Le cose cambiano, gli anni passano e le mode inevitabilmente tornano a ricordarci di cosa eravamo fatti, di cosa ci facevamo. Per cosa piangevamo. Non capisco se prendere sul serio il disco “La Foce del Ladrone” del musicista Fabio Zuffanti, una parodia schizofrenica ed energica dell’album cult anni 80 di Franco Battiato.
Via da queste sponde sbeffeggiati armonicamente dalle onde, parole narrate in italiano, incastri di vita ed amore, elettronica e musica d’autore. Non è facile entrare nell’ottica del disco, bisogna esasperare gli ascolti per capire che nonostante il mare parliamo di un disco ben fatto (terza produzione per Zuffanti), a volte simpatico, a volte innamorato, a volte schietto. In fondo ben strutturato e materializzato. Qualcosa di innovativo malgrado i chiari riferimenti alle melodie andate, musica strana (e queste sono parole dell’autore) da incastrare senza una spiegazione, no radio edit, la voglia di stupire con effetti speciali, di giocare con la musica senza dolcezza ma con tanta violenza.
Nell’aria armonizzi alla Battisti, c’è sempre il sole dove veglia Lucio, il sole penetra in profondità illuminando candidamente l’intero disco che Fabio Zuffanti riesce in tutte le maniere a fare proprio uscendo volentieri da qualche schemimo ben preparato, la salvezza in calcio d’angolo. E poi viole e violoncelli, continuavano a fiorire le rose. Una cosa diversa finalmente viene a presentarsi alle mie orecchie, non è rock, non so cosa sia ma comunque mi lascio conoscere volentieri. Lode a questo artista musicalmente strano e soddisfacente.Le cose cambiano, gli anni passano e le mode inevitabilmente tornano a ricordarci di cosa eravamo fatti, di cosa ci facevamo. Per cosa piangevamo. Non capisco se prendere sul serio il disco “La Foce del Ladrone” del musicista Fabio Zuffanti, una parodia schizofrenica ed energica dell’album cult anni 80 di Franco Battiato.
Via da queste sponde sbeffeggiati armonicamente dalle onde, parole narrate in italiano, incastri di vita ed amore, elettronica e musica d’autore. Non è facile entrare nell’ottica del disco, bisogna esasperare gli ascolti per capire che nonostante il mare parliamo di un disco ben fatto (terza produzione per Zuffanti), a volte simpatico, a volte innamorato, a volte schietto. In fondo ben strutturato e materializzato. Qualcosa di innovativo malgrado i chiari riferimenti alle melodie andate, musica strana (e queste sono parole dell’autore) da incastrare senza una spiegazione, no radio edit, la voglia di stupire con effetti speciali, di giocare con la musica senza dolcezza ma con tanta violenza.
Nell’aria armonizzi alla Battisti, c’è sempre il sole dove veglia Lucio, il sole penetra in profondità illuminando candidamente l’intero disco che Fabio Zuffanti riesce in tutte le maniere a fare proprio uscendo volentieri da qualche schemimo ben preparato, la salvezza in calcio d’angolo. E poi viole e violoncelli, continuavano a fiorire le rose. Una cosa diversa finalmente viene a presentarsi alle mie orecchie, non è rock, non so cosa sia ma comunque mi lascio conoscere volentieri. Lode a questo artista musicalmente strano e soddisfacente.
Archivio mensile:Maggio 2011
La Foce Del Ladrone – moveoutmagazine.com
Un bel disco “La foce del Ladrone”, ascoltato in anteprima dalla redazione di Move Out. Un grande impegno nella ricerca di sonorità trasversali, piene, emozionanti. In 17 anni di carriera Fabio Zuffanti ha partecipato a molteplici progetti musicali esplorando prog, elettronica, sperimentazione, folk, trip-hop, post-rock, jazz, colonne sonore e musica da camera, tenendo diversi tour in Italia e nel resto del Mondo e collaborando con moltissimi artisti tra cui Franz di Cioccio (PFM), Roberto Colombo, Julie’s Haircut e Wu Ming. “La foce del ladrone” è il suo terzo disco solista, e per la prima volta si tratta di un disco pop, nell’accezione migliore del termine, che a partire dal titolo rende omaggio a Franco Battiato e alle atmosfere della migliore musica italiana anni ’80.
Arrangiamenti synth pop palesemente retrò (“Musica Strana”, “Luna Park”), loop di percussioni uniti a fraseggi melanconici di grand-piano (“Se c’è Lei”) sormontati da violini e viole. Una gran cassa squisitamente anni’80 scandisce in lontananza il tempo di “Luna Park”, mentre un ostinato di violoncello proseguito da accordi di una vecchia chitarra elettrica segna l’inizio del “latoB” con “Una nuova stagione”. Un disco da avere.Un bel disco “La foce del Ladrone”, ascoltato in anteprima dalla redazione di Move Out. Un grande impegno nella ricerca di sonorità trasversali, piene, emozionanti. In 17 anni di carriera Fabio Zuffanti ha partecipato a molteplici progetti musicali esplorando prog, elettronica, sperimentazione, folk, trip-hop, post-rock, jazz, colonne sonore e musica da camera, tenendo diversi tour in Italia e nel resto del Mondo e collaborando con moltissimi artisti tra cui Franz di Cioccio (PFM), Roberto Colombo, Julie’s Haircut e Wu Ming. “La foce del ladrone” è il suo terzo disco solista, e per la prima volta si tratta di un disco pop, nell’accezione migliore del termine, che a partire dal titolo rende omaggio a Franco Battiato e alle atmosfere della migliore musica italiana anni ’80.
