La Foce Del Ladrone – ilmucchio.it

Fabio Zuffanti non è un musicista dell’ultima ora e lo dimostra un curriculum artistico di tutto rispetto, che a partire dal 1994, lo vede coinvolto in diverse identità, stili, formazioni (Hostsonaten e Quadraphonic, Finisterre e La Maschera di Cera, per citarne una manciata). È una premessa importante per poter collocare meglio la sua più recente fatica, questo “La foce del ladrone” che in modo sfacciato omaggia a parole e immagini uno degli album più noti di Franco Battiato e che più discretamente (e con intelligenza), coglie di quel lavoro l’essenza musicale. L’album di Zuffanti non è un divertissement, tantomeno un’enorme masturbazione sonora. Se è vero che come un ladrone pesca a piene mani da illustri predecessori – da cui la foce, non necessariamente il cantautore siciliano – non si coglie la pretesa di sfidare l’ascoltatore ad una estenuante caccia al tesoro. Al contrario, i brani in scaletta hanno la capacità di farsi apprezzare anche, soprattutto, da chi non ha mai seguito o amato Battiato (il quale, in maniera identica, da altre sorgenti ha sempre attinto, senza farne mistero). “1986 (On A Solitary Beach)”, l’intensa “Se c’è lei”, il singolo “Musica strana” sono tra i brani migliori in scaletta, ciascuno a suo modo; quando tra melodie pop e arrangiamenti barocchi si infiltrano echi di musica prog (“In cantina”) Zuffanti raggiunge la perfezione. Probabilmente i puristi odieranno questo disco. Noi odiamo i puristi. Uno pari, palla al centro.Fabio Zuffanti non è un musicista dell’ultima ora e lo dimostra un curriculum artistico di tutto rispetto, che a partire dal 1994, lo vede coinvolto in diverse identità, stili, formazioni (Hostsonaten e Quadraphonic, Finisterre e La Maschera di Cera, per citarne una manciata). È una premessa importante per poter collocare meglio la sua più recente fatica, questo “La foce del ladrone” che in modo sfacciato omaggia a parole e immagini uno degli album più noti di Franco Battiato e che più discretamente (e con intelligenza), coglie di quel lavoro l’essenza musicale. L’album di Zuffanti non è un divertissement, tantomeno un’enorme masturbazione sonora. Se è vero che come un ladrone pesca a piene mani da illustri predecessori – da cui la foce, non necessariamente il cantautore siciliano – non si coglie la pretesa di sfidare l’ascoltatore ad una estenuante caccia al tesoro. Al contrario, i brani in scaletta hanno la capacità di farsi apprezzare anche, soprattutto, da chi non ha mai seguito o amato Battiato (il quale, in maniera identica, da altre sorgenti ha sempre attinto, senza farne mistero). “1986 (On A Solitary Beach)”, l’intensa “Se c’è lei”, il singolo “Musica strana” sono tra i brani migliori in scaletta, ciascuno a suo modo; quando tra melodie pop e arrangiamenti barocchi si infiltrano echi di musica prog (“In cantina”) Zuffanti raggiunge la perfezione. Probabilmente i puristi odieranno questo disco. Noi odiamo i puristi. Uno pari, palla al centro.

