Kathodic – The Blessed Prince

3 stelle e mezzo ***1/2

Che Emanuele Parrini sia diventato un punto fermo nella rete del new-jazz nostrano e non, ce lo dimostra il suo curriculum, già piuttosto voluminoso in fatto di incontri ‘piccanti’: spuntano collaborazioni col Dinamitri Jazz Folklore, l’Italian Instabile Orchestra , e il Rene Cene Resnik Quartet (da cui nacque l’irruento “From the Sky”), il sodalizio con Tiziano Tononi e William Parker in “Vertical Invaders”, e ancora Anthony Braxton, Ernico Rava, …
Potremmo continuare annoverando altre stelle con cui il violinista ha stretto contatti di stampo creativo per convalidare l’alta caratura di brillante e arguto conoscitore del violino qual’è, ma ci è bastato risentire il recente “Viaggio al Centro del Violino”, seguito da questo “The Blessed Prince”, che si è materializzata la conferma di avere di fronte un compositore il cui pregio è miscelare i dogmi dell’improvvisazione jazzistica con un taglio tonale creativo, peculiare, in cui la scrittura è continuamente seghettata da attimi di caotica esuberanza collettiva dove idealmente Ornette Coleman, Tim Berne, l’estetica melting-pot di John Zorn, e per certi versi anche l’anarchia di Albert Ayler, sembrano andare per un attimo a braccetto, facendosi poi coprire da inattese immersioni in ambienti più accorti, inquieti, tinti di jazz caliginoso e notturno, di pura ispirazione downtown. Alla bisogna Parrini è alle prese con la forma-quartetto, accompagnano da Dimitri G. Espinoza al sax alto, da un veterano come Giovanni Maier al contrabbasso e Andrea Melani alla batteria, dividendosi il compito di scrivere le sette tracce del lavoro con Maier, il quale ne firma tre: la doppia anima di Disk Dosk, concitata, sguinzagliante e allo stesso tempo placida, i sottili micro-scambi improv di Transizioni Morbide e San Frediano. La title track, segmentata in tre movimenti, è un gioco beffardo dove gli strumenti s’inseguono l’uno con l’altro, e su cui spicca spesso incontrastato il tocco arcigno e funambolico del nostro al violino, intento a far scorazzare note in massima libertà, metalliche come ferro arrugginito, strozzate, che vanno a cozzare sui giochi d’archetto del basso, densi di una impalpabile oscurità. E’ un crogiolo di agitazione programmata e improvvisa stasi meditativa, solitaria, che dopo poco si (ri)assesta su strade che odorano d’inappuntabile jazz.
Consiglio vivamente l’ascolto di “The Blessed Prince” in coppia con l’ultima fatica di Sarah Bernstein per Leo Records, “Still/Free”, anche lei violinista come Parrini, e anche lei alle prese con un quartetto nell’alchimizzare una personale visione dell’avant-jazz contemporaneo.3 stelle e mezzo ***1/2

Che Emanuele Parrini sia diventato un punto fermo nella rete del new-jazz nostrano e non, ce lo dimostra il suo curriculum, già piuttosto voluminoso in fatto di incontri ‘piccanti’: spuntano collaborazioni col Dinamitri Jazz Folklore, l’Italian Instabile Orchestra , e il Rene Cene Resnik Quartet (da cui nacque l’irruento “From the Sky”), il sodalizio con Tiziano Tononi e William Parker in “Vertical Invaders”, e ancora Anthony Braxton, Ernico Rava, …
Potremmo continuare annoverando altre stelle con cui il violinista ha stretto contatti di stampo creativo per convalidare l’alta caratura di brillante e arguto conoscitore del violino qual’è, ma ci è bastato risentire il recente “Viaggio al Centro del Violino”, seguito da questo “The Blessed Prince”, che si è materializzata la conferma di avere di fronte un compositore il cui pregio è miscelare i dogmi dell’improvvisazione jazzistica con un taglio tonale creativo, peculiare, in cui la scrittura è continuamente seghettata da attimi di caotica esuberanza collettiva dove idealmente Ornette Coleman, Tim Berne, l’estetica melting-pot di John Zorn, e per certi versi anche l’anarchia di Albert Ayler, sembrano andare per un attimo a braccetto, facendosi poi coprire da inattese immersioni in ambienti più accorti, inquieti, tinti di jazz caliginoso e notturno, di pura ispirazione downtown. Alla bisogna Parrini è alle prese con la forma-quartetto, accompagnano da Dimitri G. Espinoza al sax alto, da un veterano come Giovanni Maier al contrabbasso e Andrea Melani alla batteria, dividendosi il compito di scrivere le sette tracce del lavoro con Maier, il quale ne firma tre: la doppia anima di Disk Dosk, concitata, sguinzagliante e allo stesso tempo placida, i sottili micro-scambi improv di Transizioni Morbide e San Frediano. La title track, segmentata in tre movimenti, è un gioco beffardo dove gli strumenti s’inseguono l’uno con l’altro, e su cui spicca spesso incontrastato il tocco arcigno e funambolico del nostro al violino, intento a far scorazzare note in massima libertà, metalliche come ferro arrugginito, strozzate, che vanno a cozzare sui giochi d’archetto del basso, densi di una impalpabile oscurità. E’ un crogiolo di agitazione programmata e improvvisa stasi meditativa, solitaria, che dopo poco si (ri)assesta su strade che odorano d’inappuntabile jazz.
Consiglio vivamente l’ascolto di “The Blessed Prince” in coppia con l’ultima fatica di Sarah Bernstein per Leo Records, “Still/Free”, anche lei violinista come Parrini, e anche lei alle prese con un quartetto nell’alchimizzare una personale visione dell’avant-jazz contemporaneo.