Arrangiamenti synth pop palesemente retrò (“Musica Strana”, “Luna Park”), loop di percussioni uniti a fraseggi melanconici di grand-piano (“Se c’è Lei”) sormontati da violini e viole. Una gran cassa squisitamente anni’80 scandisce in lontananza il tempo di “Luna Park”, mentre un ostinato di violoncello proseguito da accordi di una vecchia chitarra elettrica segna l’inizio del “latoB” con “Una nuova stagione”. Un disco da avere.
La Foce Del Ladrone – sands-zine.com
Nel 1968 Frank Zappa pubblicava il suo terzo album, intitolato “We’re Only in it for the money”. In copertina una riproduzione iconoclasta di “Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band”.
A quarant’anni di distanza, tra profezie e ingenuità, c’interroghiamo ancora sulla cultura pop, l’industria discografica, la musica di massa. Nel mezzo in tanti han detto la loro, e dalle nostre parti, Franco Battiato tra i più influenti e acuti, agli albori dei fatali anni ’80 con “La voce del padrone” lasciava tracimare il suo linguaggio nel grande oceano della musica commerciale.
Siamo figli delle stelle pronipoti di sua maestà il denaro.
Arriva probabilmente da lì lo stimolo di Fabio Zuffanti, coetaneo del disco di Zappa e figlio adottivo di quello di Battiato. Anche lui gioca col mito, suo e generazionale. Ci gioca a nervi scoperti, evidenzia, sottolinea, ricalca. Ma sostanzialmente ci gioca. Questa è la premessa che fa da cornice al terzo album solista dell’autore genovese, curato e prodotto in prima persona, pubblicato in condivisione tra la propria Spirals e l’avanguardistica Long Song, e dedicato alla memoria di Gianni Sassi.
La predilezione di Zuffanti per i tempi dispari rimane assecondata giusto nel brano d’apertura, la citazionista 1986(on a solitary beach). Da lì, la sfida è svincolarsi dalle familiari atmosfere progressive per sporcarsi le mani con la musica pop, facendo ricorso a tutte le possibili e necessarie combinazioni del caso, preferendo un gioco sulle forme più retro della canzone, e richiamando così strutture, melodie, sonorità, ereditate da Battisti, Sorrenti, Gazzè, oltre naturalmente a Battiato, non solo omaggiato ma apertamente citato ed emulato soprattutto nell’impostazione vocale.
Zuffanti lascia trasparire una personalità sentita come ormai troppo matura,in quell’età di mezzo che vorebbe strapparti una volta per tutte l’innocenza dalle mani, autentica o illusoria che sia (io vorrei precipitare nello spazio tra il silenzio/trovare solo un fragile equilibrio/tra quello che io sono e quel che sogno – Capo Nord). Nel quieto vivere lo spazio per un’illusione è tanto accarezzato quanto circoscritto (pensare a lei mi rende vivo/anche se non ho il coraggio/di lasciare le certezze e le ipocrisie – Se c’è lei); i piccoli mondi immaginati vengono presto rimessi nel cassetto dei rimpianti (sopra le luci della città/in strade senza suoni mentre tutto andava via/e le maniglie sulle porte mi parlavano di te/è stato quello il punto/ci siam fermati lassù/ci siam perduti lassù – Lunar Park).
Tutto quello che si vorrebbe è un briciolo di gratificazione (Musica Strana) e quell’incanto che un tempo accompagnava ogni scoperta è il dolce sapore che resta in bocca alla fine di questo viaggio (It’s time to land), una catarsi per lui, un piacevole regalo per noi.Nel 1968 Frank Zappa pubblicava il suo terzo album, intitolato “We’re Only in it for the money”. In copertina una riproduzione iconoclasta di “Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band”.
A quarant’anni di distanza, tra profezie e ingenuità, c’interroghiamo ancora sulla cultura pop, l’industria discografica, la musica di massa. Nel mezzo in tanti han detto la loro, e dalle nostre parti, Franco Battiato tra i più influenti e acuti, agli albori dei fatali anni ’80 con “La voce del padrone” lasciava tracimare il suo linguaggio nel grande oceano della musica commerciale.
Siamo figli delle stelle pronipoti di sua maestà il denaro.
Arriva probabilmente da lì lo stimolo di Fabio Zuffanti, coetaneo del disco di Zappa e figlio adottivo di quello di Battiato. Anche lui gioca col mito, suo e generazionale. Ci gioca a nervi scoperti, evidenzia, sottolinea, ricalca. Ma sostanzialmente ci gioca. Questa è la premessa che fa da cornice al terzo album solista dell’autore genovese, curato e prodotto in prima persona, pubblicato in condivisione tra la propria Spirals e l’avanguardistica Long Song, e dedicato alla memoria di Gianni Sassi.