La Foce Del Ladrone – Blow Up

L’elemento emulativo ed ironico del nuovo lavoro di Zuffanti, il suo disco più insostenibilmente leggero, non si riferisce solo a quel che è così palese da risultare ingannevole, ossia Franco Battiato (nel titolo, nel layout grafico e certo pure nella musica). investe tutta la temperie del suono italiota che potremmo raccogliere sotto la bandiera di “italiani Brava Gente”, in quella forma – un poco straniante, iperreale disegnata proprio da Zingales. Elementi bipolari appaiono qua e là tra le righe dei testi, mentre le melodie disegnano amenità filosofico-balneari, critiche sociali, visionarietà divulgative. Tutte istigazioni al coretto in macchina che solleticano il ventre molle della retorica (un raggio verde bruciava la vita in pochi istanti), ad un certo punto inquietano (ed a//ora io prendo un fucile con cui faccio una bella strage non sopravvive nessuno) e alla
fine… ‘chi se ne frega’ (e corro via verso un ‘idea / una nuova stagione). ll catanese dicevamo. Evidenti, ma accortamente parche, le citazioni punteggiano l’aria canzonettistica del brano di apertura che tanto per non nascondersi dietro ad un dito si intitola 1986 (On a Solitary Beach). Ma nella musica risuona tutta la dimensione citazionistica della cultura italiana, la nostalgia che ci ha condannato in maniera patologica al memorialismo sonoro-esistenziale. Viviamo una eterna proiezione dei ricordi ’60, ’70, ’80. Le impronte che riconosciamo di più sono degli Audio2 (quelli che praticarono la pornografia: imitare Battisti, senti In Cantina), di Tiromancino (la propensione romantico-esistenziale di Zampaglione, ad esempio giù per Capo Nord) e pure di Elio e le Storie Tese (quando sono ai vertici della simulazione ironica e quasi sembrano esserci e
non farci). ll passino di Zuffanti però ha buchini piccoli piccoli e l’impasto risulta di grana fine. Non fa citazionismo Zutfanti, ma rumina tutta la stagione culturale e gli spea-
kers / gli auricolari ve la riversano. C’è qualcosa di candidamente osceno in questo disco anche perchè non si riesce a dire, definitivamente, se ‘c’è o ci fa’ (a Fabio il prog-pop piace ma ne conosce assai bene i limiti. _ .). Certo la presentazione su facebook di Tommaso Labranca diventa ingombrante e rischia di sancirne lo status di prodotto ‘intellettuale’ (o comunque psicanalitico, il suo disco-confessione, dice). Noi ci mettiamo il carico da undici (qualcosa di meno…). Pur ricordandovi, infatti, che lo Zuffanti migliore è sperimentale, non riusciamo ad evitare la tentazione di entrare nel potenziale ‘ciclo di hype’ inserendoci tra i 20.200 risultati (data stesura recensione) di google con
l’invenzione del genere paracul-situazionista reflux pop. Genere che furoreggia nell’universo parallelo in cui Debord non si suicida ma diviene ospite fisso della Prova del Cuoco e in cui Roberto Mariani non muore d’incidente stradale. Lo stesso universo dove ‘Musica Strana’ diventa il tormentone dell’estate. (… il voto è consequenziale).L’elemento emulativo ed ironico del nuovo lavoro di Zuffanti, il suo disco più insostenibilmente leggero, non si riferisce solo a quel che è così palese da risultare ingannevole, ossia Franco Battiato (nel titolo, nel layout grafico e certo pure nella musica). investe tutta la temperie del suono italiota che potremmo raccogliere sotto la bandiera di “italiani Brava Gente”, in quella forma – un poco straniante, iperreale disegnata proprio da Zingales. Elementi bipolari appaiono qua e là tra le righe dei testi, mentre le melodie disegnano amenità filosofico-balneari, critiche sociali, visionarietà divulgative. Tutte istigazioni al coretto in macchina che solleticano il ventre molle della retorica (un raggio verde bruciava la vita in pochi istanti), ad un certo punto inquietano (ed a//ora io prendo un fucile con cui faccio una bella strage non sopravvive nessuno) e alla
fine… ‘chi se ne frega’ (e corro via verso un ‘idea / una nuova stagione). ll catanese dicevamo. Evidenti, ma accortamente parche, le citazioni punteggiano l’aria canzonettistica del brano di apertura che tanto per non nascondersi dietro ad un dito si intitola 1986 (On a Solitary Beach). Ma nella musica risuona tutta la dimensione citazionistica della cultura italiana, la nostalgia che ci ha condannato in maniera patologica al memorialismo sonoro-esistenziale. Viviamo una eterna proiezione dei ricordi ’60, ’70, ’80. Le impronte che riconosciamo di più sono degli Audio2 (quelli che praticarono la pornografia: imitare Battisti, senti In Cantina), di Tiromancino (la propensione romantico-esistenziale di Zampaglione, ad esempio giù per Capo Nord) e pure di Elio e le Storie Tese (quando sono ai vertici della simulazione ironica e quasi sembrano esserci e
non farci). ll passino di Zuffanti però ha buchini piccoli piccoli e l’impasto risulta di grana fine. Non fa citazionismo Zutfanti, ma rumina tutta la stagione culturale e gli spea-
kers / gli auricolari ve la riversano. C’è qualcosa di candidamente osceno in questo disco anche perchè non si riesce a dire, definitivamente, se ‘c’è o ci fa’ (a Fabio il prog-pop piace ma ne conosce assai bene i limiti. _ .). Certo la presentazione su facebook di Tommaso Labranca diventa ingombrante e rischia di sancirne lo status di prodotto ‘intellettuale’ (o comunque psicanalitico, il suo disco-confessione, dice). Noi ci mettiamo il carico da undici (qualcosa di meno…). Pur ricordandovi, infatti, che lo Zuffanti migliore è sperimentale, non riusciamo ad evitare la tentazione di entrare nel potenziale ‘ciclo di hype’ inserendoci tra i 20.200 risultati (data stesura recensione) di google con
l’invenzione del genere paracul-situazionista reflux pop. Genere che furoreggia nell’universo parallelo in cui Debord non si suicida ma diviene ospite fisso della Prova del Cuoco e in cui Roberto Mariani non muore d’incidente stradale. Lo stesso universo dove ‘Musica Strana’ diventa il tormentone dell’estate. (… il voto è consequenziale).

La Foce Del Ladrone: nuova coproduzione Long Song

In primo piano

E’ disponibile da oggi su I-Tunes e su tutti i principali digital stores il nuovo singolo di Fabio ZuffantiMusica Strana”. Il brano anticipa l’uscita del nuovo album del musicista genovese “La foce del ladrone”, prevista per il 10 maggio 2011 su etichetta Spirals/Long Song Records con distribuzione Audioglobe. Dopo 17 anni di carriera in cui ha esplorato con diversi progetti i più svariati generi musicali, pubblicato dischi e tenuto tour in tutto il mondo e collaborato con personaggi del calibro di Franz di Cioccio e Wu Ming, per la prima volta Zuffanti si cimenta con la musica pop.
L’artista è stato, nei mesi scorsi, al centro di un’accesa polemica che ha coinvolto moltissimi utenti su Facebook e svariati blog a proposito di una sua lettera sull’industria musicale Italiana pubblicata per prima da La Repubblica Veneta News a questo link: http://www.larepubblicanews.it/default.asp?contenuto=10016<=ita&sezione=Musica
“Musica Strana” riprende in parte le tematiche della lettera ma le sposta su una dimensione più personale ed ironica.
«Mi capita spesso di conoscere delle persone e rispondere alla domanda “che mestiere fai?” spiegando loro che per vivere faccio musica. – dichiara Zuffanti – In molti casi c’e quasi un senso di disagio nel sentire queste affermazioni, perché per moltissimi il musicista o e ricco e famoso o non esiste. In un caso particolare, quello che racconto in questa canzone, ci sono stati un paio di conoscenti che mi hanno fatto una sorta di terzo grado per capire nel profondo come io possa osare fare la musica che faccio e che in fondo non conosce nessuno. La domanda finale era poi ancora piu inquietante: che tipo di musica e la mia che non passa mai in (certe) radio e tv? È musica? Descrivo questi fatti realmente accaduti sotto forma di sogno, anzi di incubo, e propongo alla fine una soluzione simpaticamente efferata ai danni dei miei interlocutori. Il coro che emerge nella coda finale e un omaggio a “Non mi rompete” del Banco del mutuo soccorso, il piu grande gruppo che l’Italia abbia avuto, forse troppo grandi per sopravvivere in un paese come il nostro.»

