Posthuman.it parla di "Chaos and Order"

Un grande disco jazz rock moderno del quartetto guidato dal clarinettista Francesco Chiapperini per Long Song Records, insieme ad alcune riflessioni su scena beat, jazz e psichedelia.
E alla fine è arrivato anche il momento di ripensare al jazz rock. Se ricordate, circa un anno fa avevo pubblicato un lungo articolo sviscerando un po’ di occulte connessioni fra new wave e progressive, ritenuto più o meno l’Anticristo da quelli che come me avevano 20 anni a metà degli ’80.
Sicché ho proseguito nel recupero di psichedelica e progressive, grazie ai dischi attuali della Black Widow come allo scavo nelle miniere di Hawkwind e Gong, di cui purtroppo abbiamo appena salutato per sempre il leader Daevid Allen, uno che già nel ’63 suonava al Marquee un jazz rock misto a reading “beat” coi futuri Soft Machine (Wyatt, Hopper, Ratledge), ben 6 anni prima che Miles Davis rivoluzionasse il mondo del jazz colla svolta elettrica di In A Silent Way.
È per questa via che un giorno ho fatto questa riflessione: in fondo, l’ampliamento di spettro sonoro portato verso il ’67 dalla psichedelica in buona sostanza consiste nel portare nella composizione rock quella libertà armonica e improvvisativa che nel jazz era legge ormai da 20 anni, cioè dal be bop di Parker & Gillespie. Se vi leggete un po’ di testi di Ginsberg, Burroughs e Kerouac, sapendo che la prassi del reading accompagnato da musicisti jazz era una griffe della congrega nei ’50, vi renderete conto che lì c’era già tutto il nocciolo della rivoluzione psichedelica: visionarietà, sperimentazione senza confini, ampliamento della coscienza sia con la droga che col misticismo orientale.
Così ho aperto le porte al recupero del jazz rock, assaggiando un po’ di quei Weather Report, Mahavishnu Orchestra, Hancock, Pastorius etc., che pure loro in epoca punk venivano per lo più considerati dei soloni virtuosi e auto compiaciuti e che oggi un geniale fricchettone come Les Claypol annovera tranquillamente fra i suoi eroi. Se eravate al concerto milanese dei Primus, infatti, introducendo il brano Lee Van Cleef il bassista ha detto: “Quando si parla delle mie ispirazioni, tutti si aspettano che io citi grandi bassisti come Stanley Clarke e così via… Certo, sono tutti nella lista, però…” (e lì partiva l’omaggio al vecchio leone del western all’italiana). Quindi, comunque, il grande bassista della fusion è pacificamente parte del bagaglio di un rocker alternativo come Claypol!
La scoperta del giorno è che la stagione del jazz rock è tutt’altro che finita con l’incanutimento dei suoi eroi emersi negli anni ’80: i John Lurie, John Zorn, Marc Ribot, Bill Laswell, Bill Frisell etc. Dopo la folgorazione di Caterina Palazzi e di Al Doum, oggi è la Long Song (etichetta che schiera in catalogo nomi doc come Elliott Sharp, Keith Tippett, gli italiani Daniele Cavallanti e Tiziano Tononi, lo stesso Ribot e Jamaaladeen Tacuma) che ci offre una nuova sorpresa: Chaos And Order, album del quartetto “bassless” guidato dal sopranista/clarinettista basso Francesco Chiapperini e composto da Gianluca Elia al sax tenore, Dario Trapani alla chitarra elettrica e Antonio Fusco alla batteria (cover in apertura, la band qui a lato).
Un album che viene subito da accostare all’Incesticide dei Sudoku Killer della Palazzi, mentre il riferimento internazionale più vicino rimangono i Lounge Lizards: non tanto quelli iniziali, accostati alla no wave, piuttosto quelli maturi di Queen Of All Ears, gran disco del ’98, cui potete allegramente mixare i No Pair senza mai percepire un brusco stacco; a parte il fatto che i No Pair sono quattro, mentre sul finora ultimo album della formazione del newyorkese Lurie suonavano in nove, per cui l’insieme risultava ancora più vario e articolato da un brano all’altro, ricchezza che i No Pair perseguono con più lunghe parti soliste per ciascuno strumento nei 6 brani mediamente estesi (dai quasi 5’ ai quasi 11’) che compongono il loro album.
Un mood che il quartetto di Chiapperini (anche autore di tutte le composizioni) condivide sostanzialmente con quello della Palazzi, dal quale si differenzia essenzialmente per l’impasto sonoro: là il contrabbasso è lo strumento della leader, qui manca del tutto, sostituito dal clarinetto basso del pugliese o alternativamente dalla chitarra elettrica. Ma la libertà compositiva ed armonica di pescare tanto dal bagaglio di Eric Dolphy (o magari persino Gershwin in qualche fugace guizzo clarinettistico) come da Hot Rats di Zappa e da tutte le forme di contaminazione successive fra il suono elettrico del rock e quello improvvisativo del jazz (da Hendrix a Ribot) è un dna che accomuna tutti loro. “Ordine e caos”, no?Un grande disco jazz rock moderno del quartetto guidato dal clarinettista Francesco Chiapperini per Long Song Records, insieme ad alcune riflessioni su scena beat, jazz e psichedelia.