La predilezione di Zuffanti per i tempi dispari rimane assecondata giusto nel brano d’apertura, la citazionista 1986(on a solitary beach). Da lì, la sfida è svincolarsi dalle familiari atmosfere progressive per sporcarsi le mani con la musica pop, facendo ricorso a tutte le possibili e necessarie combinazioni del caso, preferendo un gioco sulle forme più retro della canzone, e richiamando così strutture, melodie, sonorità, ereditate da Battisti, Sorrenti, Gazzè, oltre naturalmente a Battiato, non solo omaggiato ma apertamente citato ed emulato soprattutto nell’impostazione vocale.
Zuffanti lascia trasparire una personalità sentita come ormai troppo matura,in quell’età di mezzo che vorebbe strapparti una volta per tutte l’innocenza dalle mani, autentica o illusoria che sia (io vorrei precipitare nello spazio tra il silenzio/trovare solo un fragile equilibrio/tra quello che io sono e quel che sogno – Capo Nord). Nel quieto vivere lo spazio per un’illusione è tanto accarezzato quanto circoscritto (pensare a lei mi rende vivo/anche se non ho il coraggio/di lasciare le certezze e le ipocrisie – Se c’è lei); i piccoli mondi immaginati vengono presto rimessi nel cassetto dei rimpianti (sopra le luci della città/in strade senza suoni mentre tutto andava via/e le maniglie sulle porte mi parlavano di te/è stato quello il punto/ci siam fermati lassù/ci siam perduti lassù – Lunar Park).
Tutto quello che si vorrebbe è un briciolo di gratificazione (Musica Strana) e quell’incanto che un tempo accompagnava ogni scoperta è il dolce sapore che resta in bocca alla fine di questo viaggio (It’s time to land), una catarsi per lui, un piacevole regalo per noi.
La Foce Del Ladrone – mpnews.it
Evviva le conferme, perché le conferme nella vita sono importantissime. E questo nuovo disco “genovese” del polidealista musicale Fabio Zuffanti, il terzo, mette nero su bianco una volte per tutte che se intorno è un continuo parto cesareo iniziatico per una massa di finti cantautori, roba disegnata a tavolino per consumi sempre più famelici e grossolani, qui dentro c’è poesia, sangue e carne figlia del suo tempo e della spiritualità tangibile del maestro Battiato, che lievita tra le tracce e nella parodia del titolo del suo album “La voce del padrone”, che in questo caso si personalizza in “La Foce del ladrone”.
“Essere figlio del suo tempo”: pare che il nostro Zuffanti lo abbia percepito bene, in queste otto tracce rispetta il momento, ama il passato e sogna il futuro, e vive e ci fa vivere il totale del quadro e non si annulla come un codice a barre nell’infinito dell’autocelebrazione: canta ciò che sente con le vibrisse dell’anima, ed è sinceramente un bel sentire.
L’uomo Fabio e il musicista Zuffanti se ne sono usciti con un lavoretto niente male che – anche se non offre l’offerta speciale di una o più svolte stilistiche da enciclopedia – conferma la passione ed il cuore aperto di una macchina sonora cantautoriale che si fa intendere e voler bene, schiettezza e sfumature che partecipano a portarci nel contesto delle sue storie, non solo come audiofili da piazzare davanti ad una fonte sonora, ma come “spettatori fisici” davanti ad un palcoscenico di note. I suoi non sono modelli levati ad altarini, solamente fonti d’ispirazione e linguaggi che si vanno a customerizzare nella sua profonda personalità di penna e di mente, tra lo spiritato dolce ed il liberatorio intrigante.
E se il Battisti Lucio pare bagnare di luce “Musica strana”, “Una nuova stagione” e “In cantina”, la scia profumata dei groove di Battiato, le onde d’archi che ti rapiscono a mulinello d’aria in “Capo Nord”, i contrappunti di pianoforte che dipingono la pelle di “Se c’è lei”, e il saluto finale che fa saltelli e stelle luccicanti in “It’s time to land” la dicono lunga sull’ironia dell’artista Zuffanti, una concessione al pop di marca che non tira all’alba, ma si ferma nel momento preciso in cui il gioco diventa fiamma cantautorale di pregio, e dove c’è fiamma c’è sempre un fuoco poetico da bruciare.
Disco che si ascolta tra una Sprite disimpegnata ed uno Scotch Whisky importante e secco.Evviva le conferme, perché le conferme nella vita sono importantissime. E questo nuovo disco “genovese” del polidealista musicale Fabio Zuffanti, il terzo, mette nero su bianco una volte per tutte che se intorno è un continuo parto cesareo iniziatico per una massa di finti cantautori, roba disegnata a tavolino per consumi sempre più famelici e grossolani, qui dentro c’è poesia, sangue e carne figlia del suo tempo e della spiritualità tangibile del maestro Battiato, che lievita tra le tracce e nella parodia del titolo del suo album “La voce del padrone”, che in questo caso si personalizza in “La Foce del ladrone”.