All About Jazz – No Time Left

4 stelle ****

Registrato a Brooklyn nel giugno 2015, questo nuovo lavoro della Premiata Ditta Cavallanti/Tononi non tradisce neanche stavolta le attese, anzi rinverdisce atmosfere e -diciamolo pure -opulenze che la crisi globale in cui ci stiamo dibattendo ha finito spesso per mettere in un angolo (proprio per un fatto di dispiegamento di mezzi e forze).

Qui c’è tutto il vigore, atmosferico e soprattutto creativo, inventivo, dei lavori migliori legati -semplificando, ma non concettualmente -al marchio-Nexus, le opere dedicate ad Ayler, Kirk, Cherry, Rudd e chi più ne ha più ne metta. Qui i dedicatari, del resto, sono molteplici, da Ornette Coleman (specificatamente il secondo brano, ma poi tutto il disco) a Gil Evans, Harry Miller e Bill Dixon, Jim Pepper e Andrew Cyrille, l’unico ancora in vita.

Le temperature sono come accennato vitali, corporee, a tratti quasi orgiastiche, nella migliore tradizione che va da Ascension ad Ayler, Mingus e Sun Ra, diaspora sudafricana e Art Ensemble Of Chicago (tanto per arrestarsi a qualche nume tutelare fra i tanti possibili). Ne fa fede tutta la prima metà del disco, fin quando, nel corso del quinto brano, fa capolino -e poi decisamente si afferma -una souplesse magica e quasi favolistica, ludica, a tratti, ancestrale e pre-jazzistica, che, in particolare attraverso un inconfondibile uso dei flauti, rimanda all’altrettanto amato Don Cherry e al suo pan-culturalismo espressivo.

Tale orientamento più introspettivo si allarga al successivo “Slaps, tones & drones,” il brano più ampio del lavoro (oltre venti minuti), non a caso dedicato a Bill Dixon, che peraltro cresce poi via via fino a un vociferante collettivo finale, la cui indole abbraccia pure il conclusivo (e ben più breve) “I See You Now, Jim!,” incalzante, vagamente funkeggiante, massicciamente corale, a conti fatti l’episodio in cui maggiormente si salda il debito con l’estetica-AEOC.

Disco ricco, pieno (di idee, anche), rigoglioso, in cui intelligenza e capacità di presa (quindi di impatto anche squisitamente “di pelle”) si fondono mirabilmente, con pochissime pause. Ognuno fa per intero il suo dovere (almeno Robertson, del resto, ha con Cavallanti e Tononi ampia e antica frequentazione), perfettamente funzionale al risultato globale.4 stelle ****

Registrato a Brooklyn nel giugno 2015, questo nuovo lavoro della Premiata Ditta Cavallanti/Tononi non tradisce neanche stavolta le attese, anzi rinverdisce atmosfere e -diciamolo pure -opulenze che la crisi globale in cui ci stiamo dibattendo ha finito spesso per mettere in un angolo (proprio per un fatto di dispiegamento di mezzi e forze).

Qui c’è tutto il vigore, atmosferico e soprattutto creativo, inventivo, dei lavori migliori legati -semplificando, ma non concettualmente -al marchio-Nexus, le opere dedicate ad Ayler, Kirk, Cherry, Rudd e chi più ne ha più ne metta. Qui i dedicatari, del resto, sono molteplici, da Ornette Coleman (specificatamente il secondo brano, ma poi tutto il disco) a Gil Evans, Harry Miller e Bill Dixon, Jim Pepper e Andrew Cyrille, l’unico ancora in vita.

