La Foce Del Ladrone: nuova coproduzione Long Song

In primo piano

E’ disponibile da oggi su I-Tunes e su tutti i principali digital stores il nuovo singolo di Fabio ZuffantiMusica Strana”. Il brano anticipa l’uscita del nuovo album del musicista genovese “La foce del ladrone”, prevista per il 10 maggio 2011 su etichetta Spirals/Long Song Records con distribuzione Audioglobe. Dopo 17 anni di carriera in cui ha esplorato con diversi progetti i più svariati generi musicali, pubblicato dischi e tenuto tour in tutto il mondo e collaborato con personaggi del calibro di Franz di Cioccio e Wu Ming, per la prima volta Zuffanti si cimenta con la musica pop.
L’artista è stato, nei mesi scorsi, al centro di un’accesa polemica che ha coinvolto moltissimi utenti su Facebook e svariati blog a proposito di una sua lettera sull’industria musicale Italiana pubblicata per prima da La Repubblica Veneta News a questo link: http://www.larepubblicanews.it/default.asp?contenuto=10016<=ita&sezione=Musica
“Musica Strana” riprende in parte le tematiche della lettera ma le sposta su una dimensione più personale ed ironica.
«Mi capita spesso di conoscere delle persone e rispondere alla domanda “che mestiere fai?” spiegando loro che per vivere faccio musica. – dichiara Zuffanti – In molti casi c’e quasi un senso di disagio nel sentire queste affermazioni, perché per moltissimi il musicista o e ricco e famoso o non esiste. In un caso particolare, quello che racconto in questa canzone, ci sono stati un paio di conoscenti che mi hanno fatto una sorta di terzo grado per capire nel profondo come io possa osare fare la musica che faccio e che in fondo non conosce nessuno. La domanda finale era poi ancora piu inquietante: che tipo di musica e la mia che non passa mai in (certe) radio e tv? È musica? Descrivo questi fatti realmente accaduti sotto forma di sogno, anzi di incubo, e propongo alla fine una soluzione simpaticamente efferata ai danni dei miei interlocutori. Il coro che emerge nella coda finale e un omaggio a “Non mi rompete” del Banco del mutuo soccorso, il piu grande gruppo che l’Italia abbia avuto, forse troppo grandi per sopravvivere in un paese come il nostro.»

Nei prossimi giorni sarà disponibile inoltre il videoclip della canzone diretto dal regista Luca Giberti e realizzato con un’originale iniziativa a partecipazione popolare.
ASCOLTA IL SINGOLO QUI: http://soundcloud.com/zuffanti/musica-strana-single-version

SUL WEB: www.fabiozuffanti.comhttp://www.facebook.com/lafocedelladrone

Disponibile anche il video di Musica Strana: http://www.youtube.com/watch?v=fQXJpZSNk0w

 