“Essere figlio del suo tempo”: pare che il nostro Zuffanti lo abbia percepito bene, in queste otto tracce rispetta il momento, ama il passato e sogna il futuro, e vive e ci fa vivere il totale del quadro e non si annulla come un codice a barre nell’infinito dell’autocelebrazione: canta ciò che sente con le vibrisse dell’anima, ed è sinceramente un bel sentire.
L’uomo Fabio e il musicista Zuffanti se ne sono usciti con un lavoretto niente male che – anche se non offre l’offerta speciale di una o più svolte stilistiche da enciclopedia – conferma la passione ed il cuore aperto di una macchina sonora cantautoriale che si fa intendere e voler bene, schiettezza e sfumature che partecipano a portarci nel contesto delle sue storie, non solo come audiofili da piazzare davanti ad una fonte sonora, ma come “spettatori fisici” davanti ad un palcoscenico di note. I suoi non sono modelli levati ad altarini, solamente fonti d’ispirazione e linguaggi che si vanno a customerizzare nella sua profonda personalità di penna e di mente, tra lo spiritato dolce ed il liberatorio intrigante.
E se il Battisti Lucio pare bagnare di luce “Musica strana”, “Una nuova stagione” e “In cantina”, la scia profumata dei groove di Battiato, le onde d’archi che ti rapiscono a mulinello d’aria in “Capo Nord”, i contrappunti di pianoforte che dipingono la pelle di “Se c’è lei”, e il saluto finale che fa saltelli e stelle luccicanti in “It’s time to land” la dicono lunga sull’ironia dell’artista Zuffanti, una concessione al pop di marca che non tira all’alba, ma si ferma nel momento preciso in cui il gioco diventa fiamma cantautorale di pregio, e dove c’è fiamma c’è sempre un fuoco poetico da bruciare.
Disco che si ascolta tra una Sprite disimpegnata ed uno Scotch Whisky importante e secco.
La Foce Del Ladrone – centromusicacremona.it
Ok, ho aperto la busta, tiro fuori il cd e ho detto, è Battiato. E in effetti leggendo e ascoltando le influenze sono palesi. La piccola differenza (Padrone/Ladrone) è spiegata così: “…penso che il ladrone, anzi i ladroni, siamo tutti noi musicisti/compositori”, Fabio si rivolge qui al fatto che oltre alla semplice ispirazione durante la composizione, c’è sempre un chiaro riferimento altrui. Come dargli torto? Spiegato il riferimento visivo e ovviamente strumentale, Fabio Zuffanti ha una carriera di diciasette anni alle spalle, come musicista, precisamente bassista prog-rock, nei Finisterre, e successivamente altri gruppi. Prima di arrivare al pop di “La foce del ladrone” ha avuto esperienze anche di elettronica, in stile Bluvertigo. E se azzardiamo a mischiare il prog-rock ad un minimo di elettronica, troviamo appunto alcuni dei pezzi contenuti in questo album. I testi spaziano tra sogni, vicende e ricordi anche molto personali (1986) e pure una piccola denuncia alla musica moderna e da tivù (Musica Strana, dal quale è tratto il singolo e il videoclip che annunceranno l’album), e alla società (It’s time to land). Complessivamente questo sentito omaggio a Battiato, è un ottimo disco di “semplice” pop, con le varie accezioni del termine, e ovviamente con i grandi cambi stilistici dati dall’esperienza di Fabio Zuffanti.Ok, ho aperto la busta, tiro fuori il cd e ho detto, è Battiato. E in effetti leggendo e ascoltando le influenze sono palesi. La piccola differenza (Padrone/Ladrone) è spiegata così: “…penso che il ladrone, anzi i ladroni, siamo tutti noi musicisti/compositori”, Fabio si rivolge qui al fatto che oltre alla semplice ispirazione durante la composizione, c’è sempre un chiaro riferimento altrui. Come dargli torto? Spiegato il riferimento visivo e ovviamente strumentale, Fabio Zuffanti ha una carriera di diciasette anni alle spalle, come musicista, precisamente bassista prog-rock, nei Finisterre, e successivamente altri gruppi. Prima di arrivare al pop di “La foce del ladrone” ha avuto esperienze anche di elettronica, in stile Bluvertigo. E se azzardiamo a mischiare il prog-rock ad un minimo di elettronica, troviamo appunto alcuni dei pezzi contenuti in questo album. I testi spaziano tra sogni, vicende e ricordi anche molto personali (1986) e pure una piccola denuncia alla musica moderna e da tivù (Musica Strana, dal quale è tratto il singolo e il videoclip che annunceranno l’album), e alla società (It’s time to land). Complessivamente questo sentito omaggio a Battiato, è un ottimo disco di “semplice” pop, con le varie accezioni del termine, e ovviamente con i grandi cambi stilistici dati dall’esperienza di Fabio Zuffanti.