Nei prossimi giorni sarà disponibile inoltre il videoclip della canzone diretto dal regista Luca Giberti e realizzato con un’originale iniziativa a partecipazione popolare.
ASCOLTA IL SINGOLO QUI: http://soundcloud.com/zuffanti/musica-strana-single-version

SUL WEB: www.fabiozuffanti.comhttp://www.facebook.com/lafocedelladrone

Disponibile anche il video di Musica Strana: http://www.youtube.com/watch?v=fQXJpZSNk0w

 

Pubblicato in News

La Foce Del Ladrone

A un certo punto mi convinsi che da qualche parte nelle tracce di quel disco doveva esserci un messaggio subliminale che invitava al suo acquisto e al suo ascolto costante. In tutte le case vedevo la copertina bianca e blu e chiunque, persino gli imbianchini (non sia un riferimento offensivo, Lui ci aveva già insegnato in un disco precedente che un imbianchino è meglio di Le Corbusier), persino loro cantavano «il senso del possesso che fu prealessandrino». Lo facevano catturati dal rincorrersi di esse che scivolavano via da sole in un verso che forse non voleva dire nulla, benché ancora oggi sui forum in Rete ragazzi nati anni molto dopo l’uscita nei negozi di La voce del padrone continuino a interrogarsi sul significato.
Trent’anni fa non ci si credeva tutti colti e l’elenco delle cose che potevano elevarti dalla massa era diverso da quello odierno, era composto da elementi più concreti e non dalle «vacanze, l’erba voglio, il cibo giapponese, capire Battiato» come avrebbe elencato vent’anni dopo Morgan, altro discepolo del Maestro. Allora chi non era colto se ne beava e cantava quello che voleva solo per il gusto di farlo, senza dover dichiarare al mondo di aver capito Battiato.
Io comunque provai a cercare quella frase subliminale contenuta in La voce del padrone, convinto di trovarla incisa alla rovescia. Misi un dito sull’etichetta centrale color banana appassita della Emi e girai alla rovescia l’intero vinile, su tutt’e due i lati. Provate a farlo oggi con un mp3 senza usare alcun software, solo un dito. Non trovai niente e ne fui deluso. Ancora una volta non potevo competere con i fratelli maggiori, quelli che si raccontavano leggende di frasi diaboliche inserite nei long playing dei Beatles o di altri artisti che li avevano formati.
La rivincita avvenne parecchi anni dopo, quando mi accorsi di come quel disco avesse influito sul mio modo di scrivere più di qualsiasi altro libro. La mio tendenza al citazionismo frenetico, incontrollato spesso anche inutile dal quale ancora oggi non riesco a liberarmi nasce dall’eccessivo ascolto di Battiato nel 1981. Esattamente come la mia cancellazione dei sentimenti nasce dai suoni secchi, matematici e senza echi di un altro disco coevo, Tin Drum dei Japan.
Fabio Zuffanti è una ulteriore vittima della voce del padrone, disco verso il quale ha un debito infinito e sotterraneo. Adesso però Fabio ha deciso di risparmiare soldi che altrimenti avrebbe buttato via dall’analista, dichiarando apertamente il debito verso quella strana esperienza musicale che nel 1981 spazzò via dalle nostre orecchie i cascami dei cantautori politicizzati e quelli dei complessini romantici con voci da castrato barocco. Tutte espressioni che avevano avuto anche una loro dignità, ormai sfilacciate nel più trito manierismo, ma che Battiato, già passato attraverso le canzoni d’amore e la sperimentazione politica, riprendeva e rielaborava in canzoni dalla forma normale fatte di strofe e ritornelli. Il ritorno all’ordine: non c’è scandalo più grande.
La voce del padrone fu un reset mentale e musicale per molti. Come per tanti altri cagnolini incantati davanti alla tromba del grammofono da cui usciva la voce del padrone, anche per Fabio, allora troppo giovane e con la memoria non ancora intasata di note, fu un incontro folgorante al quale ritorna con rispetto e forse anche il timore di tradire il Maestro. Il timore viene presto superato e Fabio si lancia senza paracadute, in maniera talmente sfacciata da copiare persino la copertina del lavoro originale, con lo spesso bordo blu, il frammento di mappa celeste e quei triangoli colorati senza alcun significato che i grafici degli anni Ottanta mettevano dappertutto.
Dietro la copertina c’è la musica e qui l’omaggio è più sottile. Non sono cover, non è un tributo. È un’operazione più sottile, fatta di note sparse, di suoni di tastiere elettroniche che richiamano le estati su spiagge solitarie. Solo chi ha assorbito pienamente il disco originale potrà ritrovare in queste tracce di Zuffanti il Battiato del 1981. Che, come per i vini, fu un’annata particolare e irripetibile. Prima c’erano stati la sperimentazione e l’esoterismo, il pop imperfetto del cinghiale e dei patrioti. Dopo ci saranno bagni elettronici e ancora esoterismo e poi tutta la fase filosofica. La Voce del Padrone era l’equilibrio perfetto tra pop e sostanza. Credo che lo stesso Battiato ne sia pienamente consapevole, al punto che trent’anni dopo, di passaggio a Sanremo, accompagnò Luca Madonia autocitandosi, distribuendo in quel brano minimi ricordi di una estate su una spiaggia solitaria. La stessa dalla quale Fabio Zuffanti dà il via a questo suo disco-confessione.

