Simone Massaron + Marc Ribot Duo

Simone Massaron + Marc Ribot Duo: 17 luglio, Ortosonico Pavia, ore 22.

Straordinario e unico concerto in duo di Simone Massaron con Marc Ribot. per ulteriori informazioni www.ortosonico.com

July, 17 – Ortosonico Pavia h.10pm.

Live performance with Simone Massaron and Marc Ribot. For further informations please visit

Dandelions On Fire guadagna la copertina di mescalina.it

Il portale di musica mescalina.it ha dedicato la homepage del n°33 a Dandelions On Fire, il disco di Simone Massaron con Carla Bozulich. La recensione è disponibile nella zona Press del nostro sito.
The music-related site mescalina.it features on his #33 homepage a tribute to Dandelions On Fire, the new album by Simone Massaron feat. Carla Bozulich. The related press review is avaiable clicking above on “Press”.

Danelions On Fire – mescalina.it

Tra collaborazioni e lavori in proprio, ci abbiamo quasi fatto l’abitudine al fatto che i dischi di Carla Bozulich siano attribuiti a nomi più o meno diversi a seconda delle occasioni. È stato così per il recente “Hello voyager”, accreditato come Evangelista, e parrebbe essere così anche per questo “Dandelions on fire”.
Attenzione però, perché questo è un album in tutto e per tutto di Simone Massaron, a cui la Bozulich ha prestato “solo” la sua voce e i suoi testi. Il chitarrista milanese è autore in toto del cd in quanto ha composto, arrangiato e suonato il materiale di sua mano, registrando con l’aiuto fondamentale di Zeno De Rossi (batteria), Xabier Iriondo (mahai methak), Andrea Viti (basso) più qualche altro ospite.
Si tratta dunque di un lavoro italiano, che ha però una caratura nettamente superiore alla media delle nostre scene indie-underground o quant’altro: “Dandelions on fire” è un disco di livello internazionale, in cui la voce della Bozulich è perfettamente a suo agio, a tratti anche più libera ed efficace rispetto a quanto fatto con i suoi progetti.
Ad ascoltare il modo in cui la sua indole drammatica rumoristica viene pacificata da fili di melodia autentici, legati saldamente ad un autarchico spirito blues, verrebbe da dire che questo è il disco migliore fatto dalla Bozulich, ma ribadiamo: lei qui si presta essenzialmente come interprete
Gran parte del merito è di Massaron e dei suoi musicisti, che dosano improvvisazioni e raggrumano noise, distorcendo, estraniando, ma senza mai portare i pezzi oltre il proprio limite (cosa che invece la Bozulich tende a fare volentieri quando è in proprio). Ne è così venuto un disco tanto profondo quanto ascoltabile, tanto straziante quanto commovente nella sua oscura bellezza.
L’approccio è quello di una musica americana old time scavata con un’attitudine da ricercatori alternativi odierni: dall’organo a pompa che scorre sotto ad “Never saw your face” al banjo che mordicchia “Love me mine” e così via per quella ballata perduta che è “The getaway man”, è tutto un affondare e risorgere da un umore avant-blues che non a caso a tratti assume qualche connotato spiritual.
Anche nei pezzi più toccanti come “Here in the blue” (“I’m here in the nowhere / I’m here in the blue”) c’è uno spirito insoddisfatto sempre ben sottolineato da chitarre dosate con dovizia, da una batteria che crea spazi e dai lamenti sonori di Iriondo piuttosto che di un violoncello o di qualche loop.
Il grammofono anni ’20 che si sente in “My hometown” è solo uno sfizio che sottolinea l’animo antico di questo nuovo progetto, che speriamo non si fermi a questo singolo episodio. Certo non sarà facile avere ancora a disposizione un’anima nomade come quella della Bozulich: Di tutte le case che la sua voce ha abitato, questa sembra però essere la migliore per come placa quell’identità disturbata che la contraddistingue.
Speriamo che Massaron riesca ad allestire un altro dei suoi spazi in cui alloggiarla.Tra collaborazioni e lavori in proprio, ci abbiamo quasi fatto l’abitudine al fatto che i dischi di Carla Bozulich siano attribuiti a nomi più o meno diversi a seconda delle occasioni. È stato così per il recente “Hello voyager”, accreditato come Evangelista, e parrebbe essere così anche per questo “Dandelions on fire”.
Attenzione però, perché questo è un album in tutto e per tutto di Simone Massaron, a cui la Bozulich ha prestato “solo” la sua voce e i suoi testi. Il chitarrista milanese è autore in toto del cd in quanto ha composto, arrangiato e suonato il materiale di sua mano, registrando con l’aiuto fondamentale di Zeno De Rossi (batteria), Xabier Iriondo (mahai methak), Andrea Viti (basso) più qualche altro ospite.
Si tratta dunque di un lavoro italiano, che ha però una caratura nettamente superiore alla media delle nostre scene indie-underground o quant’altro: “Dandelions on fire” è un disco di livello internazionale, in cui la voce della Bozulich è perfettamente a suo agio, a tratti anche più libera ed efficace rispetto a quanto fatto con i suoi progetti.
Ad ascoltare il modo in cui la sua indole drammatica rumoristica viene pacificata da fili di melodia autentici, legati saldamente ad un autarchico spirito blues, verrebbe da dire che questo è il disco migliore fatto dalla Bozulich, ma ribadiamo: lei qui si presta essenzialmente come interprete
Gran parte del merito è di Massaron e dei suoi musicisti, che dosano improvvisazioni e raggrumano noise, distorcendo, estraniando, ma senza mai portare i pezzi oltre il proprio limite (cosa che invece la Bozulich tende a fare volentieri quando è in proprio). Ne è così venuto un disco tanto profondo quanto ascoltabile, tanto straziante quanto commovente nella sua oscura bellezza.
L’approccio è quello di una musica americana old time scavata con un’attitudine da ricercatori alternativi odierni: dall’organo a pompa che scorre sotto ad “Never saw your face” al banjo che mordicchia “Love me mine” e così via per quella ballata perduta che è “The getaway man”, è tutto un affondare e risorgere da un umore avant-blues che non a caso a tratti assume qualche connotato spiritual.
Anche nei pezzi più toccanti come “Here in the blue” (“I’m here in the nowhere / I’m here in the blue”) c’è uno spirito insoddisfatto sempre ben sottolineato da chitarre dosate con dovizia, da una batteria che crea spazi e dai lamenti sonori di Iriondo piuttosto che di un violoncello o di qualche loop.
Il grammofono anni ’20 che si sente in “My hometown” è solo uno sfizio che sottolinea l’animo antico di questo nuovo progetto, che speriamo non si fermi a questo singolo episodio. Certo non sarà facile avere ancora a disposizione un’anima nomade come quella della Bozulich: Di tutte le case che la sua voce ha abitato, questa sembra però essere la migliore per come placa quell’identità disturbata che la contraddistingue.
Speriamo che Massaron riesca ad allestire un altro dei suoi spazi in cui alloggiarla.