E alla fine è arrivato anche il momento di ripensare al jazz rock. Se ricordate, circa un anno fa avevo pubblicato un lungo articolo sviscerando un po’ di occulte connessioni fra new wave e progressive, ritenuto più o meno l’Anticristo da quelli che come me avevano 20 anni a metà degli ’80.
Sicché ho proseguito nel recupero di psichedelica e progressive, grazie ai dischi attuali della Black Widow come allo scavo nelle miniere di Hawkwind e Gong, di cui purtroppo abbiamo appena salutato per sempre il leader Daevid Allen, uno che già nel ’63 suonava al Marquee un jazz rock misto a reading “beat” coi futuri Soft Machine (Wyatt, Hopper, Ratledge), ben 6 anni prima che Miles Davis rivoluzionasse il mondo del jazz colla svolta elettrica di In A Silent Way.
È per questa via che un giorno ho fatto questa riflessione: in fondo, l’ampliamento di spettro sonoro portato verso il ’67 dalla psichedelica in buona sostanza consiste nel portare nella composizione rock quella libertà armonica e improvvisativa che nel jazz era legge ormai da 20 anni, cioè dal be bop di Parker & Gillespie. Se vi leggete un po’ di testi di Ginsberg, Burroughs e Kerouac, sapendo che la prassi del reading accompagnato da musicisti jazz era una griffe della congrega nei ’50, vi renderete conto che lì c’era già tutto il nocciolo della rivoluzione psichedelica: visionarietà, sperimentazione senza confini, ampliamento della coscienza sia con la droga che col misticismo orientale.
Così ho aperto le porte al recupero del jazz rock, assaggiando un po’ di quei Weather Report, Mahavishnu Orchestra, Hancock, Pastorius etc., che pure loro in epoca punk venivano per lo più considerati dei soloni virtuosi e auto compiaciuti e che oggi un geniale fricchettone come Les Claypol annovera tranquillamente fra i suoi eroi. Se eravate al concerto milanese dei Primus, infatti, introducendo il brano Lee Van Cleef il bassista ha detto: “Quando si parla delle mie ispirazioni, tutti si aspettano che io citi grandi bassisti come Stanley Clarke e così via… Certo, sono tutti nella lista, però…” (e lì partiva l’omaggio al vecchio leone del western all’italiana). Quindi, comunque, il grande bassista della fusion è pacificamente parte del bagaglio di un rocker alternativo come Claypol!
La scoperta del giorno è che la stagione del jazz rock è tutt’altro che finita con l’incanutimento dei suoi eroi emersi negli anni ’80: i John Lurie, John Zorn, Marc Ribot, Bill Laswell, Bill Frisell etc. Dopo la folgorazione di Caterina Palazzi e di Al Doum, oggi è la Long Song (etichetta che schiera in catalogo nomi doc come Elliott Sharp, Keith Tippett, gli italiani Daniele Cavallanti e Tiziano Tononi, lo stesso Ribot e Jamaaladeen Tacuma) che ci offre una nuova sorpresa: Chaos And Order, album del quartetto “bassless” guidato dal sopranista/clarinettista basso Francesco Chiapperini e composto da Gianluca Elia al sax tenore, Dario Trapani alla chitarra elettrica e Antonio Fusco alla batteria (cover in apertura, la band qui a lato).
Un album che viene subito da accostare all’Incesticide dei Sudoku Killer della Palazzi, mentre il riferimento internazionale più vicino rimangono i Lounge Lizards: non tanto quelli iniziali, accostati alla no wave, piuttosto quelli maturi di Queen Of All Ears, gran disco del ’98, cui potete allegramente mixare i No Pair senza mai percepire un brusco stacco; a parte il fatto che i No Pair sono quattro, mentre sul finora ultimo album della formazione del newyorkese Lurie suonavano in nove, per cui l’insieme risultava ancora più vario e articolato da un brano all’altro, ricchezza che i No Pair perseguono con più lunghe parti soliste per ciascuno strumento nei 6 brani mediamente estesi (dai quasi 5’ ai quasi 11’) che compongono il loro album.
Un mood che il quartetto di Chiapperini (anche autore di tutte le composizioni) condivide sostanzialmente con quello della Palazzi, dal quale si differenzia essenzialmente per l’impasto sonoro: là il contrabbasso è lo strumento della leader, qui manca del tutto, sostituito dal clarinetto basso del pugliese o alternativamente dalla chitarra elettrica. Ma la libertà compositiva ed armonica di pescare tanto dal bagaglio di Eric Dolphy (o magari persino Gershwin in qualche fugace guizzo clarinettistico) come da Hot Rats di Zappa e da tutte le forme di contaminazione successive fra il suono elettrico del rock e quello improvvisativo del jazz (da Hendrix a Ribot) è un dna che accomuna tutti loro. “Ordine e caos”, no?