Tommaso LabrancaA un certo punto mi convinsi che da qualche parte nelle tracce di quel disco doveva esserci un messaggio subliminale che invitava al suo acquisto e al suo ascolto costante. In tutte le case vedevo la copertina bianca e blu e chiunque, persino gli imbianchini (non sia un riferimento offensivo, Lui ci aveva già insegnato in un disco precedente che un imbianchino è meglio di Le Corbusier), persino loro cantavano «il senso del possesso che fu prealessandrino». Lo facevano catturati dal rincorrersi di esse che scivolavano via da sole in un verso che forse non voleva dire nulla, benché ancora oggi sui forum in Rete ragazzi nati anni molto dopo l’uscita nei negozi di La voce del padrone continuino a interrogarsi sul significato.
Trent’anni fa non ci si credeva tutti colti e l’elenco delle cose che potevano elevarti dalla massa era diverso da quello odierno, era composto da elementi più concreti e non dalle «vacanze, l’erba voglio, il cibo giapponese, capire Battiato» come avrebbe elencato vent’anni dopo Morgan, altro discepolo del Maestro. Allora chi non era colto se ne beava e cantava quello che voleva solo per il gusto di farlo, senza dover dichiarare al mondo di aver capito Battiato.
Io comunque provai a cercare quella frase subliminale contenuta in La voce del padrone, convinto di trovarla incisa alla rovescia. Misi un dito sull’etichetta centrale color banana appassita della Emi e girai alla rovescia l’intero vinile, su tutt’e due i lati. Provate a farlo oggi con un mp3 senza usare alcun software, solo un dito. Non trovai niente e ne fui deluso. Ancora una volta non potevo competere con i fratelli maggiori, quelli che si raccontavano leggende di frasi diaboliche inserite nei long playing dei Beatles o di altri artisti che li avevano formati.
La rivincita avvenne parecchi anni dopo, quando mi accorsi di come quel disco avesse influito sul mio modo di scrivere più di qualsiasi altro libro. La mio tendenza al citazionismo frenetico, incontrollato spesso anche inutile dal quale ancora oggi non riesco a liberarmi nasce dall’eccessivo ascolto di Battiato nel 1981. Esattamente come la mia cancellazione dei sentimenti nasce dai suoni secchi, matematici e senza echi di un altro disco coevo, Tin Drum dei Japan.
Fabio Zuffanti è una ulteriore vittima della voce del padrone, disco verso il quale ha un debito infinito e sotterraneo. Adesso però Fabio ha deciso di risparmiare soldi che altrimenti avrebbe buttato via dall’analista, dichiarando apertamente il debito verso quella strana esperienza musicale che nel 1981 spazzò via dalle nostre orecchie i cascami dei cantautori politicizzati e quelli dei complessini romantici con voci da castrato barocco. Tutte espressioni che avevano avuto anche una loro dignità, ormai sfilacciate nel più trito manierismo, ma che Battiato, già passato attraverso le canzoni d’amore e la sperimentazione politica, riprendeva e rielaborava in canzoni dalla forma normale fatte di strofe e ritornelli. Il ritorno all’ordine: non c’è scandalo più grande.
La voce del padrone fu un reset mentale e musicale per molti. Come per tanti altri cagnolini incantati davanti alla tromba del grammofono da cui usciva la voce del padrone, anche per Fabio, allora troppo giovane e con la memoria non ancora intasata di note, fu un incontro folgorante al quale ritorna con rispetto e forse anche il timore di tradire il Maestro. Il timore viene presto superato e Fabio si lancia senza paracadute, in maniera talmente sfacciata da copiare persino la copertina del lavoro originale, con lo spesso bordo blu, il frammento di mappa celeste e quei triangoli colorati senza alcun significato che i grafici degli anni Ottanta mettevano dappertutto.
Dietro la copertina c’è la musica e qui l’omaggio è più sottile. Non sono cover, non è un tributo. È un’operazione più sottile, fatta di note sparse, di suoni di tastiere elettroniche che richiamano le estati su spiagge solitarie. Solo chi ha assorbito pienamente il disco originale potrà ritrovare in queste tracce di Zuffanti il Battiato del 1981. Che, come per i vini, fu un’annata particolare e irripetibile. Prima c’erano stati la sperimentazione e l’esoterismo, il pop imperfetto del cinghiale e dei patrioti. Dopo ci saranno bagni elettronici e ancora esoterismo e poi tutta la fase filosofica. La Voce del Padrone era l’equilibrio perfetto tra pop e sostanza. Credo che lo stesso Battiato ne sia pienamente consapevole, al punto che trent’anni dopo, di passaggio a Sanremo, accompagnò Luca Madonia autocitandosi, distribuendo in quel brano minimi ricordi di una estate su una spiaggia solitaria. La stessa dalla quale Fabio Zuffanti dà il via a questo suo disco-confessione.

Tommaso Labranca

Mucho Acustica

Piero Bittolo Bon : Sassofono Contralto & Baritono
Simone Massaron : Chitarra Elettrica & Baritono, Loops
Jamaaladeen Tacuma : Basso Elettrico
Federico Scettri : Batteria
Massimiliano Sorrentini : Batteria

PIERO BITTOLO BON è uno degli astri nascenti più acclamati del jazz italiano. Musicista in gran parte autodidatta, suona principalmente il sax alto, ma è anche a suo agio su baritono e contralto, clarinetto basso e flauto. Appassionata e vibrante, la sua musica risuona di echi del migliore free jazz e della “fire music”, con improvvisazioni torride, un attacco tagliente e forte e continue invenzioni misura dopo misura.

Membro del collettivo El Gallo Rojo, ha collaborato con alcuni dei migliori e più creativi musicisti italiani (Danilo Gallo, Zeno de Rossi, Beppe Scardino, Enrico Terragnoli, Stefano Senni, Francesco Bigoni, Tiziana Ghiglioni, Tiziano Tononi, Daniele Cavallanti, Francesco Cusa, Domenico Caliri, Giovanni Maier, UT Gandhi, Simone Massaron, Silvia Bolognesi tra gli altri) e con star d’oltreoceano come Anthony Braxton, Uri Caine, John Tchicai, Jamaaladeen Tacuma, Jessica Lurie, Vincent Davis e Ernest Dawkins; ed è anche presente nella scena avant jazz berlinese, suonando spesso in città con musicisti come Gerhard Gschloessl, Christian Lillinger, Tristan Honsinger e molti altri.
Piero ha inoltre una relazione di lunga data con il basso elettrico, che ha suonato all’inizio del suo percorso musicale in band funk, reggae e rock, prima di dedicarsi completamente alla musica improvvisata.
Con queste premesse è sembrato naturale che prima o poi le sue passioni si sarebbero unite: “Mucho Acustica” è una session potente e totalmente improvvisata dalla nuova band di Piero: “The Original Pigneto Stompers”, con doppia batteria, chitarra elettrica, e speciale guest al basso elettrico Jamaaladeen Tacuma. 

