It’s old news by now that the ’70s are back in a big way. Italian bassist Giovanni Maier has boned up on the fusion masters, and this two- disc set featuring his Technicolor quartet displays the lessons he has learned. But while he has been an attentive student, he hasn’t heeded the cautionary tales his forebears provide, and there is much here that stumbles over the familiar obstacles of excess and indulgence. Aside from three group improvisations, all of the tunes were penned by Maier, and the Weather Report influence is never out of mind for long, even when the music visits the outerspace orbit of Sun Ra’s Arkestra. The tunes split fairly evenly between atmospheric jams and pop-funk grooves, the former ending up the more successful; Maier’s melodies strive for Joe Zawinul-style hummability but veer toward anthemic simplicity, resulting too often in bubblegum-prog that cloys rather than catches. On disc one, Featuring Marc Ribot, Maier creates settings for the Downtown guitar virtuoso and Italian counterpart Simone Massaron to roam free, for better or worse. Ribot gets the chance to show off several of his familiar guises, from bludgeoning metal gymnastics to mournful folk-sure twang. He pairs well here with Alfonso Santimone, whose laptop conjures a decaying industrial landscape, which frames some of the guitarist’s harshest explorations. The second disc, A Turtle Soup, foregoes the guest stars and let the quartet come to the fore. Throughout both discs, Maier cedes the spotlight, especially to his dual-keyboard frontline: Giorgio Pacorig on Rhodes and Farfisa and Santimone on a variety of modern and retro devices. But the leader’s subtle work is the group’s backbone, at times beating in lockstep with drummer Zeno de Rossi, at others scything melodic paths through the synth-drone undergrowth.It’s old news by now that the ’70s are back in a big way. Italian bassist Giovanni Maier has boned up on the fusion masters, and this two- disc set featuring his Technicolor quartet displays the lessons he has learned. But while he has been an attentive student, he hasn’t heeded the cautionary tales his forebears provide, and there is much here that stumbles over the familiar obstacles of excess and indulgence. Aside from three group improvisations, all of the tunes were penned by Maier, and the Weather Report influence is never out of mind for long, even when the music visits the outerspace orbit of Sun Ra’s Arkestra. The tunes split fairly evenly between atmospheric jams and pop-funk grooves, the former ending up the more successful; Maier’s melodies strive for Joe Zawinul-style hummability but veer toward anthemic simplicity, resulting too often in bubblegum-prog that cloys rather than catches. On disc one, Featuring Marc Ribot, Maier creates settings for the Downtown guitar virtuoso and Italian counterpart Simone Massaron to roam free, for better or worse. Ribot gets the chance to show off several of his familiar guises, from bludgeoning metal gymnastics to mournful folk-sure twang. He pairs well here with Alfonso Santimone, whose laptop conjures a decaying industrial landscape, which frames some of the guitarist’s harshest explorations. The second disc, A Turtle Soup, foregoes the guest stars and let the quartet come to the fore. Throughout both discs, Maier cedes the spotlight, especially to his dual-keyboard frontline: Giorgio Pacorig on Rhodes and Farfisa and Santimone on a variety of modern and retro devices. But the leader’s subtle work is the group’s backbone, at times beating in lockstep with drummer Zeno de Rossi, at others scything melodic paths through the synth-drone undergrowth.
Archivio mensile:Gennaio 2009
Rings Of Fire – Buscadero
In questa rubrica, non molto spesso ci occupiamo di jazz e dintorni, so- prattutto perché il sottoscritto non è un vero esperto in materia. La scena italiana è però vitalissima, con musicisti ed etichette di valore veramente eccelso. E’ il caso delle produzioni della Long Song Records ad esempio, un’etichetta gestita con grande passione e che si sta imponendo sempre più tra gli appassionati di musica senza steccati. Come prova esemplare di quanto stiamo dicendo, arriva in nostro soccorso l’ultimo parto escogitato da Fabrizio Perissinotto per la sua label: si tratta di un album firmato a quattro mani dal sassofonista Daniele Cavallanti e dal batterista e percussionista Tiziano Tononi. In Rings Of Fire (Long Song/Audioglobe), i due sono attorniati da un manipolo di ottimi musicisti, dalla strepitosa violinista Jenny Scheinman al percussionista Pacho, per arrivare ad autentici astri nascenti dell’avant-jazz nostrano come Achille Succi (clarinetto basso e sax alto), Emanuele Parrini (viola), Massimo Mariani (chitarra elettrica) e Giovanni Maier (contrabbasso e basso elettrico). Le due mirabolanti suite che riempoino i quasi ottanta minuti del disco – divise in svariate tracce, con la prima a firma Cavallanti e la seconda opera di Tononi – vivono dell’incredibile dialogo che riescono ad instaurare fra loro questi favolosi strumentisti. La sfida – vinta pienamente – era riuscire ad armonizzare [e parti scritte e pre-arrangiate a monte, con il funambolico lirismo ed estro derivante dalle improvvisazioni. Quello che alla fine si può sentire fra questi “solchi” è una musica dal grande dinamismo, dotata di una seducente visionarietà, in cui non solo gli strumenti, ma anche le varie suggestioni musicali – ci sono evidenti tracce di jazz coltraniano, dissonanze avant, sedimentazioni cameristiche, a tratti persino qualche spolverata