La Foce Del Ladrone – ilmascalzone.it
Giocoliere e sognatore. Melanconico al punto giusto, quanto basta per coprire i dettagli di sottile ironia. Di trasformare la bile nera in irriverenza e coscienziosa speranza. Scende fino in fondo, Fabio Zuffanti. Fino ad arrivare alla “Foce del ladrone”, ultimo album dell’artista genovese in cui si racchiudono e condensano quasi venti anni di carriera e molteplici territori musicali. Un lavoro di pura musica pop, nell’accezione migliore del termine, dove si fa il verso al maestro compositore Franco Battiato. In effetti i rimandi, testuali e musicali, all’album che nel 1981 diede una forte scossa al successo dell’artista siciliano, sono più che evidenti. D’altronde non se ne fa assoluto mistero, né tantomeno si evince la voglia di celare o nascondere. L’artista, quello con la A maiuscola, non può non prendere ispirazione pur costruendo secondo i propri canoni. E’ una legge di natura. Nulla si crea o si distrugge. Tutto si trasforma. Allora tanto vale ritornare alla foce, laddove due universi possono incontrarsi e trarne arricchimento in un estasi di passione e ricordi (1986). Correndo sopra le onde “sciogliendo il pensiero come vele al vento” (Capo Nord), nella speranza di “catapultarmi dentro un mondo che non esiste e non esisterà, in cui la terra sparirà in un buco nero ed allora forse in un’altra dimensione ci saranno cose capovolte..tutti ascolteranno musica con la testa,con la pancia, con il cuore” (It’s time to land).
La delicatezza delle corde di violino accarezzano l’intero lavoro che ama perdersi nei meandri di una vita a metà del guado, tra realismo e surrealismo (In cantina, Se c’è lei), dove c’è tempo e spazio per attese, aneddoti, speranze e magari anche una Nuova Stagione, dove non leggere più troppe frasi insensate, verso una nuova idea. Atmosfera soft, trentanove minuti che scivolano via come un buon brandy d’annata. Fresco. Spontaneo. Che lascia il segno della piena senza mai scadere nel già visto e sentito, dove l’omaggio all’aria dismessa e contenuta del lavoro di Battiato, assume una veste originale, inedita. L’immaginazione, palestra per l’azione, trova ampiezza e pienezza di espressione in questi otto brani che strizzano l’occhio a certa tradizione italiana (Alberto Fortis, Enzo Carella, Lucio Battisti). Nulla è lasciato al caso e si vede, così come il retroterra culturale e musicale che fa da sfondo ad un sound che pare abbracciarti mentre, sulla poltrona di casa, consumi l’ennesimo Cohiba. Da ascoltare… e provare.Giocoliere e sognatore. Melanconico al punto giusto, quanto basta per coprire i dettagli di sottile ironia. Di trasformare la bile nera in irriverenza e coscienziosa speranza. Scende fino in fondo, Fabio Zuffanti. Fino ad arrivare alla “Foce del ladrone”, ultimo album dell’artista genovese in cui si racchiudono e condensano quasi venti anni di carriera e molteplici territori musicali. Un lavoro di pura musica pop, nell’accezione migliore del termine, dove si fa il verso al maestro compositore Franco Battiato. In effetti i rimandi, testuali e musicali, all’album che nel 1981 diede una forte scossa al successo dell’artista siciliano, sono più che evidenti. D’altronde non se ne fa assoluto mistero, né tantomeno si evince la voglia di celare o nascondere. L’artista, quello con la A maiuscola, non può non prendere ispirazione pur costruendo secondo i propri canoni. E’ una legge di natura. Nulla si crea o si distrugge. Tutto si trasforma. Allora tanto vale ritornare alla foce, laddove due universi possono incontrarsi e trarne arricchimento in un estasi di passione e ricordi (1986). Correndo sopra le onde “sciogliendo il pensiero come vele al vento” (Capo Nord), nella speranza di “catapultarmi dentro un mondo che non esiste e non esisterà, in cui la terra sparirà in un buco nero ed allora forse in un’altra dimensione ci saranno cose capovolte..tutti ascolteranno musica con la testa,con la pancia, con il cuore” (It’s time to land).
La delicatezza delle corde di violino accarezzano l’intero lavoro che ama perdersi nei meandri di una vita a metà del guado, tra realismo e surrealismo (In cantina, Se c’è lei), dove c’è tempo e spazio per attese, aneddoti, speranze e magari anche una Nuova Stagione, dove non leggere più troppe frasi insensate, verso una nuova idea. Atmosfera soft, trentanove minuti che scivolano via come un buon brandy d’annata. Fresco. Spontaneo. Che lascia il segno della piena senza mai scadere nel già visto e sentito, dove l’omaggio all’aria dismessa e contenuta del lavoro di Battiato, assume una veste originale, inedita. L’immaginazione, palestra per l’azione, trova ampiezza e pienezza di espressione in questi otto brani che strizzano l’occhio a certa tradizione italiana (Alberto Fortis, Enzo Carella, Lucio Battisti). Nulla è lasciato al caso e si vede, così come il retroterra culturale e musicale che fa da sfondo ad un sound che pare abbracciarti mentre, sulla poltrona di casa, consumi l’ennesimo Cohiba. Da ascoltare… e provare.