Your Very Eyes – music-on-tnt.com

In “Your very eyes” ogni suono diviene strumento, come dimostra la titletrack, specchio di un dialogo continuo tra le inventive del sax soprano e il suono orientaleggiante del taisho koto e mahal metak, due strumenti a corda dall´aspetto esotico, che porta ad oriente la partitura di “Psalm of days”, come in una sorta di sorprendente fantasmagoria. In brani come “Side voice” e “Several calls and a perfect pair of opinions” si palesano inoltre le importanze dei silenzi, funzionali alla costruzione musicale dei brani che si susseguono senza soluzione di continuità, fino alla chiusura di “Completion”. Il filosofeggiare tra Mimmo e Iriondo sembra comunque non voler terminale, lasciando aperta una finestra dalla quale ascoltare le rimembranze di un disco, che pur non conquistando a pieno, riesce per la sua genesi e per il suo sviluppo a regalare qualcosa di unico.In “Your very eyes” ogni suono diviene strumento, come dimostra la titletrack, specchio di un dialogo continuo tra le inventive del sax soprano e il suono orientaleggiante del taisho koto e mahal metak, due strumenti a corda dall´aspetto esotico, che porta ad oriente la partitura di “Psalm of days”, come in una sorta di sorprendente fantasmagoria. In brani come “Side voice” e “Several calls and a perfect pair of opinions” si palesano inoltre le importanze dei silenzi, funzionali alla costruzione musicale dei brani che si susseguono senza soluzione di continuità, fino alla chiusura di “Completion”. Il filosofeggiare tra Mimmo e Iriondo sembra comunque non voler terminale, lasciando aperta una finestra dalla quale ascoltare le rimembranze di un disco, che pur non conquistando a pieno, riesce per la sua genesi e per il suo sviluppo a regalare qualcosa di unico.