Tacuma, definito dal grande Marc Ribot un “uragano funk”, ha un passato glorioso nella band di Ornette Coleman Prime Time, dove ha contribuito alla musica di album leggendari come Body Meta o Dancing in Your Head. Con la sua miscela di possente funk e jazz infusi in inventivi groove di basso, ha preso parte nel corso degli anni a molti altri progetti musicali di vari generi, non solo quelli citati.

Il resto della band è completata dal chitarrista Simone Massaron e dai batteristi Federico Scettri e Max Sorrentini, musicisti ancora giovani ma già con molta esperienza in prima linea nella migliore scena jazz ed avant italiana.

”Mucho Acustica” è sicuramente intriso di forti sapori e tendenze musicali. Il feeling tra i musicisti è stata immediato, e l’energia è stata palpabile fin dalle prime tracce che sono state registrate.

C’è un feeling dominante, risultato del mix di due fattori. Da una parte Piero col suo suono orgoglioso, fiero, scuro e tagliente, sempre al massimo delle sue possibilità espressive e in costante esplorazione di nuovi territori armonici e sonori. Poi ci sono i fragorosi groove ipnotici di Tacuma. Questi elementi gettato le basi per jam nello stile del migliore Miles Davis elettrico, ma con un abbandono più tipico del free jazz, con un interplay tra la doppia batteria e il basso e la chitarra che spesso porta ritmicamente anche in territori più tipicamente africaneggianti, un afro-beat pulsante e insistente che fa capolino continuamente.
Ciò che domina in generale è una sorta di “Black Music” totale, in alcuni dei suoi elementi più viscerale ed espressivi, in un incontro continuo tra blues e funk . Ma ci sono anche momenti più astratti, con delicati dialoghi strumentali, che poi improvvisamente si muovono verso esplorazioni ritmiche su lunghi pedali, arcigni ed insistenti.
. 
È inoltre possibile godere della finezza e bravura di Max e Federico nel mescolare tra loro le comuni radici jazz e rock, e la loro destrezza e competenza nel mantenere sempre un beat a due fisico ma ricercato, preciso, fragoroso, e la chitarra di Simone, con i suoi infiniti passaggi armonici e solisti e l’uso intelligente degli effetti,con svolte ed invenzioni che spesso riesce a imprimere alla musica del gruppo.
“La musica è un linguaggio universale”, afferma J. Tacuma soddisfatto di questa session a base di “conversazioni” con musicisti di un altro paese, come dargli torto?Piero Bittolo Bon : Alto & Baritone Saxophone
Simone Massaron : Electric & Baritone Guitars, Loops
Jamaaladeen Tacuma : Electric Bass
Federico Scettri : Drums
Massimiliano Sorrentini : Drums

Piero Bittolo Bon is one of Italian Jazz’s youngest and most acclaimed rising stars. A mostly self-taught player, he mainly plays alto but is also at ease on baritone, bass clarinet, contralto, clarinet and flute. Passionate and vibrant, his music reverberates with echoes of the best of free jazz, “fire music”, torrid improvisations, sharp attacks and continuous inventions bar after bar.
Member of El Gallo Rojo collective, he collaborated with some of the best italian creative musicians  (Danilo Gallo, Zeno de Rossi, Beppe Scardino, Enrico Terragnoli, Stefano Senni, Francesco Bigoni, Tiziana Ghiglioni, Tiziano Tononi, Daniele Cavallanti, Francesco Cusa,  Domenico Caliri,  Giovanni Maier, U.T. Gandhi, Simone Massaron, Silvia Bolognesi  among others) and with overseas stars like Anthony Braxton, Uri Caine, John Tchicai, Jamaaladeen Tacuma, Jessica Lurie, Vincent Davis and Ernest Dawkins, and he also is in the berlinese avant-garde jazz scene, often playing in the city with musicians like Gerhard Gschloessl, Christian Lillinger, Tristan Honsinger and many others.
Piero has always had a long-standing affair going on with the electric bass, which he played at the beginning of his musical journey in funk, reggae, and rock bands, before totally committing himself to improvised music.
Given these premises, it seemed natural that sooner or later he would somehow connect his various passions on his new project, “Mucho Acustica” a totally improvised and powerful session by Piero’s new band “The Original Pigneto Stompers”, with double drums, electric guitars and special guest electric bass giant Jamaaladeen Tacuma.
Tacuma, defined by guitar ace Marc Ribot as a “funk hurricane”, has a glorious past in Ornette Coleman’s Prime Time band, where he contributed to the music of legendary albums as Body Meta or Dancing in your Head. With his heavy recipe of funk and groove oriented bass lines and free music, he has taken part over the years in many other musical projects, not just jazz and funk.
The rest of the band is completed by guitar player Simone Massaron, and drummers Federico Scettri and Max Sorrentini, young but experienced musicians on the forefront of the best Italian jazz and avant-guard scenes.
“Mucho Acustica” is definitely filled with many moods and strong musical statements. The good feeling among the musicians was immediate and the energy was running from the very first takes.
There’s a dominating vibe, which is a mix two sources. First there’s Piero his sounds are proud and fierce, dark and austere, always serching even physically for his limits and the way to go beyond them. Then there are the thunderous hypnotic electric grooves of Tacuma. These sounds set the base for some layers of “Electric Miles” oriented jams, but with an overall self-abandon more typical of free jazz, with a double drum and guitar interplay that often even moves rhythmically into Afro territories, heavy and light at the same time. What dominates is “Black Music” and some of its more visceral elements and expressions, with furious electric rides and blues and funk meetings. But there are also abstract moments of delicate instrumental dialogues, that suddenly move into rhythmic explorations and long trancey pedals, dry and raucous.
You can also enjoy Max and Federico’s respective finesse in mixing their jazz and rock improvisational roots and skills, and their dexterity in avoiding clichés and keeping the beat precise and fresh, and Simone’s endless tone and harmonic ability in delivering mind blowing solos and various unexpected turning points over many tracks.
“Music is a universal language” says J.Tacuma about this pleasant session, and on his “conversations” with these players from another country he’s absolutely right!

