Nicola Cipani è nato a Losanna nel 1965, è cresciuto a Milano, ha studiato filologia classica a Berlino e si è trasferito negli Stati Uniti nel 1998. Vive a Brooklyn e insegna alla New York University. Suona il pianoforte da più di trent’anni.Nicola Cipani was born in Lausanne in 1965, grew up in Milan, studied classical philology in Berlin, and moved to the United States in 1998. He now lives in Brooklyn and teaches at New York University. He has been playing piano for over thirty years.
Archivio mensile:Luglio 2008
All About Jazz Italia
I due chitarristi americani che firmano questo bel progetto, nato nel nostro paese, sono un po’ le due facce della stessa medaglia che ben rappresenta lo stato di ottima salute della parte più creativa della moderna chitarra derivata dal jazz e ormai abituale frequentatrice del mondo delle avanguardie. L’album è diviso in due sezioni (acustic side ed electric side) che richiamano la scansione alla quale eravamo abituati in epoca vinile. Le registrazioni sono state effettuate nello studio New Art di Uboldo, nei dintorni della capitale lombarda, a fine aprile del 2006. Il missaggio è stato effettuato da Fabrizio Perissinotto con l’aiuto, proveniente da oltreoceano, dei due musicisti stessi. Anche la masterizzazione è stata fatta a Milano e quindi il titolo è ampiamente giustificato, anche perché la mente al lavoro dietro al progetto è indubbiamente quella del giovane chitarrista italiano Simone Massaron.
L’apporto decisamente più irsuto di Elliott Sharp prende il sopravvento nella parte acustica, mentre la chitarra nervosa e irriverente di Nels Cline sembra volare con più energia nella parte elettrica, anche se va detto che spesso e volentieri è difficile distinguere il contributo dell’uno rispetto a quello dell’altro. I due sono responsabili anche delle composizioni che apparentemente sono semplici bozzetti che prendono forma direttamente in studio di registrazione. E’ il trionfo del principio della composizione istantanea che spesso domina nelle lande della musica d’avanguardia e che comporta il rischio di germogli che possono velocemente inaridire se viene affidata a mani e menti non preparate.
Non è evidentemente il caso di questo album e di questi due musicisti: loro sono al di sopra di ogni sospetto. Per loro parla una lunghissima storia di musica coraggiosa e creativa, capace di creare dal nulla situazioni meravigliosamente dense di stimoli e colori. E questa collaborazione italiana sembra essere colta come l’occasione perfetta per un incontro in territorio neutrale che serve per fare il punto sulle rispettive storie, per incontrare l’anima di New York (Sharp) e quella di Los Angeles (Cline), per fondere la sperimentazione più rigorosa con le fantasia più fervida.
Un incontro che non è mai uno scontro, anche nei momenti che lasciano esplodere fragorosamente l’energia accumulata con una pazienza certosina che sembra improvvisamente evaporare per lasciare spazio agli istinti selvaggi più nascosti che si scatenano alla ricerca del punto di fusione.I due chitarristi americani che firmano questo bel progetto, nato nel nostro paese, sono un po’ le due facce della stessa medaglia che ben rappresenta lo stato di ottima salute della parte più creativa della moderna chitarra derivata dal jazz e ormai abituale frequentatrice del mondo delle avanguardie. L’album è diviso in due sezioni (acustic side ed electric side) che richiamano la scansione alla quale eravamo abituati in epoca vinile. Le registrazioni sono state effettuate nello studio New Art di Uboldo, nei dintorni della capitale lombarda, a fine aprile del 2006. Il missaggio è stato effettuato da Fabrizio Perissinotto con l’aiuto, proveniente da oltreoceano, dei due musicisti stessi. Anche la masterizzazione è stata fatta a Milano e quindi il titolo è ampiamente giustificato, anche perché la mente al lavoro dietro al progetto è indubbiamente quella del giovane chitarrista italiano Simone Massaron.
L’apporto decisamente più irsuto di Elliott Sharp prende il sopravvento nella parte acustica, mentre la chitarra nervosa e irriverente di Nels Cline sembra volare con più energia nella parte elettrica, anche se va detto che spesso e volentieri è difficile distinguere il contributo dell’uno rispetto a quello dell’altro. I due sono responsabili anche delle composizioni che apparentemente sono semplici bozzetti che prendono forma direttamente in studio di registrazione. E’ il trionfo del principio della composizione istantanea che spesso domina nelle lande della musica d’avanguardia e che comporta il rischio di germogli che possono velocemente inaridire se viene affidata a mani e menti non preparate.