Pubblicato in News

La Foce Del Ladrone

A un certo punto mi convinsi che da qualche parte nelle tracce di quel disco doveva esserci un messaggio subliminale che invitava al suo acquisto e al suo ascolto costante. In tutte le case vedevo la copertina bianca e blu e chiunque, persino gli imbianchini (non sia un riferimento offensivo, Lui ci aveva già insegnato in un disco precedente che un imbianchino è meglio di Le Corbusier), persino loro cantavano «il senso del possesso che fu prealessandrino». Lo facevano catturati dal rincorrersi di esse che scivolavano via da sole in un verso che forse non voleva dire nulla, benché ancora oggi sui forum in Rete ragazzi nati anni molto dopo l’uscita nei negozi di La voce del padrone continuino a interrogarsi sul significato.
Trent’anni fa non ci si credeva tutti colti e l’elenco delle cose che potevano elevarti dalla massa era diverso da quello odierno, era composto da elementi più concreti e non dalle «vacanze, l’erba voglio, il cibo giapponese, capire Battiato» come avrebbe elencato vent’anni dopo Morgan, altro discepolo del Maestro. Allora chi non era colto se ne beava e cantava quello che voleva solo per il gusto di farlo, senza dover dichiarare al mondo di aver capito Battiato.
Io comunque provai a cercare quella frase subliminale contenuta in La voce del padrone, convinto di trovarla incisa alla rovescia. Misi un dito sull’etichetta centrale color banana appassita della Emi e girai alla rovescia l’intero vinile, su tutt’e due i lati. Provate a farlo oggi con un mp3 senza usare alcun software, solo un dito. Non trovai niente e ne fui deluso. Ancora una volta non potevo competere con i fratelli maggiori, quelli che si raccontavano leggende di frasi diaboliche inserite nei long playing dei Beatles o di altri artisti che li avevano formati.
La rivincita avvenne parecchi anni dopo, quando mi accorsi di come quel disco avesse influito sul mio modo di scrivere più di qualsiasi altro libro. La mio tendenza al citazionismo frenetico, incontrollato spesso anche inutile dal quale ancora oggi non riesco a liberarmi nasce dall’eccessivo ascolto di Battiato nel 1981. Esattamente come la mia cancellazione dei sentimenti nasce dai suoni secchi, matematici e senza echi di un altro disco coevo, Tin Drum dei Japan.
Fabio Zuffanti è una ulteriore vittima della voce del padrone, disco verso il quale ha un debito infinito e sotterraneo. Adesso però Fabio ha deciso di risparmiare soldi che altrimenti avrebbe buttato via dall’analista, dichiarando apertamente il debito verso quella strana esperienza musicale che nel 1981 spazzò via dalle nostre orecchie i cascami dei cantautori politicizzati e quelli dei complessini romantici con voci da castrato barocco. Tutte espressioni che avevano avuto anche una loro dignità, ormai sfilacciate nel più trito manierismo, ma che Battiato, già passato attraverso le canzoni d’amore e la sperimentazione politica, riprendeva e rielaborava in canzoni dalla forma normale fatte di strofe e ritornelli. Il ritorno all’ordine: non c’è scandalo più grande.
La voce del padrone fu un reset mentale e musicale per molti. Come per tanti altri cagnolini incantati davanti alla tromba del grammofono da cui usciva la voce del padrone, anche per Fabio, allora troppo giovane e con la memoria non ancora intasata di note, fu un incontro folgorante al quale ritorna con rispetto e forse anche il timore di tradire il Maestro. Il timore viene presto superato e Fabio si lancia senza paracadute, in maniera talmente sfacciata da copiare persino la copertina del lavoro originale, con lo spesso bordo blu, il frammento di mappa celeste e quei triangoli colorati senza alcun significato che i grafici degli anni Ottanta mettevano dappertutto.
Dietro la copertina c’è la musica e qui l’omaggio è più sottile. Non sono cover, non è un tributo. È un’operazione più sottile, fatta di note sparse, di suoni di tastiere elettroniche che richiamano le estati su spiagge solitarie. Solo chi ha assorbito pienamente il disco originale potrà ritrovare in queste tracce di Zuffanti il Battiato del 1981. Che, come per i vini, fu un’annata particolare e irripetibile. Prima c’erano stati la sperimentazione e l’esoterismo, il pop imperfetto del cinghiale e dei patrioti. Dopo ci saranno bagni elettronici e ancora esoterismo e poi tutta la fase filosofica. La Voce del Padrone era l’equilibrio perfetto tra pop e sostanza. Credo che lo stesso Battiato ne sia pienamente consapevole, al punto che trent’anni dopo, di passaggio a Sanremo, accompagnò Luca Madonia autocitandosi, distribuendo in quel brano minimi ricordi di una estate su una spiaggia solitaria. La stessa dalla quale Fabio Zuffanti dà il via a questo suo disco-confessione.