Le temperature sono come accennato vitali, corporee, a tratti quasi orgiastiche, nella migliore tradizione che va da Ascension ad Ayler, Mingus e Sun Ra, diaspora sudafricana e Art Ensemble Of Chicago (tanto per arrestarsi a qualche nume tutelare fra i tanti possibili). Ne fa fede tutta la prima metà del disco, fin quando, nel corso del quinto brano, fa capolino -e poi decisamente si afferma -una souplesse magica e quasi favolistica, ludica, a tratti, ancestrale e pre-jazzistica, che, in particolare attraverso un inconfondibile uso dei flauti, rimanda all’altrettanto amato Don Cherry e al suo pan-culturalismo espressivo.

Tale orientamento più introspettivo si allarga al successivo “Slaps, tones & drones,” il brano più ampio del lavoro (oltre venti minuti), non a caso dedicato a Bill Dixon, che peraltro cresce poi via via fino a un vociferante collettivo finale, la cui indole abbraccia pure il conclusivo (e ben più breve) “I See You Now, Jim!,” incalzante, vagamente funkeggiante, massicciamente corale, a conti fatti l’episodio in cui maggiormente si salda il debito con l’estetica-AEOC.

Disco ricco, pieno (di idee, anche), rigoglioso, in cui intelligenza e capacità di presa (quindi di impatto anche squisitamente “di pelle”) si fondono mirabilmente, con pochissime pause. Ognuno fa per intero il suo dovere (almeno Robertson, del resto, ha con Cavallanti e Tononi ampia e antica frequentazione), perfettamente funzionale al risultato globale.

Kathodic – No Time Left

4 stelle ****

La collaborazione artistica tra il percussionista Tiziano Tononi e il sassofonista Daniele Cavallanti dovrebbe essere ben nota ad ogni aficionado del l’improvvisata. Più di 30 anni di flirt creativo non sono pochi e ”No Time Left” consolida questo rapporto proponendo un nuovo scoppiettante progetto della coppia, coniato ai piedi della grande mela sotto la sigla “The Brooklyn Express”, in compagnia di vecchie conoscenze della Downtown quali il superbo Herb Robertson (tromba), Steve Swell (Trombone, flauto), e Joe Fonda (contrabbasso, flauto). Concept intriso di rimandi al jazz libero che il destino ha voluto che venisse registrato pochissimi giorni dopo la dipartita dal mondo terreno del grande Ornette Coleman (Giugno ’15) a cui è stato giustamente dedicato l’intero lavoro, nonché i tratteggianti passi swing e bluesy di New York Funeral Blues…, firmata dal solo Tononi. L’interplay tra i musicisti è notevole: laconici, vigorosi e roboanti in Brooklyn: Monday Soundcheck, sciolti se messi a rapporto con texture ricche di piacevoli scontri sonori (il drumming di Tiziano e la tromba di Robertson che accendono gli animi in Untitled # 1 [for Gil Evans]), infuocati dallo spettro dello swing (il dna centrale di Song for Harry Miller) e fantasticamente informali con colpi, soffi e sbuffi dei fiati, rintocchi percussivi radenti e silenziosi, flauti in sordina (Cyrille, the Inspirer, i 20 minuti circa di emozionanti sali-e-scendi tonali di Slaps, Tones, & Drones, dedicata a Bill Dixon). In definitiva, dopo le mirabolanti acrobazie al violino di Parrini ascoltate in “The Blessed Prince”, la Long Song Records colleziona un altro colpo gobbo all’interno del proprio catalogo, un autentico toccasana per gli amanti dell’avant-jazz.4 stelle ****