Non è evidentemente il caso di questo album e di questi due musicisti: loro sono al di sopra di ogni sospetto. Per loro parla una lunghissima storia di musica coraggiosa e creativa, capace di creare dal nulla situazioni meravigliosamente dense di stimoli e colori. E questa collaborazione italiana sembra essere colta come l’occasione perfetta per un incontro in territorio neutrale che serve per fare il punto sulle rispettive storie, per incontrare l’anima di New York (Sharp) e quella di Los Angeles (Cline), per fondere la sperimentazione più rigorosa con le fantasia più fervida.
Un incontro che non è mai uno scontro, anche nei momenti che lasciano esplodere fragorosamente l’energia accumulata con una pazienza certosina che sembra improvvisamente evaporare per lasciare spazio agli istinti selvaggi più nascosti che si scatenano alla ricerca del punto di fusione.
Breaking News On Cadence
Italy’s Long Song label boasts an internationally robust roster of musicians, several of which appear on these two fine releases. Both discs boast fine improvisation and bring new contexts to the idea of composition. Massaron’s offering (1) is obviously indebted to the New York school of 1960s free Jazz, as the first two tracks demonstrate. Any pulse is almost immediately abandoned in favor of a very convinc- ing homage to Ayler or late Trane, saxophonist Cavallanti sounding particularly fresh and vibrant here. Beyond such allusions, the group handles prescribed forms with grace and finesse, such as the scintillatingly sluggish and bluesy “Louisiana Rain,” which sports Massaron and Sharp’s heated guitar interplay. On the other end of the spectrum is the nostalgic “Ruth’s Tail,” with just Massaron and Cavallanti to carry the tune’s first part along.Italy’s Long Song label boasts an internationally robust roster of musicians, several of which appear on these two fine releases. Both discs boast fine improvisation and bring new contexts to the idea of composition. Massaron’s offering (1) is obviously indebted to the New York school of 1960s free Jazz, as the first two tracks demonstrate. Any pulse is almost immediately abandoned in favor of a very convinc- ing homage to Ayler or late Trane, saxophonist Cavallanti sounding particularly fresh and vibrant here. Beyond such allusions, the group handles prescribed forms with grace and finesse, such as the scintillatingly sluggish and bluesy “Louisiana Rain,” which sports Massaron and Sharp’s heated guitar interplay. On the other end of the spectrum is the nostalgic “Ruth’s Tail,” with just Massaron and Cavallanti to carry the tune’s first part along.
Duo Milano-Cadence
Entirely different but equally fascinating is the often frenetic duo o Elliott Sharp and Nels Cline (2). These two veteran improvisers can’t help but excel, and communication is astonishing throughout these ten widely varied tracks. The first five are acoustic, some sporting well-placed and finely executed slidework. This is often complimented by tasty bends of a pan-Eastern variety, conjuring shades of vintage Shakti with John McLaughlin. Far from anything approaching Indian classical music though, the language is more indebted to Derek Bailey or Fred Frith in its shock, rebound and shock harmonic-drenched pointillism. Even the few liquified moments, presumably Ebo-induced, do not disturb the overall aes- thetic. The succeeding tracks find pointillistic concerns subsumed, ubmerged, flow and extended tones supplanting the attack-driven gestalt of the first half. Delay-drenched clanks, metallic wrenchings, and springy retractions keep the pieces from becoming too static, and the results are satisfyingly meditative. AMM’s noisier work is certainly a guiding force, but oddly gentle sounds bring tonal implications that add another layer of interest. Both discs are extremely well played, a comfort in this time when post-everything inclusivity far too often takes the place of bona fide musicianship. This is a label to watch, and I look forward to further releases.Entirely different but equally fascinating is the often frenetic duo o Elliott Sharp and Nels Cline (2). These two veteran improvisers can’t help but excel, and communication is astonishing throughout these ten widely varied tracks. The first five are acoustic, some sporting well-placed and finely executed slidework. This is often complimented by tasty bends of a pan-Eastern variety, conjuring shades of vintage Shakti with John McLaughlin. Far from anything approaching Indian classical music though, the language is more indebted to Derek Bailey or Fred Frith in its shock, rebound and shock harmonic-drenched pointillism. Even the few liquified moments, presumably Ebo-induced, do not disturb the overall aes- thetic. The succeeding tracks find pointillistic concerns subsumed, ubmerged, flow and extended tones supplanting the attack-driven gestalt of the first half. Delay-drenched clanks, metallic wrenchings, and springy retractions keep the pieces from becoming too static, and the results are satisfyingly meditative. AMM’s noisier work is certainly a guiding force, but oddly gentle sounds bring tonal implications that add another layer of interest. Both discs are extremely well played, a comfort in this time when post-everything inclusivity far too often takes the place of bona fide musicianship. This is a label to watch, and I look forward to further releases.