Massimiliano Sorrentini
Classe 1973, inizia a suonare come autodidatta a 15 anni sotto l’influenza del fratello batterista.
I suoi primi passi nella musica sono influenzati dal rock, dal punk e dal metal fino alle sue frange più estreme. Successivamente prende lezioni private da Mauro Parma (Orchestra Rai, Paolo Belli, etc) e Gianni Dall’Aglio (Mina, Battisti, Celentano, etc).
Tra il 1994 e il 1998 registra diversi album con la formazione rock Moongarden, con i quali si esibisce nei festival di Italia, Svizzera, Olanda, Belgio e Finlandia. In quegli anni lavora e suona nel Nord Europa con una formazione di doppio trio capitanata da John Wetton dei King Crimson.
Nel frattempo a Mantova approfondisce il linguaggio del jazz con il chitarrista Giorgio Signoretti e con il batterista Riccardo Biancoli. Nel 2004 viene contattato dagli amici Danilo Gallo e Zeno de Rossi per fondare il collettivo El Gallo Rojo, di cui è appunto membro fondatore. È leader del gruppo Rollerball, di cui, nel 2008 è uscito il primo lavoro per El Gallo Rojo “La clinica del rasoio”, album che ha raccolto, insieme alle esibizioni live, critiche entusiastiche al punto da essere segnalata come una delle formazioni più promettenti nell’ambito del jazz e della musica di ricerca in Italia. È stato segnalato nella rivista Top Jazz 2010 tra i batteristi più interessanti della attuale scena jazz italiana. È co-leader con Danilo Gallo (vincitore Top Jazz 2010 miglior bassista) del gruppo Blonde Zeros, il cui disco, uscito per El Gallo Rojo nel 2010, è stato incluso dalla rivista Jazzit tra i migliori dischi di jazz del 2010. Dal 2007 collabora stabilmente con Vinicio Capossela con il quale ha effettuato diversi concerti in Italia, Stati Uniti, Olanda, Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra, Grecia, Belgio.
Suona, collabora e registra stabilmente con i musicisti de El Gallo Rojo e vanta collaborazioni con artisti, nazionali e internazionali, tra cui Chris Speed, John Wetton (King Crimson, Asia), Cuong Vu, Marc Ribot, Jamaaladeen Tacuma, Stefano Senni, Giorgio Pacorig, Simone Massaron,Jessica Lurie, Danilo Gallo, Mauro Ottolini, Francesco Bigoni, Alfonso Santimone, Nelide Bandello, Achille Succi, Fulvio Sigurtà, Gerard Gschlossl, Giorgio Pacorig, Massimo Greco, Beppe Scardino, Marco Remondini, Piero Bittolo Bon, Kyle J Gregory, Zeno de Rossi, Enrico Terragnoli, Cristina Donà, Cristiano Godano (Marlene Kuntz), Luca Morino (Mau Mau), Frankie Hi Nrg, Emidio Clementi (Massimo Volume, El Muniria), Esa & Kaos (OTR e la Pina), Mauro Ermanno Giovanardi (La Crus), Roy Paci, Vinicio Capossela.
Ho suonato in Portogallo, Olanda, Finlandia, Germania, Belgio, Svizzera, Austria, Francia, Spagna, Germania, Inghilterra, Grecia, Stati Uniti.Born in 1973, Massimiliano began playing by himself at the age of 15 under the influence of his brother.
His first steps in music are influenced by rock, punk and metal.Then he took private lessons from Mauro Parma (RAI Orchestra, Paolo Belli, etc) and Gianni Dall’Aglio (Mina, Battisti, Celentano, etc).
Between 1994 and 1998 he recorded several albums with the rock band Moongarden, with whom he performed in festivals in Italy, Switzerland, Holland, Belgium and Finland. During those years he worked and played in Northern Europe with a formation of double trio led by John Wetton of King Crimson.
Meanwhile, in Mantova, explores the language of jazz with guitarist Giorgio Signoretti and drummer Richard Biancoli. In 2004 he was contacted by his friends and Zeno de Rossi Danilo Gallo to found the collective El Gallo Rojo of which he is in fact a founding member.
Since 2007 he has been collaborating with Vinicio Capossela with whom he performed several concerts in Italy, USA, Holland, Spain, Portugal, France, England, Greece, Belgium.
Klavier Massagen – http://freejazz-stef.blogspot.com/
I was quite charmed with Nicola Cipani’s debut album “The Ill-Tempered Piano” on which he plays only untuned and damaged pianos. On this album, he takes the instrument into real uncharted territories, with highly repetitive, drone-like sounds, resulting in feedback, screeching strings, tonal percolations, and a general weirdness that is highly likeable – and sometimes outright impressive – when in the right mood (you have to be calm and serene, if not, you risk to start throwing with things, unless the nervous and unrelenting tension on this album acts as a kind of antidote to calm even if the most restless high-strung anxious bundle of nerves into a state of zen-like acceptance).
