texturally inviting and aurally stimulating. She’s a force of nature, one to be reckoned with, which positions Duet as one of the most vital discs of its type you’ll hear this year.