Your Very Eyes – lascena.it

Dopo diverse collaborazioni Gianni Mimmo e Xabier Iriondo hanno deciso di fare un disco coi loro nomi. Per farlo hanno deciso di registrare queste nove tracce in un luogo speciale: la chiesa rupestre del X° secolo di S. Lucia alle Malve, a Matera. Le ragioni di questa scelta sono state sia di ordine acustico – dato che la composizione della pietra si è ben prestata alle esigenze acustiche del duo – sia di ordine artistico, poiché nei piani dei due musicisti c’era l’intenzione di creare un vero e proprio meta-linguaggio. In effetti meta-linguaggio la loro musica lo è a tutti gli effetti dal momento che Mimmo si è inerpicato sulle improvvisazioni jazz, senza mai strafare peraltro, bensì restando sempre su livelli di contenuto minimalismo, mentre l’ex Afterhours ha lavorato come un grande artigiano sulle macchine, cesellando suoni, rumori, vibrazioni e disturbi, costanti o spezzettati che fossero, intermittenti o dilatati.
Quello che ne esce alla fine è, come ormai da tradizione per la Wallace e per Iriondo, un grande progetto, nel quale si toccano gli orizzonti dell’arte sperimentale, sempre imprevedibile e per certi versi mistica.Dopo diverse collaborazioni Gianni Mimmo e Xabier Iriondo hanno deciso di fare un disco coi loro nomi. Per farlo hanno deciso di registrare queste nove tracce in un luogo speciale: la chiesa rupestre del X° secolo di S. Lucia alle Malve, a Matera. Le ragioni di questa scelta sono state sia di ordine acustico – dato che la composizione della pietra si è ben prestata alle esigenze acustiche del duo – sia di ordine artistico, poiché nei piani dei due musicisti c’era l’intenzione di creare un vero e proprio meta-linguaggio. In effetti meta-linguaggio la loro musica lo è a tutti gli effetti dal momento che Mimmo si è inerpicato sulle improvvisazioni jazz, senza mai strafare peraltro, bensì restando sempre su livelli di contenuto minimalismo, mentre l’ex Afterhours ha lavorato come un grande artigiano sulle macchine, cesellando suoni, rumori, vibrazioni e disturbi, costanti o spezzettati che fossero, intermittenti o dilatati.
Quello che ne esce alla fine è, come ormai da tradizione per la Wallace e per Iriondo, un grande progetto, nel quale si toccano gli orizzonti dell’arte sperimentale, sempre imprevedibile e per certi versi mistica.