To me, the serene mood works best in any case, and it may help to appreciate Cipani’s unique and interesting voice.I was quite charmed with Nicola Cipani’s debut album “The Ill-Tempered Piano” on which he plays only untuned and damaged pianos. On this album, he takes the instrument into real uncharted territories, with highly repetitive, drone-like sounds, resulting in feedback, screeching strings, tonal percolations, and a general weirdness that is highly likeable – and sometimes outright impressive – when in the right mood (you have to be calm and serene, if not, you risk to start throwing with things, unless the nervous and unrelenting tension on this album acts as a kind of antidote to calm even if the most restless high-strung anxious bundle of nerves into a state of zen-like acceptance).
To me, the serene mood works best in any case, and it may help to appreciate Cipani’s unique and interesting voice.
La Foce Del Ladrone – ilmucchio.it
Fabio Zuffanti non è un musicista dell’ultima ora e lo dimostra un curriculum artistico di tutto rispetto, che a partire dal 1994, lo vede coinvolto in diverse identità, stili, formazioni (Hostsonaten e Quadraphonic, Finisterre e La Maschera di Cera, per citarne una manciata). È una premessa importante per poter collocare meglio la sua più recente fatica, questo “La foce del ladrone” che in modo sfacciato omaggia a parole e immagini uno degli album più noti di Franco Battiato e che più discretamente (e con intelligenza), coglie di quel lavoro l’essenza musicale. L’album di Zuffanti non è un divertissement, tantomeno un’enorme masturbazione sonora. Se è vero che come un ladrone pesca a piene mani da illustri predecessori – da cui la foce, non necessariamente il cantautore siciliano – non si coglie la pretesa di sfidare l’ascoltatore ad una estenuante caccia al tesoro. Al contrario, i brani in scaletta hanno la capacità di farsi apprezzare anche, soprattutto, da chi non ha mai seguito o amato Battiato (il quale, in maniera identica, da altre sorgenti ha sempre attinto, senza farne mistero). “1986 (On A Solitary Beach)”, l’intensa “Se c’è lei”, il singolo “Musica strana” sono tra i brani migliori in scaletta, ciascuno a suo modo; quando tra melodie pop e arrangiamenti barocchi si infiltrano echi di musica prog (“In cantina”) Zuffanti raggiunge la perfezione. Probabilmente i puristi odieranno questo disco. Noi odiamo i puristi. Uno pari, palla al centro.Fabio Zuffanti non è un musicista dell’ultima ora e lo dimostra un curriculum artistico di tutto rispetto, che a partire dal 1994, lo vede coinvolto in diverse identità, stili, formazioni (Hostsonaten e Quadraphonic, Finisterre e La Maschera di Cera, per citarne una manciata). È una premessa importante per poter collocare meglio la sua più recente fatica, questo “La foce del ladrone” che in modo sfacciato omaggia a parole e immagini uno degli album più noti di Franco Battiato e che più discretamente (e con intelligenza), coglie di quel lavoro l’essenza musicale. L’album di Zuffanti non è un divertissement, tantomeno un’enorme masturbazione sonora. Se è vero che come un ladrone pesca a piene mani da illustri predecessori – da cui la foce, non necessariamente il cantautore siciliano – non si coglie la pretesa di sfidare l’ascoltatore ad una estenuante caccia al tesoro. Al contrario, i brani in scaletta hanno la capacità di farsi apprezzare anche, soprattutto, da chi non ha mai seguito o amato Battiato (il quale, in maniera identica, da altre sorgenti ha sempre attinto, senza farne mistero). “1986 (On A Solitary Beach)”, l’intensa “Se c’è lei”, il singolo “Musica strana” sono tra i brani migliori in scaletta, ciascuno a suo modo; quando tra melodie pop e arrangiamenti barocchi si infiltrano echi di musica prog (“In cantina”) Zuffanti raggiunge la perfezione. Probabilmente i puristi odieranno questo disco. Noi odiamo i puristi. Uno pari, palla al centro.