Piero Bittolo Bon

Considerato tra i migliori nuovi talenti della scena italiana del jazz e della musica improvvisata, Piero Bittolo Bon è un polistrumentista fondamentalmente autodidatta. Nonostante il suo strumento d’elezione sia il sax alto, dal suono personalissimo ma nel quale si riconoscono le influenze di Eric Dolphy, Ornette, Tim Berne ed Henry Threadgill, si dedica anche al sax baritono, al clarinetto basso e contralto ed al flauto. Alle volte imbraccia ancora il suo vecchio basso elettrico, che ha suonato in svariate band funk, rock e reggae, prima di decidere di concentrarsi sugli strumenti a fiato e sulla musica improvvisata.

Membro del collettivo El Gallo Rojo Records, una delle realtà italiane più fresche e trainanti, attualmente è alla testa del suo sestetto Jümp The Shark, un’ironica ed esplosiva miscela di composizione, improvvisazione e groove, con Gerhard Gschlössl alla tuba e al trombone, Domenico Caliri alle chitarre, Pasquale Mirra al vibrafono, Danilo Gallo al basso e Federico Scettri alla chitarra. E’ inoltre leader degli Original Pigneto Stompers, un nuovo progetto che vede la partecipazione di Jamaaladeen Tacuma al basso elettrico, con Simone Massaron alla chitarra e la doppia batteria di Scettri e Sorrentini, e co-leader di Rollerball, con Beppe Scardino al sax baritono, Enrico Terragnoli alla chitarra, Danilo Gallo al basso e Max Sorrentini alla batteria. Collabora con Francesco Cusa e Stefano Senni nel trio paritario Jaruzelski’s Dream, primo gruppo italiano ad essere edito dalla prestigiona etichetta Clean Feed Records. Fa parte del nuovo progetto del pianista Uri Caine, Pulse. Collabora con numerosi altri gruppi all’interno del collettivo e con altri importanti musicisti italiani e stranieri.

Insegna da anni nella storica scuola veneziana “Il Suono Improvviso”, dove tiene un laboratorio di improvvisazione musicale.

La sua intensa attività live lo porta ad esibirsi in alcuni tra i più importanti jazz club italiani ed esteri, tra i quali il Jazz Club di Ferrara, l’A-Trane ed il B-Flat di Berlino, il Neue Tonne a Dresda, il Velvet Lounge di Chicago ed in rassegne di respiro internazionale quali il Clusone Jazz Festival, Young Jazz, Ostinati, Englewood Jazz Festival, Cormons Jazz & Wine, Berlin Kollektiv Nights, San Servolo Jazz Meeting, Novara Jazz, Correggio Jazz e molte altre.

Ha avuto il piacere di suonare e registrare con artisti quali Danilo Gallo, Zeno de Rossi, Beppe Scardino, Enrico Terragnoli, Stefano Senni, Francesco Bigoni, Tiziana Ghiglioni, Tiziano Tononi, Daniele Cavallanti, Francesco Cusa, Domenico Caliri, Giovanni Maier, U.T. Gandhi, Simone Massaron, Silvia Bolognesi, Mauro Ottolini, Anthony Braxton, Uri Caine, John Tchicai, Jamaaladeen Tacuma, Oscar Noriega, Jessica Lurie, Andrew Drury, Neil Leonard, Ernest Dawkins, Vincent Davis, Craig J. Green, Tristan Honsinger, Gerhard Gschloessl, Christian Lillinger, Tobias Delius e molti altri.

per ascolti:
www.myspace.com/pierobittolobon
www.elgallorojorecord.com
http://www.youtube.com/view_play_list?p=C099BE0A4310DF3A

discografia selezionata:

The Crypt: “The Bisiakistan Renegades” (Punto Rojo/El Gallo Rojo Records, 2011)
Mondongo: “Transparent Skin” (Megaplomb Records, 2011)
Orange Room: “Elegy For The Punk Movement” (El Gallo Rojo Records, 2010)
Alfonso Santimone Laser Pigs: “Ecce Combo” (El Gallo Rojo Records, 2010)
Mauro Ottolini Sousaphonix: “The Sky Above Braddock” (Cam Jazz, 2010)
Jaruzelski’s Dream: “Jazz Gawronski” (Clean Feed Records 2010)
Piero Bittolo Bon Jump The Shark: “Sugoi Sentai! GATTAI!!” (El Gallo Rojo Records, 2009)
Francesco Cusa Skunch: “Jacques Lacan: A True Musical Story” (Improvvisatore Involontario, 2010)
Silvia Bolognesi Open Combo: “Large” (Fonterossa Records, 2010)
Blonde Zeros: “God Fried Finger” (El Gallo Rojo Records, 2009)
William Bottin: “Horror Disco” (Bear Funk, 2009)
Tiziana Ghiglioni & T-Bone Band: “A Male Walking In The Cauldron” (Splasch Records, 2009)
Ligia Franca “Mundo Melhor” (Caligola Records, 2009)
Massa Bon: “Suede Fist, Iron Glove” (Punto Rojo/El Gallo Rojo Records, 2009)
Rollerball: “La Clinica del Rasoio” (El Gallo Rojo Records, 2008)
Guitto Gargle: “Guitto Gargle” (NuBop Records, 2008)
Nelide Bandello Leibniz: “No Leader” (JErec Records, 2008)
Silvia Bolognesi Open Combo: “What Was I Saying?” (33 Records, 2008)
Orange Room: “Orange Room” (El Gallo Rojo Records, 2007)
Zeno de Rossi Shtik: “Me’or ‘Einayim” (El Gallo Rojo Records, 2007)
Gallo & The Roosters: “Todo Chueco” (El Gallo Rojo Records, 2005)
Enrico Coniglio: “Area Virus” (Psychonavigation, 2007)
Enrico Coniglio: CombiCom” (Materiali Sonori, 2005)
Enrico Coniglio: “Grammatologia” (Velut Luna, 2003)
I Munchies: “The Album” (RTI, 2004)
Giovanni Dell’Olivo: “La Saga del Commenda” (Autoprodotto, 2005)