Tommaso LabrancaA un certo punto mi convinsi che da qualche parte nelle tracce di quel disco doveva esserci un messaggio subliminale che invitava al suo acquisto e al suo ascolto costante. In tutte le case vedevo la copertina bianca e blu e chiunque, persino gli imbianchini (non sia un riferimento offensivo, Lui ci aveva già insegnato in un disco precedente che un imbianchino è meglio di Le Corbusier), persino loro cantavano «il senso del possesso che fu prealessandrino». Lo facevano catturati dal rincorrersi di esse che scivolavano via da sole in un verso che forse non voleva dire nulla, benché ancora oggi sui forum in Rete ragazzi nati anni molto dopo l’uscita nei negozi di La voce del padrone continuino a interrogarsi sul significato.
Trent’anni fa non ci si credeva tutti colti e l’elenco delle cose che potevano elevarti dalla massa era diverso da quello odierno, era composto da elementi più concreti e non dalle «vacanze, l’erba voglio, il cibo giapponese, capire Battiato» come avrebbe elencato vent’anni dopo Morgan, altro discepolo del Maestro. Allora chi non era colto se ne beava e cantava quello che voleva solo per il gusto di farlo, senza dover dichiarare al mondo di aver capito Battiato.
Io comunque provai a cercare quella frase subliminale contenuta in La voce del padrone, convinto di trovarla incisa alla rovescia. Misi un dito sull’etichetta centrale color banana appassita della Emi e girai alla rovescia l’intero vinile, su tutt’e due i lati. Provate a farlo oggi con un mp3 senza usare alcun software, solo un dito. Non trovai niente e ne fui deluso. Ancora una volta non potevo competere con i fratelli maggiori, quelli che si raccontavano leggende di frasi diaboliche inserite nei long playing dei Beatles o di altri artisti che li avevano formati.
La rivincita avvenne parecchi anni dopo, quando mi accorsi di come quel disco avesse influito sul mio modo di scrivere più di qualsiasi altro libro. La mio tendenza al citazionismo frenetico, incontrollato spesso anche inutile dal quale ancora oggi non riesco a liberarmi nasce dall’eccessivo ascolto di Battiato nel 1981. Esattamente come la mia cancellazione dei sentimenti nasce dai suoni secchi, matematici e senza echi di un altro disco coevo, Tin Drum dei Japan.
Fabio Zuffanti è una ulteriore vittima della voce del padrone, disco verso il quale ha un debito infinito e sotterraneo. Adesso però Fabio ha deciso di risparmiare soldi che altrimenti avrebbe buttato via dall’analista, dichiarando apertamente il debito verso quella strana esperienza musicale che nel 1981 spazzò via dalle nostre orecchie i cascami dei cantautori politicizzati e quelli dei complessini romantici con voci da castrato barocco. Tutte espressioni che avevano avuto anche una loro dignità, ormai sfilacciate nel più trito manierismo, ma che Battiato, già passato attraverso le canzoni d’amore e la sperimentazione politica, riprendeva e rielaborava in canzoni dalla forma normale fatte di strofe e ritornelli. Il ritorno all’ordine: non c’è scandalo più grande.
La voce del padrone fu un reset mentale e musicale per molti. Come per tanti altri cagnolini incantati davanti alla tromba del grammofono da cui usciva la voce del padrone, anche per Fabio, allora troppo giovane e con la memoria non ancora intasata di note, fu un incontro folgorante al quale ritorna con rispetto e forse anche il timore di tradire il Maestro. Il timore viene presto superato e Fabio si lancia senza paracadute, in maniera talmente sfacciata da copiare persino la copertina del lavoro originale, con lo spesso bordo blu, il frammento di mappa celeste e quei triangoli colorati senza alcun significato che i grafici degli anni Ottanta mettevano dappertutto.
Dietro la copertina c’è la musica e qui l’omaggio è più sottile. Non sono cover, non è un tributo. È un’operazione più sottile, fatta di note sparse, di suoni di tastiere elettroniche che richiamano le estati su spiagge solitarie. Solo chi ha assorbito pienamente il disco originale potrà ritrovare in queste tracce di Zuffanti il Battiato del 1981. Che, come per i vini, fu un’annata particolare e irripetibile. Prima c’erano stati la sperimentazione e l’esoterismo, il pop imperfetto del cinghiale e dei patrioti. Dopo ci saranno bagni elettronici e ancora esoterismo e poi tutta la fase filosofica. La Voce del Padrone era l’equilibrio perfetto tra pop e sostanza. Credo che lo stesso Battiato ne sia pienamente consapevole, al punto che trent’anni dopo, di passaggio a Sanremo, accompagnò Luca Madonia autocitandosi, distribuendo in quel brano minimi ricordi di una estate su una spiaggia solitaria. La stessa dalla quale Fabio Zuffanti dà il via a questo suo disco-confessione.