Percorsi Musicali parla di "The Sauna Sessions"

Piero Bittolo Bon è nome piuttosto ricorrente nelle pagine del jazz di questo sito: non solo è uno dei più bravi sassofonisti che l’Italia può vantare ma è anche un cultore della forma moderna dello strumento: oggi forse, per trovare nuove vie, non serve più sparare a zero con esso, richiamare alla memoria crudeltà del suono o miscele orientali, ogni fraseggio deve essere intelligente ed esposto all’evocazione, a prescindere dalla velocità. E questo è un aspetto che può far la differenza fra un sassofonista free di qualche generazione fa e quelli odierni. E’ stato pubblicato recentemente una validissima registrazione effettuata nell’estate del 2012 in forma di sessions estive, a cui parteciparono Tommaso Cappellato alla batteria, Simone Massaron alla chitarra, Glauco Benedetti alla tuba e Peter Evans alla tromba, con l’appellativo di Pbb’s Lacus Amoenus.
“The Sauna session” consegna le proprie credenziali ad uno stato caotico ed eclettico: contando sul valore dei partecipanti, la session è una ricostruzione di musica improvvisata che ha tutto il sapore delle jams di free jazz moderne, basate sull’ontologia dei suoni (convenzionali e non), fatte di velocità e pause, ma lontane dalla ricerca di approfondimenti spirituali vissute nell’omogeneità dell’esperienza improvvisativa come in un Coltrane di I love supreme o di Ascension. L’interazione è sapientemente incanalata sul suono e non sull’effetto catartico; è piena della cultura contemporanea sui suoni e rumori. Senza utilizzare elettronica e basandosi solo sulla strumentazione (anche opportuna modulata sull’amplificazione), i cinque musicisti mantengono alto il livello di libertà espressiva ma sono anche spinti dalla volontà di tentare di delineare un immagine attraverso l’improvvisazione e ci riescono benissimo, poichè negli spazi apparentemente angusti del caos ci si confronta con personalizzazioni (chiamasi assoli) che rientrano nel gotha esibitivo dei partecipanti (Bittolo Bon è al suo top, in versione multistrato, poderoso e frastagliato nel fraseggio, Cappellato sviluppa un’attenta ed oscura parte ritmica tramite la sua “anima” free, Massaron evoca allegorie tra i fantasmi della chitarra elettrica ed i “propri” fantasmi, Benedetti sembra aver in mano un’altro strumento ed Evans si arrampica come una scheggia impazzita).Piero Bittolo Bon è nome piuttosto ricorrente nelle pagine del jazz di questo sito: non solo è uno dei più bravi sassofonisti che l’Italia può vantare ma è anche un cultore della forma moderna dello strumento: oggi forse, per trovare nuove vie, non serve più sparare a zero con esso, richiamare alla memoria crudeltà del suono o miscele orientali, ogni fraseggio deve essere intelligente ed esposto all’evocazione, a prescindere dalla velocità. E questo è un aspetto che può far la differenza fra un sassofonista free di qualche generazione fa e quelli odierni. E’ stato pubblicato recentemente una validissima registrazione effettuata nell’estate del 2012 in forma di sessions estive, a cui parteciparono Tommaso Cappellato alla batteria, Simone Massaron alla chitarra, Glauco Benedetti alla tuba e Peter Evans alla tromba, con l’appellativo di Pbb’s Lacus Amoenus.
“The Sauna session” consegna le proprie credenziali ad uno stato caotico ed eclettico: contando sul valore dei partecipanti, la session è una ricostruzione di musica improvvisata che ha tutto il sapore delle jams di free jazz moderne, basate sull’ontologia dei suoni (convenzionali e non), fatte di velocità e pause, ma lontane dalla ricerca di approfondimenti spirituali vissute nell’omogeneità dell’esperienza improvvisativa come in un Coltrane di I love supreme o di Ascension. L’interazione è sapientemente incanalata sul suono e non sull’effetto catartico; è piena della cultura contemporanea sui suoni e rumori. Senza utilizzare elettronica e basandosi solo sulla strumentazione (anche opportuna modulata sull’amplificazione), i cinque musicisti mantengono alto il livello di libertà espressiva ma sono anche spinti dalla volontà di tentare di delineare un immagine attraverso l’improvvisazione e ci riescono benissimo, poichè negli spazi apparentemente angusti del caos ci si confronta con personalizzazioni (chiamasi assoli) che rientrano nel gotha esibitivo dei partecipanti (Bittolo Bon è al suo top, in versione multistrato, poderoso e frastagliato nel fraseggio, Cappellato sviluppa un’attenta ed oscura parte ritmica tramite la sua “anima” free, Massaron evoca allegorie tra i fantasmi della chitarra elettrica ed i “propri” fantasmi, Benedetti sembra aver in mano un’altro strumento ed Evans si arrampica come una scheggia impazzita).