La collaborazione artistica tra il percussionista Tiziano Tononi e il sassofonista Daniele Cavallanti dovrebbe essere ben nota ad ogni aficionado del l’improvvisata. Più di 30 anni di flirt creativo non sono pochi e ”No Time Left” consolida questo rapporto proponendo un nuovo scoppiettante progetto della coppia, coniato ai piedi della grande mela sotto la sigla “The Brooklyn Express”, in compagnia di vecchie conoscenze della Downtown quali il superbo Herb Robertson (tromba), Steve Swell (Trombone, flauto), e Joe Fonda (contrabbasso, flauto). Concept intriso di rimandi al jazz libero che il destino ha voluto che venisse registrato pochissimi giorni dopo la dipartita dal mondo terreno del grande Ornette Coleman (Giugno ’15) a cui è stato giustamente dedicato l’intero lavoro, nonché i tratteggianti passi swing e bluesy di New York Funeral Blues…, firmata dal solo Tononi. L’interplay tra i musicisti è notevole: laconici, vigorosi e roboanti in Brooklyn: Monday Soundcheck, sciolti se messi a rapporto con texture ricche di piacevoli scontri sonori (il drumming di Tiziano e la tromba di Robertson che accendono gli animi in Untitled # 1 [for Gil Evans]), infuocati dallo spettro dello swing (il dna centrale di Song for Harry Miller) e fantasticamente informali con colpi, soffi e sbuffi dei fiati, rintocchi percussivi radenti e silenziosi, flauti in sordina (Cyrille, the Inspirer, i 20 minuti circa di emozionanti sali-e-scendi tonali di Slaps, Tones, & Drones, dedicata a Bill Dixon). In definitiva, dopo le mirabolanti acrobazie al violino di Parrini ascoltate in “The Blessed Prince”, la Long Song Records colleziona un altro colpo gobbo all’interno del proprio catalogo, un autentico toccasana per gli amanti dell’avant-jazz.

Step Tempest – No Time Left

Daniele Cavallanti (tenor saxophone, ney flute) and Tiziano Tononi (drums) have been a musical couple for nearly four decades, an integral of the Italian creative music scene. Besides their own projects (especially their group Nexus), both are founding members of the Italian Instabile Orchestra. They have recorded projects dedicated to Don Cherry, Rahsaan Roland Kirk, Ornette Coleman, and John Coltrane. They have collaborated with a slew of internationally known musicians including trumpeter Enrico Rava, bassist Mark Dresser, saxophonist Dewey Redman, drummer Andrew Cyrille, and many others. Yet, with all these great recordings, the duo has never recorded in the United States.

Until now, that is. On June 15 and 16, just a few days after Ornette Coleman passed, Cavallanti and Tononi entered Douglass St. Studios in Brooklyn, NY, with Herb Robertson (cornet), Steve Swell (trombone, flute), and Joe Fonda (bass) – a quintet dubbed The Brooklyn Express – to record the seven tracks that make up “No Time Left!” (Long Song Records). With the exception of the opening cut “Brooklyn: Monday Soundcheck”, the songs are dedicated to musicians that the leaders have to looked to for inspiration. Tononi’s “New York Funeral Blues…(for Ornette C.)” is self-explanatory, the music a slow dirge/drag with moaning cornet, wailing saxophone and keening trombone, closing with Cavallanti’s powerful solo coda. Other musicians celebrated are Gil Evans (“Untitled # 1”), a pace that changes tempos and intensity several times, and South African ex-patriate bassist/composer Harry Miller. Cavallanti’s “Song For Harry Miller” builds up from the powerful interactions of the drummer and Fonda into a fiery piece with solos from the bassist, composer (on tenor), trombonist and, finally, Tononi. The longest piece (20:29) is “Slap, Tones & Drones (for Bill Dixon)” certainly lives up to its name with a noisy, rubato, opening, that lasts nearly half the piece before giving way to a short tenor/drums interchange and then a powerful drum solo. The bass and drums slide into a rambunctious beat that fires up the saxophonist one more time. The final track dedicated to a musician who has passed is the funky “I See You Now, Jim! (for Jim Pepper)”. – listen to the grooves Fonda lays down and that Tononi picks up on and accentuates, I doubt you’ll be able to sit still.

There is 1 track, “Cyrille, The Inspirer”, that is dedicated to a living master (and one of Tononi’s teachers). Credited to the quintet and producer Fabrizio Perissinotto, the music goes in several directions in its 12:14 After a noisy beginning, the music take a number of surprising turns including a section where Cavallanti, Swell, and Fonda have a conversation on flutes. Also surprising is the fact that though the piece is dedicated to a drummer, there is not a drum solo.

“No Time Left” has many moments that lift the listener off his chair, with powerful solos and exciting interactions created by five people who embody the meaning of creative musicians. Take The Brooklyn Express to the end of the line and get back aboard – this is quite the ride.Daniele Cavallanti (tenor saxophone, ney flute) and Tiziano Tononi (drums) have been a musical couple for nearly four decades, an integral of the Italian creative music scene. Besides their own projects (especially their group Nexus), both are founding members of the Italian Instabile Orchestra. They have recorded projects dedicated to Don Cherry, Rahsaan Roland Kirk, Ornette Coleman, and John Coltrane. They have collaborated with a slew of internationally known musicians including trumpeter Enrico Rava, bassist Mark Dresser, saxophonist Dewey Redman, drummer Andrew Cyrille, and many others. Yet, with all these great recordings, the duo has never recorded in the United States.