La Foce Del Ladrone – Blow Up
L’elemento emulativo ed ironico del nuovo lavoro di Zuffanti, il suo disco più insostenibilmente leggero, non si riferisce solo a quel che è così palese da risultare ingannevole, ossia Franco Battiato (nel titolo, nel layout grafico e certo pure nella musica). investe tutta la temperie del suono italiota che potremmo raccogliere sotto la bandiera di “italiani Brava Gente”, in quella forma – un poco straniante, iperreale disegnata proprio da Zingales. Elementi bipolari appaiono qua e là tra le righe dei testi, mentre le melodie disegnano amenità filosofico-balneari, critiche sociali, visionarietà divulgative. Tutte istigazioni al coretto in macchina che solleticano il ventre molle della retorica (un raggio verde bruciava la vita in pochi istanti), ad un certo punto inquietano (ed a//ora io prendo un fucile con cui faccio una bella strage non sopravvive nessuno) e alla
fine… ‘chi se ne frega’ (e corro via verso un ‘idea / una nuova stagione). ll catanese dicevamo. Evidenti, ma accortamente parche, le citazioni punteggiano l’aria canzonettistica del brano di apertura che tanto per non nascondersi dietro ad un dito si intitola 1986 (On a Solitary Beach). Ma nella musica risuona tutta la dimensione citazionistica della cultura italiana, la nostalgia che ci ha condannato in maniera patologica al memorialismo sonoro-esistenziale. Viviamo una eterna proiezione dei ricordi ’60, ’70, ’80. Le impronte che riconosciamo di più sono degli Audio2 (quelli che praticarono la pornografia: imitare Battisti, senti In Cantina), di Tiromancino (la propensione romantico-esistenziale di Zampaglione, ad esempio giù per Capo Nord) e pure di Elio e le Storie Tese (quando sono ai vertici della simulazione ironica e quasi sembrano esserci e
non farci). ll passino di Zuffanti però ha buchini piccoli piccoli e l’impasto risulta di grana fine. Non fa citazionismo Zutfanti, ma rumina tutta la stagione culturale e gli spea-
kers / gli auricolari ve la riversano. C’è qualcosa di candidamente osceno in questo disco anche perchè non si riesce a dire, definitivamente, se ‘c’è o ci fa’ (a Fabio il prog-pop piace ma ne conosce assai bene i limiti. _ .). Certo la presentazione su facebook di Tommaso Labranca diventa ingombrante e rischia di sancirne lo status di prodotto ‘intellettuale’ (o comunque psicanalitico, il suo disco-confessione, dice). Noi ci mettiamo il carico da undici (qualcosa di meno…). Pur ricordandovi, infatti, che lo Zuffanti migliore è sperimentale, non riusciamo ad evitare la tentazione di entrare nel potenziale ‘ciclo di hype’ inserendoci tra i 20.200 risultati (data stesura recensione) di google con
l’invenzione del genere paracul-situazionista reflux pop. Genere che furoreggia nell’universo parallelo in cui Debord non si suicida ma diviene ospite fisso della Prova del Cuoco e in cui Roberto Mariani non muore d’incidente stradale. Lo stesso universo dove ‘Musica Strana’ diventa il tormentone dell’estate. (… il voto è consequenziale).L’elemento emulativo ed ironico del nuovo lavoro di Zuffanti, il suo disco più insostenibilmente leggero, non si riferisce solo a quel che è così palese da risultare ingannevole, ossia Franco Battiato (nel titolo, nel layout grafico e certo pure nella musica). investe tutta la temperie del suono italiota che potremmo raccogliere sotto la bandiera di “italiani Brava Gente”, in quella forma – un poco straniante, iperreale disegnata proprio da Zingales. Elementi bipolari appaiono qua e là tra le righe dei testi, mentre le melodie disegnano amenità filosofico-balneari, critiche sociali, visionarietà divulgative. Tutte istigazioni al coretto in macchina che solleticano il ventre molle della retorica (un raggio verde bruciava la vita in pochi istanti), ad un certo punto inquietano (ed a//ora io prendo un fucile con cui faccio una bella strage non sopravvive nessuno) e alla
fine… ‘chi se ne frega’ (e corro via verso un ‘idea / una nuova stagione). ll catanese dicevamo. Evidenti, ma accortamente parche, le citazioni punteggiano l’aria canzonettistica del brano di apertura che tanto per non nascondersi dietro ad un dito si intitola 1986 (On a Solitary Beach). Ma nella musica risuona tutta la dimensione citazionistica della cultura italiana, la nostalgia che ci ha condannato in maniera patologica al memorialismo sonoro-esistenziale. Viviamo una eterna proiezione dei ricordi ’60, ’70, ’80. Le impronte che riconosciamo di più sono degli Audio2 (quelli che praticarono la pornografia: imitare Battisti, senti In Cantina), di Tiromancino (la propensione romantico-esistenziale di Zampaglione, ad esempio giù per Capo Nord) e pure di Elio e le Storie Tese (quando sono ai vertici della simulazione ironica e quasi sembrano esserci e
non farci). ll passino di Zuffanti però ha buchini piccoli piccoli e l’impasto risulta di grana fine. Non fa citazionismo Zutfanti, ma rumina tutta la stagione culturale e gli spea-
kers / gli auricolari ve la riversano. C’è qualcosa di candidamente osceno in questo disco anche perchè non si riesce a dire, definitivamente, se ‘c’è o ci fa’ (a Fabio il prog-pop piace ma ne conosce assai bene i limiti. _ .). Certo la presentazione su facebook di Tommaso Labranca diventa ingombrante e rischia di sancirne lo status di prodotto ‘intellettuale’ (o comunque psicanalitico, il suo disco-confessione, dice). Noi ci mettiamo il carico da undici (qualcosa di meno…). Pur ricordandovi, infatti, che lo Zuffanti migliore è sperimentale, non riusciamo ad evitare la tentazione di entrare nel potenziale ‘ciclo di hype’ inserendoci tra i 20.200 risultati (data stesura recensione) di google con
l’invenzione del genere paracul-situazionista reflux pop. Genere che furoreggia nell’universo parallelo in cui Debord non si suicida ma diviene ospite fisso della Prova del Cuoco e in cui Roberto Mariani non muore d’incidente stradale. Lo stesso universo dove ‘Musica Strana’ diventa il tormentone dell’estate. (… il voto è consequenziale).