rock, tra le altre cose – s’incastrano con una perfezione matematica che non suona mai fredda e calcolata, ma che piuttosto, in qualsiasi momento, è capace di sviluppare un discorso musicare caldo, coerente, altamente creativo ed illuminato. Spero di essere riuscito ad incuriosirvi a sufficienza, ne vale la pena. (****)In questa rubrica, non molto spesso ci occupiamo di jazz e dintorni, so- prattutto perché il sottoscritto non è un vero esperto in materia. La scena italiana è però vitalissima, con musicisti ed etichette di valore veramente eccelso. E’ il caso delle produzioni della Long Song Records ad esempio, un’etichetta gestita con grande passione e che si sta imponendo sempre più tra gli appassionati di musica senza steccati. Come prova esemplare di quanto stiamo dicendo, arriva in nostro soccorso l’ultimo parto escogitato da Fabrizio Perissinotto per la sua label: si tratta di un album firmato a quattro mani dal sassofonista Daniele Cavallanti e dal batterista e percussionista Tiziano Tononi. In Rings Of Fire (Long Song/Audioglobe), i due sono attorniati da un manipolo di ottimi musicisti, dalla strepitosa violinista Jenny Scheinman al percussionista Pacho, per arrivare ad autentici astri nascenti dell’avant-jazz nostrano come Achille Succi (clarinetto basso e sax alto), Emanuele Parrini (viola), Massimo Mariani (chitarra elettrica) e Giovanni Maier (contrabbasso e basso elettrico). Le due mirabolanti suite che riempoino i quasi ottanta minuti del disco – divise in svariate tracce, con la prima a firma Cavallanti e la seconda opera di Tononi – vivono dell’incredibile dialogo che riescono ad instaurare fra loro questi favolosi strumentisti. La sfida – vinta pienamente – era riuscire ad armonizzare [e parti scritte e pre-arrangiate a monte, con il funambolico lirismo ed estro derivante dalle improvvisazioni. Quello che alla fine si può sentire fra questi “solchi” è una musica dal grande dinamismo, dotata di una seducente visionarietà, in cui non solo gli strumenti, ma anche le varie suggestioni musicali – ci sono evidenti tracce di jazz coltraniano, dissonanze avant, sedimentazioni cameristiche, a tratti persino qualche spolverata rock, tra le altre cose – s’incastrano con una perfezione matematica che non suona mai fredda e calcolata, ma che piuttosto, in qualsiasi momento, è capace di sviluppare un discorso musicare caldo, coerente, altamente creativo ed illuminato. Spero di essere riuscito ad incuriosirvi a sufficienza, ne vale la pena. (****)
Rings Of Fire – Rockerilla
Per un amante del Miles Davis più sperimentale e free (ma mettiamoci dentro anche l’Ornette Coleman più innovativo) parlare di “Rings of Fire” è come incontrare un vecchio amico, la stessa familiarità di un rapporto che non ha bisogno di convenevoli, ma che si nutre di abbracci, sorrisi e buone chiacchiere. Non sfugge a questa considerazione la nuova collaborazione tra il sassofonista Daniele Cavallanti e il percussionista Tiziano Tononi, due nomi bene conosciuti nel circuito jazz italiano. Un incontro artistico coraggioso e stimolante che, ancora una volta, ma non ce n’era bisogno, colloca la Long Song come una delle più importanti in Italia tra le etichette attente ai nuovi fermenti del jazz elettrico e della musica di avanguardia. Un coraggio che non smetteremo mai di elogiare per la passione e la qualità delle produzioni Anche per “Rings Of Fire’ non si tratta di un disco di immediata assimilazione, perlomeno per chi non bazzica abitualmente le strade tortuose ma soddisfacenti di cui abbiamo parlato in precedenza. Un disco diviso in due parti: una prima dedicata sembra a suggestioni cinematografiche, trattandosi di sei “Faces”, che hanno quasi tutte come titoli i nomi di registi (“Cassavetes” e “Jannush” le più riuscite), la seconda una lunga suite in tre elementi che va ascoltata, perché descriverla sarebbe riduttivo, tanta la quantità di cambi di tempo, idee, fraseggi, stili che la compongono. E’ proprio questo il modo per amare un disco come “Rings Of Fire”, perdersi tra le sue note.Per un amante del Miles Davis più sperimentale e free (ma mettiamoci dentro anche l’Ornette Coleman più innovativo) parlare di “Rings of Fire” è come incontrare un vecchio amico, la stessa familiarità di un rapporto che non ha bisogno di convenevoli, ma che si nutre di abbracci, sorrisi e buone chiacchiere. Non sfugge a questa considerazione la nuova collaborazione tra il sassofonista Daniele Cavallanti e il percussionista Tiziano Tononi, due nomi bene conosciuti nel circuito jazz italiano. Un incontro artistico coraggioso e stimolante che, ancora una volta, ma non ce n’era bisogno, colloca la Long Song come una delle più importanti in Italia tra le etichette attente ai nuovi fermenti del jazz elettrico e della musica di avanguardia. Un coraggio che non smetteremo mai di elogiare per la passione e la qualità delle produzioni Anche per “Rings Of Fire’ non si tratta di un disco di immediata assimilazione, perlomeno per chi non bazzica abitualmente le strade tortuose ma soddisfacenti di cui abbiamo parlato in precedenza. Un disco diviso in due parti: una prima dedicata sembra a suggestioni cinematografiche, trattandosi di sei “Faces”, che hanno quasi tutte come titoli i nomi di registi (“Cassavetes” e “Jannush” le più riuscite), la seconda una lunga suite in tre elementi che va ascoltata, perché descriverla sarebbe riduttivo, tanta la quantità di cambi di tempo, idee, fraseggi, stili che la compongono. E’ proprio questo il modo per amare un disco come “Rings Of Fire”, perdersi tra le sue note.