Until now, that is. On June 15 and 16, just a few days after Ornette Coleman passed, Cavallanti and Tononi entered Douglass St. Studios in Brooklyn, NY, with Herb Robertson (cornet), Steve Swell (trombone, flute), and Joe Fonda (bass) – a quintet dubbed The Brooklyn Express – to record the seven tracks that make up “No Time Left!” (Long Song Records). With the exception of the opening cut “Brooklyn: Monday Soundcheck”, the songs are dedicated to musicians that the leaders have to looked to for inspiration. Tononi’s “New York Funeral Blues…(for Ornette C.)” is self-explanatory, the music a slow dirge/drag with moaning cornet, wailing saxophone and keening trombone, closing with Cavallanti’s powerful solo coda. Other musicians celebrated are Gil Evans (“Untitled # 1”), a pace that changes tempos and intensity several times, and South African ex-patriate bassist/composer Harry Miller. Cavallanti’s “Song For Harry Miller” builds up from the powerful interactions of the drummer and Fonda into a fiery piece with solos from the bassist, composer (on tenor), trombonist and, finally, Tononi. The longest piece (20:29) is “Slap, Tones & Drones (for Bill Dixon)” certainly lives up to its name with a noisy, rubato, opening, that lasts nearly half the piece before giving way to a short tenor/drums interchange and then a powerful drum solo. The bass and drums slide into a rambunctious beat that fires up the saxophonist one more time. The final track dedicated to a musician who has passed is the funky “I See You Now, Jim! (for Jim Pepper)”. – listen to the grooves Fonda lays down and that Tononi picks up on and accentuates, I doubt you’ll be able to sit still.

There is 1 track, “Cyrille, The Inspirer”, that is dedicated to a living master (and one of Tononi’s teachers). Credited to the quintet and producer Fabrizio Perissinotto, the music goes in several directions in its 12:14 After a noisy beginning, the music take a number of surprising turns including a section where Cavallanti, Swell, and Fonda have a conversation on flutes. Also surprising is the fact that though the piece is dedicated to a drummer, there is not a drum solo.

“No Time Left” has many moments that lift the listener off his chair, with powerful solos and exciting interactions created by five people who embody the meaning of creative musicians. Take The Brooklyn Express to the end of the line and get back aboard – this is quite the ride.

Bob Rusch – Rings of Fire

Giovanni Maier [el.b] is also on board for DANIELE CAVALLANTI’s [ts/bs] and TIZIANO Tononi’s [perc] RINGS OF FIRE [Long Song Records lsrcd 110/2008]. This features the exciting violin of Jenny Scheinman along with Massimo Mariani [el.g], Emanuele Parrini [viola], Pacho [perc] and Achille Succi [as/b.clt]. Recorded 2/16&17/08 the program [79:36] is divided between Faces [6 parts composed by Cavallanti] and Phases 323 [a 3 part suite in 8 sections, composed by Tononi]. There is some very effective music with haunting work, often in league with the electric instruments, here from every member of the septet. Here the electric element is used as a setting or backdrop to the improvs. Cavallanti’s writing relies more on the electric draping; often an effective soundstage for improvs. This is nicely presented episodic music skillfully integrating the strings, electronics and horns.Giovanni Maier [el.b] is also on board for DANIELE CAVALLANTI’s [ts/bs] and TIZIANO Tononi’s [perc] RINGS OF FIRE [Long Song Records lsrcd 110/2008]. This features the exciting violin of Jenny Scheinman along with Massimo Mariani [el.g], Emanuele Parrini [viola], Pacho [perc] and Achille Succi [as/b.clt]. Recorded 2/16&17/08 the program [79:36] is divided between Faces [6 parts composed by Cavallanti] and Phases 323 [a 3 part suite in 8 sections, composed by Tononi]. There is some very effective music with haunting work, often in league with the electric instruments, here from every member of the septet. Here the electric element is used as a setting or backdrop to the improvs. Cavallanti’s writing relies more on the electric draping; often an effective soundstage for improvs. This is nicely presented episodic music skillfully integrating the strings, electronics and horns.