Dandelions On Fire – Les Inrocks

Une chanteuse qui s’appelle Carla B., avec un guitariste italien . . prenomme Simone: sur le papier, ce disque a l’air d’une blague. En l’écoutant, on ne va pas rigoler beaucoup, mais on va s’extasier une fois de plus sur la voix de Carla RI! y a des lustres, on avait découvert cette fille perdue du country-punk au sein des Geraldine Fibbers. L’an dernier, elle nous hantait sur l’album d’Evangelista. Dande/ions on Pire, écrit par le guitariste Simone Massaron pour Carla Bozulich, est l’écrin d’un diamant noir. Entre Patsy Cline et Patti Smith, Carla Bozulich poursuit son exploration passionnante de mondes qui se croisent rarement -la country et la musique expérimentale -, renouant avec l’esprit de la old weird America, l’époque où la musique folk était un terrain vierge et parfois dangereux. Carla Bozulich envoie les violons, mais c’est un disciple de John Cale qui les martyrise, accompagné de musiciens plus à l’aise dans la zone industrielle qu’à la campagne. Country music dans la salle des machines, un jour de tremblement de terre, Dande/ions on Pire est un des ces albums extrêmes et dérangés que PJ Harvey aurait pu rêver d’enregistrer.Une chanteuse qui s’appelle Carla B., avec un guitariste italien . . prenomme Simone: sur le papier, ce disque a l’air d’une blague. En l’écoutant, on ne va pas rigoler beaucoup, mais on va s’extasier une fois de plus sur la voix de Carla RI! y a des lustres, on avait découvert cette fille perdue du country-punk au sein des Geraldine Fibbers. L’an dernier, elle nous hantait sur l’album d’Evangelista. Dande/ions on Pire, écrit par le guitariste Simone Massaron pour Carla Bozulich, est l’écrin d’un diamant noir. Entre Patsy Cline et Patti Smith, Carla Bozulich poursuit son exploration passionnante de mondes qui se croisent rarement -la country et la musique expérimentale -, renouant avec l’esprit de la old weird America, l’époque où la musique folk était un terrain vierge et parfois dangereux. Carla Bozulich envoie les violons, mais c’est un disciple de John Cale qui les martyrise, accompagné de musiciens plus à l’aise dans la zone industrielle qu’à la campagne. Country music dans la salle des machines, un jour de tremblement de terre, Dande/ions on Pire est un des ces albums extrêmes et dérangés que PJ Harvey aurait pu rêver d’enregistrer.

Technicolor – Rolling Stone

Lo abbiamo lasciato in situazioni più acustiche, al limite dell’improvvisazione, ora lo ritroviamo alla guida di un nuovo quartetto (più ospiti) elettrico, i Technicolor. Una declinazione moderna, mai stucchevole, già sentita. L’amalgama di gruppo funziona alla perfezione e Alfonso Santimone, un maghetto elettronico, dà un contributo unico. Tutti sanno organizzare la propria fantasia senza mai arginare quella altrui, anche quando arriva l’ospite a sorpresa Marc Ribot, musicista incredibile che offre un colore ancora diverso, country, psichedelico ed ora mettalico al suono complessivo. Due dischi preziosi nei quali Giovanni Maier si presenta al basso elettrico. Eccolo qui evocato il sincretismo tra antico e moderno, nella rivalutazione di una dimensione elettrica ed elettronica applicata ad ambiti improvvisati o strutturati quanto basta.Lo abbiamo lasciato in situazioni più acustiche, al limite dell’improvvisazione, ora lo ritroviamo alla guida di un nuovo quartetto (più ospiti) elettrico, i Technicolor. Una declinazione moderna, mai stucchevole, già sentita. L’amalgama di gruppo funziona alla perfezione e Alfonso Santimone, un maghetto elettronico, dà un contributo unico. Tutti sanno organizzare la propria fantasia senza mai arginare quella altrui, anche quando arriva l’ospite a sorpresa Marc Ribot, musicista incredibile che offre un colore ancora diverso, country, psichedelico ed ora mettalico al suono complessivo. Due dischi preziosi nei quali Giovanni Maier si presenta al basso elettrico. Eccolo qui evocato il sincretismo tra antico e moderno, nella rivalutazione di una dimensione elettrica ed elettronica applicata ad ambiti improvvisati o strutturati quanto basta.