Jim Campilongo e Nels Cline insieme sul palco per una jam
Guitar aces and label friends Jim Campilongo jammed together in San Francisco on the 7th of July . The Jim Campilongo Trio and The Scott Amendola Band (with Nels) were sharing the gig that night. Why are we writing about this? Because Long Song has had the idea and has been trying for a while to put together a quartet session with Jim and Nels plus rhythm section (Scott A. on drums). The guys are all very interested into doing this but Nels’ commitment to touring with Wilco always postpones the idea. In any case this should have been the very first time they finally played together, and Jim was so kind to send use this picture[/lang_
I nostri amici e grandissimi chitarristi Jim Campilongo e Nels Cline hanno suonato insieme a San Francisco il 7 luglio (la serata vedeva esibirsi il Jim Campilongo Trio e poi la Scott Amendola Band, con Nels). Perché scriviamo questo, e cosa ha a che fare con noi? la Long Song sta cercando da tempo di registrare una session in quartetto con Nels e Jim più sezione ritmica (sicuramente con Scott Amendola alla batteria). I musicisti stessi sono molto interessati a realizzare questo progetto, ma i continui impegni di Nels con i Wilco lo rimandano a non si sa ancora quando. In ogni caso pubblichiamo la foto che Jim ci ha gentilmente mandato, visto che questa è stata comunque la prima volta che i due hanno suonato insieme
Your Very Eyes – mescalina.it
Il suono, l’eco suscitano emozioni che si tramutano in movimento. Questo movimento le amplifica e le rende visibili. Non hanno contrasti ma solo e sempre confluenze, sono causa ed effetto e hanno un procedere circolare e non si arrestano mai. Sono i pistoni del cosmo.
Quarantaquattro minuti sospesi in una libertà metafisica improvvisa sperimentale, antigravitazionale, onirica e pindarica. Quarantaquattro minuti dove sembra che l’appartenenza a questo mondo materialista sia solo una sfocata diapositiva ossidata che rotea nel caricatore del tempo.
Registrato tra le mura antichissime di una chiesa rupestre del X secolo (S.Lucia delle Malve a Matera), questo “Your very Eyes” è un album dove il sax soprano di Gianni Mimmo, leader dell’Amirani Records, e i rumors di Xabier Iriondo si incontrano, spaziano, fluttuano nell’immateriale apparente e si uniscono carnalmente in un unico corpo astrale, fatto di ancia e lo-fi devices, eco ancestrali e strumenti a corda come il taisho koto e lo mahal metak.
Un progetto free che pare dialogare in millenni di onde magnetiche a tu per tu con una sacralità remota, come a risvegliare antiche divinità silvestri di madre natura, e con loro respirare, ansimare e ricongiungersi nell’essenzialità del ritmo universale. Sfruttando l’eco naturale della pietra nel silenzio dell’alba Matese, il percorso sperimentale di ricerca dei due musicisti si snoda tra respiri profondi, solos di sax ed effetti gracchianti, interferenze, scariche elettrostatiche, cinguettii che rinfrescano la memoria sulle introspezioni di Nono, il Battiato atavico, Steve Lacy, dando quello stato d’ascolto spartano, minimalista, nudo – addirittura biologico – già votato a condividere il suono naturalista con una avanguardia di una certa Kosmique Music tedesca degli anni 70.
Xaber Iriondo, grande chitarrista dai tanti trascorsi rock (Afterhours, Six Minute War Madness, A Short Apnea) e l’artigiano-musicista Gianni Mimmo – il cui tocco di sax porta alla grande scuola di Archie Sheep – in questo loro “Your Very Eyes” catturano e ricreano l’humus basale della musica, dal nucleo della sua modulazione, ovvero respiro, cadenza, armonia ed equilibrio, tra il moderno e il remoto; un soffio di chakra racchiuso in nove sequenze dal forte retrogusto propiziatorio, alla ricerca della seduzione naturale dell’antico “free-bop lo-fi” sciamanico.Il suono, l’eco suscitano emozioni che si tramutano in movimento. Questo movimento le amplifica e le rende visibili. Non hanno contrasti ma solo e sempre confluenze, sono causa ed effetto e hanno un procedere circolare e non si arrestano mai. Sono i pistoni del cosmo.