Bob Rusch – The Talking Bass

Long Song has also issued a recording from 11/16&17/10 by GIOVANNI MAIER [b] called THE TALKING BASS [lsrcd 118/2010] this with Emanuele Parrini [vln/viola], Scott Amendola [drm], and Luca Calabrese [tpt/flg]. 8 of the 9 tracks [78:32] are originals by Maier and feature strings in a dynamic way. On the longest track “ Disk Dosk” [12:39], Parrini builds a wonderful tension and anticipation over Amendola’s free drumming before things change to a slower pace and the focus switches to the bass, about half way through, Maier plays in free time and then further changes tempo to uptempo and the drums go into a loose time and Calabrese enters and the group falls into time. The group then again evolves into free time. On another tune, “Leroy Vinnegar” the piece opens with high energy violin pizzacato over walking time bass lines. Maier knows his bassists. The CD concert is loaded with these time shifts and makes for some thrilling music. Each member of this quartet is impressive. Parrini, to my knowledge, has never led a session and this is perhaps his best featuring. Maier is not only a masterful bassist but seems to have a good instinct on how to write and put a group together. The Talking Bass is both an exciting and soulful bravura performance.Long Song has also issued a recording from 11/16&17/10 by GIOVANNI MAIER [b] called THE TALKING BASS [lsrcd 118/2010] this with Emanuele Parrini [vln/viola], Scott Amendola [drm], and Luca Calabrese [tpt/flg]. 8 of the 9 tracks [78:32] are originals by Maier and feature strings in a dynamic way. On the longest track “ Disk Dosk” [12:39], Parrini builds a wonderful tension and anticipation over Amendola’s free drumming before things change to a slower pace and the focus switches to the bass, about half way through, Maier plays in free time and then further changes tempo to uptempo and the drums go into a loose time and Calabrese enters and the group falls into time. The group then again evolves into free time. On another tune, “Leroy Vinnegar” the piece opens with high energy violin pizzacato over walking time bass lines. Maier knows his bassists. The CD concert is loaded with these time shifts and makes for some thrilling music. Each member of this quartet is impressive. Parrini, to my knowledge, has never led a session and this is perhaps his best featuring. Maier is not only a masterful bassist but seems to have a good instinct on how to write and put a group together. The Talking Bass is both an exciting and soulful bravura performance.

Bob Rusch (Cadence, CIMP) – The Blessed Prince

THE BLESSED PRINCE [#137/2016] is a 4/5&6/14 date with EMANUELE PARRINI [vln] leading a quartet [Dimitri Grechi Espinoza-as, Giovanni Maier-b, Andrea Melani-drm] on seven originals [42:49] from Parrini or Maier. There is a great soul to this CD. Parrini and Maier both play scratchy and sawing style on their strings and that style is complimented by Espinoza’s reed squawk alto style. There is a gutty density that reaches into your soul and then explodes outward in the joy of creativity. Gut-sy Jazz.THE BLESSED PRINCE [#137/2016] is a 4/5&6/14 date with EMANUELE PARRINI [vln] leading a quartet [Dimitri Grechi Espinoza-as, Giovanni Maier-b, Andrea Melani-drm] on seven originals [42:49] from Parrini or Maier. There is a great soul to this CD. Parrini and Maier both play scratchy and sawing style on their strings and that style is complimented by Espinoza’s reed squawk alto style. There is a gutty density that reaches into your soul and then explodes outward in the joy of creativity. Gut-sy Jazz.

All About Jazz Italia – The Blessed Prince

5 stelle *****

Abbiamo già parlato due volte di questo strepitoso quartetto di Emanuele Parrini e di questo disco, preparato due anni orsono con un concerto che ne precedette la registrazione e presentato quest’inverno con un altro live. E ne avevamo parlato bene. Adesso, dopo l’attento ascolto del CD, non possiamo che ripeterci.

L’album ripresenta infatti fedelmente quel che si era potuto ascoltare dal vivo, senza perdere né forza, né comunicativa, grazie alla ricchezza delle composizioni -quattro del leader, tre del contrabbassista Giovanni Maier -e della straordinaria vena dei quattro interpreti, perfettamente affiatati nel produrre una musica complessa ma godibile, libera ma drammaturgicamente lucida e coerente, incentrata su un suono che da individuale si fa collettivo.

Il disco è intitolato e dedicato ad Amiri Baraka, che aveva suonato con Parrini nel Dinamitri Jazz Folklore (ed è uscito un CD che lo documenta), essendo il suo cuore la suite eponima, in tre parti (anche se, curiosamente, la terza è staccata dalle altre due), che ha anche un’unità tematica che la differenzia dal resto del disco -peraltro stilisticamente assai coerente.