Dandelions On Fire – Mucchio Selvaggio

Un chitarrista italiano, spalleggiato da un pugno di eccellenti musicisti connazionali, e una cantautrice statunitense amante della sperimentazione e delle atmosfere più cupe e morbose. Ecco gli ingredienti di quello che ha tutte le carte in regola per essere uno dei dischi più interessanti del 2007 in ambito cantautoriale, a patto naturalmente :di intendere questo termine nell’accezione maggiormente avventurosa e meno convenzionale. A mettere parole e voce in Dandelions On Fire (Long Song/Audioglobe) provvede Carla Bozulich, già protagonista su queste pagine un paio di mesi fa con album del suo nuovo progetto Evangelista; la parte musicale, invece, è appannaggio di Simone Massaron, chitarrista milanese di area jazz che tuttavia non disdegna incursioni in territori blues e rock. A dare loro man forte, gli ex Afterhours Xabier Iriondo (chitarra) e Andrea Viti (basso), e Zeno De Rossi, già batterista di Vinicio Capossela. Insomma, se non è un dream-team poco ci manca. E il risultato come si diceva, è all’altezza delle aspettative: ballate notturne e introspettive, venate del country meno convenzionale e intrise di blues; cupe, ma non per questo minacciose (lo è, comunque, l’iniziale Never Saw Your Face), visto che sovente il punto di riferimento più prossimo potrebbe essere la Patti Smith (relativamente) pacificata di Trampin’. Canzoni solide e fascinose, che solo verso la fine del programma mettono in mostra l’inquietudine dei loro autori, sfaldandosi e scricchiolando senza però mai perdersi del tutto.Un chitarrista italiano, spalleggiato da un pugno di eccellenti musicisti connazionali, e una cantautrice statunitense amante della sperimentazione e delle atmosfere più cupe e morbose. Ecco gli ingredienti di quello che ha tutte le carte in regola per essere uno dei dischi più interessanti del 2007 in ambito cantautoriale, a patto naturalmente :di intendere questo termine nell’accezione maggiormente avventurosa e meno convenzionale. A mettere parole e voce in Dandelions On Fire (Long Song/Audioglobe) provvede Carla Bozulich, già protagonista su queste pagine un paio di mesi fa con album del suo nuovo progetto Evangelista; la parte musicale, invece, è appannaggio di Simone Massaron, chitarrista milanese di area jazz che tuttavia non disdegna incursioni in territori blues e rock. A dare loro man forte, gli ex Afterhours Xabier Iriondo (chitarra) e Andrea Viti (basso), e Zeno De Rossi, già batterista di Vinicio Capossela. Insomma, se non è un dream-team poco ci manca. E il risultato come si diceva, è all’altezza delle aspettative: ballate notturne e introspettive, venate del country meno convenzionale e intrise di blues; cupe, ma non per questo minacciose (lo è, comunque, l’iniziale Never Saw Your Face), visto che sovente il punto di riferimento più prossimo potrebbe essere la Patti Smith (relativamente) pacificata di Trampin’. Canzoni solide e fascinose, che solo verso la fine del programma mettono in mostra l’inquietudine dei loro autori, sfaldandosi e scricchiolando senza però mai perdersi del tutto.

Your Very Eyes – All About Jazz Italy

Le geometrie austere di Santa Lucia alle Malve, un’antica chiesa del X secolo, incastonata nello scenario mozzafiato dei Sassi di Matera.

I muri imponenti, maestosi ma nudi, porosi e ricchi di cavità e aperture, un invito alla ricerca del suono primordiale e puro, alla circolazione dell’aria tra echi e riverberi naturali.

Due musicisti “nudi“, appena coperti dai rispettivi strumenti, che si esibiscono durante il solstizio d’estate, momento carico di magia e ricco di significati arcani.

Gianni Mimmo, al sax soprano, personalizza l’insegnamento di Steve Lacy. Lo strumento come parte del proprio respiro, come verga nelle sapienti mani di un rabdomante alla ricerca di recondite vibrazioni e nascoste particelle di suono.

Xabier Iriondo, con un paio di strumenti cordofoni di provenienza esotica come il taisho koto ed il mahai metak, funge da guastatore sonoro. La natura ricreata ed evocata, frammenti di materia che l’amplificazione low-fi raccoglie dalla storia e fa risplendere più vive che mai.

Frequenze e rumori esaltano la purezza del soprano di Mimmo, le corde sfregate, pizzicate, percosse lanciano un ponte instabile tra passato e futuro. Il candore della pietra contaminato dal nero di cavi e fili elettrici, la silhouette di un microfono che sostiene un poco imbarazzata lo sguardo di affreschi secolari.
Magia, poesia, follia. Di due musicisti fuori dal comune, e di una musica di misteriosa bellezza.

Your Very Eyes – altremusiche.it

“Your Very Eyes”, ovvero quando un luogo in cui si svolge una performance diventa non solo un elemento di ispirazione, ma strumento stesso che genera forma e dirige specifiche scelte. Limitandoci alle situazioni più in sintonia con la presente, vale la pena qui ricordare il lavoro di John Butcher in una miniera giapponese (“Cavern with Nightlife”). La performance di Gianni Mimmo (sax soprano) e Xabier Iriondo (apparecchiature lo-fi e strumenti a corda autocostruiti: taishi koto, mahai metak) sfrutta spazi che fino a questo momento non avevano goduto di analoghe esplorazioni come la chiesa di Santa Maria alle Malve di Matera, luogo scavato nella roccia e risalente al X secolo. L’atmosfera fresca e rarefatta di questa sessione di registrazioni, effettuate in un’unica presa nel giugno del 2007, impone scelte compositive che non si fa fatica a immaginare: sfruttamento del riverbero ambientale, dosaggio dei suoni, scelta precisa dei timbri e un certo qual contegno liturgico in rispetto alla sacralità del luogo (Mimmo parla appunto di “salmodia laica”).