Upcoming releases:

PBB’s Original Pigneto Stompers featuring Jamaaladeen Tacuma (Long Song Records, 2011)
Crisco3 (Aut Records, 2011)Piero Bittolo Bon

alto and baritone saxophone
alto and bass clarinet
flute
bass guitar

A rising talent of the italian jazz and improvised music scene (voted amongst the best italian jazz musicians in 2010 Musica Jazz critic’s poll) Piero Bittolo Bon is a mainly self taught multi instrumentalist. he mainly plays alto saxophone but is also at ease on baritone and contralto, bass clarinet and flute. Sometimes he even performs on the bass guitar, which he used to play in several funk, rock and reggae bands, before he decided to concentrate his efforts mainly into wind instruments and improvised music.

Member of the fresh and much regarded italian collective/record label El Gallo Rojo Records, he’s currently leading his own sextet “Jümp The Shark!”, an ironic blend of compositon, freeform and hard groove, with Gerhard Gschloessl on tuba and trombone, Domenico Caliri on guitars, Pasquale Mirra on vibes, Danilo Gallo on bass and Federico Scettri on drums, and co-leads “Rollerball”, a rock-oriented jazz quintet with Beppe Scardino on bari sax, Enrico Terragnoli on guitar, Danilo Gallo on bass and Massimiliano Sorrentini on drums, not mentioning the many other bands he’s involved in, mainly with his Gallo Rojo fellows and with other major italian musicians. Recently he was called to be part of a new Uri Caine project, “Pulse”

He performed an recorded with italian artists such as Danilo Gallo, Zeno de Rossi, Beppe Scardino, Enrico Terragnoli, Stefano Senni, Francesco Bigoni, Tiziana Ghiglioni, Tiziano Tononi, Daniele Cavallanti, Francesco Cusa, Domenico Caliri, Giovanni Maier, U.T. Gandhi, Simone Massaron, Silvia Bolognesi, and with musicians like Anthony Braxton, Uri Caine, John Tchicai, Jamaaladeen Tacuma, Jessica Lurie, Andrew Drury, Neil Leonard, Ernest Dawkins, Vincent Davis, Craig J. Green, Tristan Honsinger, Gerhard Gschloessl, Christian Lillinger, Tobias Delius and many others.

He currently recorded more than fifteen cds for labels such as El Gallo Rojo Records, Clean Feed Records, Splasch Records, Improvvisatore Involontario, NuBop Records, Materiali Sonori, Psychonavigation Records, Caligola Records

Federico Scettri

Nato a Roma nel 1985 inzia presto a suonare la batteria prendendo lezioni da Derek Wilson, Ettore Fioravanti, Fabrizio Sferra e Johnny Fiorillo.
Si è esibito in diversi festival in Italia, Austria, Croazia, Slovenia, Svizzera, Francia, Olanda, Belgio, Germania.
Ha suonato con diversi musicisti e improvvisatori tra cui Gianluca Petrella, Domenico Caliri, Fabrizio Puglisi, Francesco Bearzatti, Paolo Fresu, Stefano Senni, Danilo Gallo, Achim Kaufmann, Alberto Capelli, Cristina Zavalloni, Bobby Previte, Roberto Bellatalla, Eric Boeren, Antonio Borghini, Tony Cattano.
Le sue attuali collaborazioni sono: Gianluca Petrella Cosmic Band, Headless Cat, Popsagheme, East Rodeo, Orange Room, Jump The Shark, Patrizia Laquidara, Funky Football.

* Gianluca Petrella (special guest Paolo Fresu) – Cosmic Music (Gruppo editoriale L’Espresso – 2007)
* Gianluca Petrella Cosmic Band “Coming Tomorrow part 1” (SpaceBone Records – 2009)
* Beppe Scardino Orange Room – Orange Room (El Gallo Rojo Records – 2007)
* Elegy for the punk movement – Orange Room (El Gallo Rojo Records – 2010)
* Dear Violence – East Rodeo (2008)
* Morning Cluster – East Rodeo (Menart – 2011)
* Headless Cat “Blind Tail” (El Gallo Rojo Records – 2009)
* Pospaghemme “Love” (El Gallo Rojo Records – 2009)
* Jump the shark “Sugoi Sentai! Gattai!!” (El Gallo Rojo Records – 2009)Born in Rome in 1985 he starts playing drums taking lessons with Derek Wilson, Ettore Fioravanti, Fabrizio Sferra and Johnny Fiorillo
He played in many festivals in Italy, Austria, Croatia, Slovenia, Switzerland, France, Holland, Belgium, Germnay.
He played with different musicians and improvisors such as Gianluca Petrella, Domenico Caliri, Fabrizio Puglisi, Francesco Bearzatti, Paolo Fresu, Stefano Senni, Danilo Gallo, Achim Kaufmann, Alberto Capelli, Cristina Zavalloni, Bobby Previte, Roberto Bellatalla, Eric Boeren, Antonio Borghini, Tony Cattano.
His actual collaborations are: Gianluca Petrella Cosmic Band, Headless Cat, Popsagheme, East Rodeo, Orange Room, Jump The Shark, Patrizia Laquidara, Funky Football.