Infatti, fin dal primo brano -“Disk Dosk,” di Maier -il lavoro si sviluppa lungo una molteplicità di linee che si incrociano: quelle “portanti” del contrabbasso, che resterà protagonista per tutto il lavoro con Maier che vi offre una prestazione davvero spettacolare; quelle del violino del leader, libere e drammaticamente espressive; quelle del sax contralto di Dimitri Grechi Espinoza, ora altrettanto libere, ora invece liriche, ma sempre comunicativamente molto efficaci. Il brano, molto bello, alterna intensità dinamica collettiva a momenti più riflessivi -splendido il solo del contrabbasso -e ha una mirabile compiutezza. Dopo un brano più sospeso, sempre di Maier, inizia la suite “The Blessed Prince,” a firma di Parrini, la prima parte della quale si avvia sommessamente in modo corale per poi impennarsi con un tema teso che dà il via a improvvisazioni molto coinvolgenti. Un lungo solo di contrabbasso segna l’inizio della seconda parte, invece tutta su dinamiche moderate e condotta dal gruppo quasi sempre frammentato. La terza parte -che arriva dopo “San Frediano,” brano di Maier—riprende inizialmente la frammentarietà con un duetto tra Parrini ed Espinoza, poi si riapre su scenari collettivi più veloci e dinamicamente intensi, dalla forte libertà espressiva che richiama il clima anni Settanta caro a Parrini, dove eccelle la batteria di Andrea Melani, autore anche di un pregevole assolo. Il disco si chiude con un blues di Parrini, che unisce complessità e lirismo, scandito di nuovo da un magistrale Maier al contrabbasso e reso imprevedibile dalle corde del violino di Parrini.

Un disco davvero notevole, complesso e coinvolgente, a suo modo classico ma freschissimo, suonato in modo splendido. Da mettere senz’altro nella rosa delle cose migliori del 2016, non solo italiane.5 stelle *****

Abbiamo già parlato due volte di questo strepitoso quartetto di Emanuele Parrini e di questo disco, preparato due anni orsono con un concerto che ne precedette la registrazione e presentato quest’inverno con un altro live. E ne avevamo parlato bene. Adesso, dopo l’attento ascolto del CD, non possiamo che ripeterci.

L’album ripresenta infatti fedelmente quel che si era potuto ascoltare dal vivo, senza perdere né forza, né comunicativa, grazie alla ricchezza delle composizioni -quattro del leader, tre del contrabbassista Giovanni Maier -e della straordinaria vena dei quattro interpreti, perfettamente affiatati nel produrre una musica complessa ma godibile, libera ma drammaturgicamente lucida e coerente, incentrata su un suono che da individuale si fa collettivo.

Il disco è intitolato e dedicato ad Amiri Baraka, che aveva suonato con Parrini nel Dinamitri Jazz Folklore (ed è uscito un CD che lo documenta), essendo il suo cuore la suite eponima, in tre parti (anche se, curiosamente, la terza è staccata dalle altre due), che ha anche un’unità tematica che la differenzia dal resto del disco -peraltro stilisticamente assai coerente.

Infatti, fin dal primo brano -“Disk Dosk,” di Maier -il lavoro si sviluppa lungo una molteplicità di linee che si incrociano: quelle “portanti” del contrabbasso, che resterà protagonista per tutto il lavoro con Maier che vi offre una prestazione davvero spettacolare; quelle del violino del leader, libere e drammaticamente espressive; quelle del sax contralto di Dimitri Grechi Espinoza, ora altrettanto libere, ora invece liriche, ma sempre comunicativamente molto efficaci. Il brano, molto bello, alterna intensità dinamica collettiva a momenti più riflessivi -splendido il solo del contrabbasso -e ha una mirabile compiutezza. Dopo un brano più sospeso, sempre di Maier, inizia la suite “The Blessed Prince,” a firma di Parrini, la prima parte della quale si avvia sommessamente in modo corale per poi impennarsi con un tema teso che dà il via a improvvisazioni molto coinvolgenti. Un lungo solo di contrabbasso segna l’inizio della seconda parte, invece tutta su dinamiche moderate e condotta dal gruppo quasi sempre frammentato. La terza parte -che arriva dopo “San Frediano,” brano di Maier—riprende inizialmente la frammentarietà con un duetto tra Parrini ed Espinoza, poi si riapre su scenari collettivi più veloci e dinamicamente intensi, dalla forte libertà espressiva che richiama il clima anni Settanta caro a Parrini, dove eccelle la batteria di Andrea Melani, autore anche di un pregevole assolo. Il disco si chiude con un blues di Parrini, che unisce complessità e lirismo, scandito di nuovo da un magistrale Maier al contrabbasso e reso imprevedibile dalle corde del violino di Parrini.