A dispetto di un’articolazione che suddivide la performance in brani distinti, un continuum armonico-strutturale determina un’unità complessiva basata soprattutto sui drones creati da Iriondo sugli strumenti a corda, ribattuti, messi in risonanza e sporcati da microfoni e circuiti low-fi. Il sax di Mimmo è plastico e controllato, non sempre in funzione di pura ricerca di suoni, bensì in quasi costante costruzione melodica. La fraseologia è secca, segmentata, mai compiaciuta o indotta a facili lirismi.
Perché, sebbene non si possa certo ascrivere lavori come “Your Very Eyes” all’alveo dell’improvvisazione più radicale, questi paesaggi non sono quasi mai di natura consolatoria. Tanto per fare qualche paragone scomodo, quando si portano degli artisti in chiesa, può capitare di provocare infatuazioni mistiche che provocano stucchevoli ispirazioni musicali (basti dare un’occhiata a certe location in cui recentemente si è mosso uno come Surman). Qui, fortunatamente, nulla del genere eppure un certo volto umano rende il lavoro di Mimmo e Iriondo di quasi immediato impatto, proprio perché non sovraccarico di sovrastrutture. Merito forse anche del caldo sole del Sud e del fresco dei millenari sassi di Matera.“Your Very Eyes”, ovvero quando un luogo in cui si svolge una performance diventa non solo un elemento di ispirazione, ma strumento stesso che genera forma e dirige specifiche scelte. Limitandoci alle situazioni più in sintonia con la presente, vale la pena qui ricordare il lavoro di John Butcher in una miniera giapponese (“Cavern with Nightlife”). La performance di Gianni Mimmo (sax soprano) e Xabier Iriondo (apparecchiature lo-fi e strumenti a corda autocostruiti: taishi koto, mahai metak) sfrutta spazi che fino a questo momento non avevano goduto di analoghe esplorazioni come la chiesa di Santa Maria alle Malve di Matera, luogo scavato nella roccia e risalente al X secolo. L’atmosfera fresca e rarefatta di questa sessione di registrazioni, effettuate in un’unica presa nel giugno del 2007, impone scelte compositive che non si fa fatica a immaginare: sfruttamento del riverbero ambientale, dosaggio dei suoni, scelta precisa dei timbri e un certo qual contegno liturgico in rispetto alla sacralità del luogo (Mimmo parla appunto di “salmodia laica”).

A dispetto di un’articolazione che suddivide la performance in brani distinti, un continuum armonico-strutturale determina un’unità complessiva basata soprattutto sui drones creati da Iriondo sugli strumenti a corda, ribattuti, messi in risonanza e sporcati da microfoni e circuiti low-fi. Il sax di Mimmo è plastico e controllato, non sempre in funzione di pura ricerca di suoni, bensì in quasi costante costruzione melodica. La fraseologia è secca, segmentata, mai compiaciuta o indotta a facili lirismi.
Perché, sebbene non si possa certo ascrivere lavori come “Your Very Eyes” all’alveo dell’improvvisazione più radicale, questi paesaggi non sono quasi mai di natura consolatoria. Tanto per fare qualche paragone scomodo, quando si portano degli artisti in chiesa, può capitare di provocare infatuazioni mistiche che provocano stucchevoli ispirazioni musicali (basti dare un’occhiata a certe location in cui recentemente si è mosso uno come Surman). Qui, fortunatamente, nulla del genere eppure un certo volto umano rende il lavoro di Mimmo e Iriondo di quasi immediato impatto, proprio perché non sovraccarico di sovrastrutture. Merito forse anche del caldo sole del Sud e del fresco dei millenari sassi di Matera.