Klaviermassagen – altremusiche.it

Dall’uso di un pianoforte rotto – il cui suono deformato era terreno di esplorazione in cui si giocava una musicalità prima di tutto da re-inventare – si è passati a uno strumento integro, ma fatto risuonare in maniera del tutto insolita. All’opera il pianista svizzero Nicola Cipani, che rimane ancora fedele a quella indetermitezza dell’esplorazione sonora fatta filtrare attraverso l’effetto di un accurato massaggio della cordiera di un pianoforte acustico. La tecnica più che una preparazione tradizionale di cageiana memoria sembra quella di una scelta molto concentrata sugli strumenti usati per percuotere, frizionare, strusciare le corde. Ricorrente l’uso di un oggetto che ruota su se stesso come un piccolo ventilatore – così sembra – che posto sulle corde lasciate in risonanza crea una sorta di interminabile effetto cetra-centrifugata, che è drone ipnotico e allucinato.

Ovviamente le informazioni sulle procedure di organizzazione del suono, nate dal semplice ascolto, purtroppo non sono date in pubblicazioni che puntano poco al dato empirico-razionalista. Per sintesi poniamo comunque il musicista all’interno dell’equazione: Cipani sta al pianoforte come Paolo Angeli alla chitarra acustica. Rimane un mistero sapere se al pianoforte il massaggio è poi piaciuto….

The Talking Bass – supermizzi

Giovanni Maier, classe 1965, è un contrabbassista coi fiocchi, uno che ha suonato con gente del calibro di Rava e Trovesi, ma anche con un chitarrista come Marc Ribot. Insomma, credenziali di tutto rispetto, tanto che sul suo nuovo cd pubblicato da Long Song Records si poteva giustamente riporre qualche lecita aspettativa. Assieme a lui, ecco Luca Calabrese alla tromba, Emanuele Parrini al violino e alla viola e Scott Amendola alla batteria, per un classico quartetto. Il disco non delude affatto e risulta un perfetto esempio di jazz libero e scapestrato, messo in piedi da musicisti molto bravi ciascuno nel proprio strumento, ma soprattutto capaci di un dialogo avvincente. Tutte le composizioni sono di Maier, canovacci sui quali ciascuno ha saputo dare il meglio di sé. Come scritto a chiare lettere nelle note d’accompagnamento, tutte le tracce sono “first take”, ossia “buona la prima”, a soddisfare un’urgenza espressiva che diventa il fuoco ardente di queste nove tracce. Scelta da condividere, visti i risultati, che non tradiscono affatto le intenzioni di partenza.Giovanni Maier, classe 1965, è un contrabbassista coi fiocchi, uno che ha suonato con gente del calibro di Rava e Trovesi, ma anche con un chitarrista come Marc Ribot. Insomma, credenziali di tutto rispetto, tanto che sul suo nuovo cd pubblicato da Long Song Records si poteva giustamente riporre qualche lecita aspettativa. Assieme a lui, ecco Luca Calabrese alla tromba, Emanuele Parrini al violino e alla viola e Scott Amendola alla batteria, per un classico quartetto. Il disco non delude affatto e risulta un perfetto esempio di jazz libero e scapestrato, messo in piedi da musicisti molto bravi ciascuno nel proprio strumento, ma soprattutto capaci di un dialogo avvincente. Tutte le composizioni sono di Maier, canovacci sui quali ciascuno ha saputo dare il meglio di sé. Come scritto a chiare lettere nelle note d’accompagnamento, tutte le tracce sono “first take”, ossia “buona la prima”, a soddisfare un’urgenza espressiva che diventa il fuoco ardente di queste nove tracce. Scelta da condividere, visti i risultati, che non tradiscono affatto le intenzioni di partenza.

Reciprocal Uncles – All About Jazz New York

Hot tension and competition is indeed suggested on Reciprocal Uncles. The competition is recreational, as it were, and pianist Gianni Lenoci and saxist Gianni Mimmo never come to blows. Rather, they are as sporting as two fencing partners. What it lacks for in grand, communal emotion it makes up for in percussive and lyrical invention. In the earlier numbers the tensions are often resolved by one player allowing the other to dominate or, sometimes, in standoffs, where one will drop out entirely as the other solos. The dynamics throughout are fun and swinging.
It is the later numbers that offer resolutions – and revolutions – turning the tensions into forays of breathtaking complexity. “Sparse Lyrics” begins with a plaintive but swinging soprano over a lean, abstracted piano. The two come together then drift apart, repeatedly. As they compete for the lead, one circles the other as in an electron orbit. Then, the piano starts pumping out separate melodies in both bass and treble, dividing the soprano’s attention, now following one and then the other. In “News from the Distance” beginning with hard percussion from both instruments, the piano sometimes thwarts and sometimes follows the soprano. Ultimately it takes the lead and runs with it to an entirely other place, mostly inthebass-butsofar,asina360turn,itstartsto follow again.Hot tension and competition is indeed suggested on Reciprocal Uncles. The competition is recreational, as it were, and pianist Gianni Lenoci and saxist Gianni Mimmo never come to blows. Rather, they are as sporting as two fencing partners. What it lacks for in grand, communal emotion it makes up for in percussive and lyrical invention. In the earlier numbers the tensions are often resolved by one player allowing the other to dominate or, sometimes, in standoffs, where one will drop out entirely as the other solos. The dynamics throughout are fun and swinging.
It is the later numbers that offer resolutions – and revolutions – turning the tensions into forays of breathtaking complexity. “Sparse Lyrics” begins with a plaintive but swinging soprano over a lean, abstracted piano. The two come together then drift apart, repeatedly. As they compete for the lead, one circles the other as in an electron orbit. Then, the piano starts pumping out separate melodies in both bass and treble, dividing the soprano’s attention, now following one and then the other. In “News from the Distance” beginning with hard percussion from both instruments, the piano sometimes thwarts and sometimes follows the soprano. Ultimately it takes the lead and runs with it to an entirely other place, mostly inthebass-butsofar,asina360turn,itstartsto follow again.