Un disco davvero notevole, complesso e coinvolgente, a suo modo classico ma freschissimo, suonato in modo splendido. Da mettere senz’altro nella rosa delle cose migliori del 2016, non solo italiane.

Solar Ipse – Flawless Dust

Flawless Dust si chiama fuori da tutto ciò che è abrasivo/debordante con una serie di dialoghi fluidi, asciutti, privi di scorie.
La strada scelta è quella de mimetismo difensivo e del suono come organismo, quindi molti giochi di luce creati dal rincorrersi puntillistico e zero fretta di pervenire a una forma.
Bel disco perché dimostrare, più delle ricette col giusto dosaggio, conta la fantasia, l’estro.Flawless Dust si chiama fuori da tutto ciò che è abrasivo/debordante con una serie di dialoghi fluidi, asciutti, privi di scorie.
La strada scelta è quella de mimetismo difensivo e del suono come organismo, quindi molti giochi di luce creati dal rincorrersi puntillistico e zero fretta di pervenire a una forma.
Bel disco perché dimostrare, più delle ricette col giusto dosaggio, conta la fantasia, l’estro.

The New York City Jazz Record – Flawless Dust

Best known as a teacher and author of guitar instruction manuals, a busman’s holiday for guitarist Garrison Fewell, who died a year ago this month at 61, involved challenging sessions with players ranging from pianist George Cables and bassist Cecil McBee to saxophonist John Tchicai. Like author/activist W.E.B. Du Bois, who became more radical as he aged, Fewell seemed headed on the same path. Flawless Dust consists of nine knotty and reductionist tracks improvised alongside Italian soprano saxophonist Gianni Mimmo, whose concepts widen the hairline fissure where jazz and experimental music meet.
Fewell was open to many modes of expression. There are no ‘songs’, per se, among these tracks ranging from barely one minute to almost 14. Mimmo, who previously matched wits with the likes of cellist Daniel Levin and electronics maven Lawrence Casserley, challenges the guitarist by unexpectedly dribbling delicate pastoral timbres or spraying clotted textures all over the shorter pieces. In response, Fewell uses pinched strings or ringing strums to pour figurative cold water on the saxophonist’s excesses while outlining reciprocal harmonies.
The two ascend and descend with mountain- climber-like resolution from the centerpiece “A Floating Caravan”, the lengthiest duet, which organically redefines intense blending, spidery string crawls and angled reed exhalations, giving way to buttressed blowing and echoing strokes, only to climax with a dual unbroken line both soothing and substantial.
A departure from his larger ensemble and more mainstream efforts, Flawless Dust shows that Fewell could hold his own in the most demanding situations and that Mimmo was an enabling collaborator.Best known as a teacher and author of guitar instruction manuals, a busman’s holiday for guitarist Garrison Fewell, who died a year ago this month at 61, involved challenging sessions with players ranging from pianist George Cables and bassist Cecil McBee to saxophonist John Tchicai. Like author/activist W.E.B. Du Bois, who became more radical as he aged, Fewell seemed headed on the same path. Flawless Dust consists of nine knotty and reductionist tracks improvised alongside Italian soprano saxophonist Gianni Mimmo, whose concepts widen the hairline fissure where jazz and experimental music meet.
Fewell was open to many modes of expression. There are no ‘songs’, per se, among these tracks ranging from barely one minute to almost 14. Mimmo, who previously matched wits with the likes of cellist Daniel Levin and electronics maven Lawrence Casserley, challenges the guitarist by unexpectedly dribbling delicate pastoral timbres or spraying clotted textures all over the shorter pieces. In response, Fewell uses pinched strings or ringing strums to pour figurative cold water on the saxophonist’s excesses while outlining reciprocal harmonies.
The two ascend and descend with mountain- climber-like resolution from the centerpiece “A Floating Caravan”, the lengthiest duet, which organically redefines intense blending, spidery string crawls and angled reed exhalations, giving way to buttressed blowing and echoing strokes, only to climax with a dual unbroken line both soothing and substantial.
A departure from his larger ensemble and more mainstream efforts, Flawless Dust shows that Fewell could hold his own in the most demanding situations and that Mimmo was an enabling collaborator.