Tommaso Labranca

Mucho Acustica

Piero Bittolo Bon : Sassofono Contralto & Baritono
Simone Massaron : Chitarra Elettrica & Baritono, Loops
Jamaaladeen Tacuma : Basso Elettrico
Federico Scettri : Batteria
Massimiliano Sorrentini : Batteria

PIERO BITTOLO BON è uno degli astri nascenti più acclamati del jazz italiano. Musicista in gran parte autodidatta, suona principalmente il sax alto, ma è anche a suo agio su baritono e contralto, clarinetto basso e flauto. Appassionata e vibrante, la sua musica risuona di echi del migliore free jazz e della “fire music”, con improvvisazioni torride, un attacco tagliente e forte e continue invenzioni misura dopo misura.

Membro del collettivo El Gallo Rojo, ha collaborato con alcuni dei migliori e più creativi musicisti italiani (Danilo Gallo, Zeno de Rossi, Beppe Scardino, Enrico Terragnoli, Stefano Senni, Francesco Bigoni, Tiziana Ghiglioni, Tiziano Tononi, Daniele Cavallanti, Francesco Cusa, Domenico Caliri, Giovanni Maier, UT Gandhi, Simone Massaron, Silvia Bolognesi tra gli altri) e con star d’oltreoceano come Anthony Braxton, Uri Caine, John Tchicai, Jamaaladeen Tacuma, Jessica Lurie, Vincent Davis e Ernest Dawkins; ed è anche presente nella scena avant jazz berlinese, suonando spesso in città con musicisti come Gerhard Gschloessl, Christian Lillinger, Tristan Honsinger e molti altri.
Piero ha inoltre una relazione di lunga data con il basso elettrico, che ha suonato all’inizio del suo percorso musicale in band funk, reggae e rock, prima di dedicarsi completamente alla musica improvvisata.
Con queste premesse è sembrato naturale che prima o poi le sue passioni si sarebbero unite: “Mucho Acustica” è una session potente e totalmente improvvisata dalla nuova band di Piero: “The Original Pigneto Stompers”, con doppia batteria, chitarra elettrica, e speciale guest al basso elettrico Jamaaladeen Tacuma. 

Tacuma, definito dal grande Marc Ribot un “uragano funk”, ha un passato glorioso nella band di Ornette Coleman Prime Time, dove ha contribuito alla musica di album leggendari come Body Meta o Dancing in Your Head. Con la sua miscela di possente funk e jazz infusi in inventivi groove di basso, ha preso parte nel corso degli anni a molti altri progetti musicali di vari generi, non solo quelli citati.

Il resto della band è completata dal chitarrista Simone Massaron e dai batteristi Federico Scettri e Max Sorrentini, musicisti ancora giovani ma già con molta esperienza in prima linea nella migliore scena jazz ed avant italiana.

”Mucho Acustica” è sicuramente intriso di forti sapori e tendenze musicali. Il feeling tra i musicisti è stata immediato, e l’energia è stata palpabile fin dalle prime tracce che sono state registrate.

C’è un feeling dominante, risultato del mix di due fattori. Da una parte Piero col suo suono orgoglioso, fiero, scuro e tagliente, sempre al massimo delle sue possibilità espressive e in costante esplorazione di nuovi territori armonici e sonori. Poi ci sono i fragorosi groove ipnotici di Tacuma. Questi elementi gettato le basi per jam nello stile del migliore Miles Davis elettrico, ma con un abbandono più tipico del free jazz, con un interplay tra la doppia batteria e il basso e la chitarra che spesso porta ritmicamente anche in territori più tipicamente africaneggianti, un afro-beat pulsante e insistente che fa capolino continuamente.
Ciò che domina in generale è una sorta di “Black Music” totale, in alcuni dei suoi elementi più viscerale ed espressivi, in un incontro continuo tra blues e funk . Ma ci sono anche momenti più astratti, con delicati dialoghi strumentali, che poi improvvisamente si muovono verso esplorazioni ritmiche su lunghi pedali, arcigni ed insistenti.
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È inoltre possibile godere della finezza e bravura di Max e Federico nel mescolare tra loro le comuni radici jazz e rock, e la loro destrezza e competenza nel mantenere sempre un beat a due fisico ma ricercato, preciso, fragoroso, e la chitarra di Simone, con i suoi infiniti passaggi armonici e solisti e l’uso intelligente degli effetti,con svolte ed invenzioni che spesso riesce a imprimere alla musica del gruppo.
“La musica è un linguaggio universale”, afferma J. Tacuma soddisfatto di questa session a base di “conversazioni” con musicisti di un altro paese, come dargli torto?Piero Bittolo Bon : Alto & Baritone Saxophone
Simone Massaron : Electric & Baritone Guitars, Loops
Jamaaladeen Tacuma : Electric Bass
Federico Scettri : Drums
Massimiliano Sorrentini : Drums

Piero Bittolo Bon is one of Italian Jazz’s youngest and most acclaimed rising stars. A mostly self-taught player, he mainly plays alto but is also at ease on baritone, bass clarinet, contralto, clarinet and flute. Passionate and vibrant, his music reverberates with echoes of the best of free jazz, “fire music”, torrid improvisations, sharp attacks and continuous inventions bar after bar.
Member of El Gallo Rojo collective, he collaborated with some of the best italian creative musicians  (Danilo Gallo, Zeno de Rossi, Beppe Scardino, Enrico Terragnoli, Stefano Senni, Francesco Bigoni, Tiziana Ghiglioni, Tiziano Tononi, Daniele Cavallanti, Francesco Cusa,  Domenico Caliri,  Giovanni Maier, U.T. Gandhi, Simone Massaron, Silvia Bolognesi  among others) and with overseas stars like Anthony Braxton, Uri Caine, John Tchicai, Jamaaladeen Tacuma, Jessica Lurie, Vincent Davis and Ernest Dawkins, and he also is in the berlinese avant-garde jazz scene, often playing in the city with musicians like Gerhard Gschloessl, Christian Lillinger, Tristan Honsinger and many others.
Piero has always had a long-standing affair going on with the electric bass, which he played at the beginning of his musical journey in funk, reggae, and rock bands, before totally committing himself to improvised music.
Given these premises, it seemed natural that sooner or later he would somehow connect his various passions on his new project, “Mucho Acustica” a totally improvised and powerful session by Piero’s new band “The Original Pigneto Stompers”, with double drums, electric guitars and special guest electric bass giant Jamaaladeen Tacuma.
Tacuma, defined by guitar ace Marc Ribot as a “funk hurricane”, has a glorious past in Ornette Coleman’s Prime Time band, where he contributed to the music of legendary albums as Body Meta or Dancing in your Head. With his heavy recipe of funk and groove oriented bass lines and free music, he has taken part over the years in many other musical projects, not just jazz and funk.
The rest of the band is completed by guitar player Simone Massaron, and drummers Federico Scettri and Max Sorrentini, young but experienced musicians on the forefront of the best Italian jazz and avant-guard scenes.
“Mucho Acustica” is definitely filled with many moods and strong musical statements. The good feeling among the musicians was immediate and the energy was running from the very first takes.
There’s a dominating vibe, which is a mix two sources. First there’s Piero his sounds are proud and fierce, dark and austere, always serching even physically for his limits and the way to go beyond them. Then there are the thunderous hypnotic electric grooves of Tacuma. These sounds set the base for some layers of “Electric Miles” oriented jams, but with an overall self-abandon more typical of free jazz, with a double drum and guitar interplay that often even moves rhythmically into Afro territories, heavy and light at the same time. What dominates is “Black Music” and some of its more visceral elements and expressions, with furious electric rides and blues and funk meetings. But there are also abstract moments of delicate instrumental dialogues, that suddenly move into rhythmic explorations and long trancey pedals, dry and raucous.
You can also enjoy Max and Federico’s respective finesse in mixing their jazz and rock improvisational roots and skills, and their dexterity in avoiding clichés and keeping the beat precise and fresh, and Simone’s endless tone and harmonic ability in delivering mind blowing solos and various unexpected turning points over many tracks.
“Music is a universal language” says J.Tacuma about this pleasant session, and on his “conversations” with these players from another country he’s absolutely right!