Quarantaquattro minuti sospesi in una libertà metafisica improvvisa sperimentale, antigravitazionale, onirica e pindarica. Quarantaquattro minuti dove sembra che l’appartenenza a questo mondo materialista sia solo una sfocata diapositiva ossidata che rotea nel caricatore del tempo.
Registrato tra le mura antichissime di una chiesa rupestre del X secolo (S.Lucia delle Malve a Matera), questo “Your very Eyes” è un album dove il sax soprano di Gianni Mimmo, leader dell’Amirani Records, e i rumors di Xabier Iriondo si incontrano, spaziano, fluttuano nell’immateriale apparente e si uniscono carnalmente in un unico corpo astrale, fatto di ancia e lo-fi devices, eco ancestrali e strumenti a corda come il taisho koto e lo mahal metak.
Un progetto free che pare dialogare in millenni di onde magnetiche a tu per tu con una sacralità remota, come a risvegliare antiche divinità silvestri di madre natura, e con loro respirare, ansimare e ricongiungersi nell’essenzialità del ritmo universale. Sfruttando l’eco naturale della pietra nel silenzio dell’alba Matese, il percorso sperimentale di ricerca dei due musicisti si snoda tra respiri profondi, solos di sax ed effetti gracchianti, interferenze, scariche elettrostatiche, cinguettii che rinfrescano la memoria sulle introspezioni di Nono, il Battiato atavico, Steve Lacy, dando quello stato d’ascolto spartano, minimalista, nudo – addirittura biologico – già votato a condividere il suono naturalista con una avanguardia di una certa Kosmique Music tedesca degli anni 70.
Xaber Iriondo, grande chitarrista dai tanti trascorsi rock (Afterhours, Six Minute War Madness, A Short Apnea) e l’artigiano-musicista Gianni Mimmo – il cui tocco di sax porta alla grande scuola di Archie Sheep – in questo loro “Your Very Eyes” catturano e ricreano l’humus basale della musica, dal nucleo della sua modulazione, ovvero respiro, cadenza, armonia ed equilibrio, tra il moderno e il remoto; un soffio di chakra racchiuso in nove sequenze dal forte retrogusto propiziatorio, alla ricerca della seduzione naturale dell’antico “free-bop lo-fi” sciamanico.
Dandelions On Fire – sonicfrontiers.net
Simone Massaron boasts an impressive circle of musical acquaintances that includes Nels Cline, Marc Ribot , and Steve Piccolo. Judging by the diversity, adventure, and pure talent put into Dandelions on Fire, you can begin to understand why we’ll start paying just as much attention to Massaron as his respective musical cohorts.
Dandelions… runs the gamut in terms of depth, composition, and hauntingly precise vocal accompaniment. Carla Bozulich’s voice is as clean and as throaty as it’s ever been, sliding over Massaron’s compositions like a thick silk. Despite being born and raised in Italy, and being a revered fretless jazz guitar player, Massaron’s ability to channel the grime and soul right off any southern blues ballad is the most impressive aspect of this album. The tracks “Never Saw Your Face” and “Five Dollar Lottery” are quintessential examples of this ability. “Never Saw Your Face” opens the album and shows you just how deep Massaron can go towards the abysmal side of emotion, while “Five Dollar Lottery” hits you at the midway point, reminding you what he still has in store. Too dark for any blues club, and too straight-forward for any jazz club, these songs are right at home in the grittiest lamp-lit back-alley.
The Massaron machine doesn’t stop at just jazz and blues, though. Several of the songs would fit almost anyone looking for a folk background. He trades in his arsenal of guitars for a banjo and taps into a very legitimate backcountry sound. “Love Me Mine” and “My Hometown” are a couple of upbeat little ditties that keep the album refreshing and light, for when you need a break from the heavier serious side conveyed by the other tracks.
By the time you get to the last track on the album, you’ve heard jazz, blues, folk, and ballads that hold their own, and answer to nothing. It isn’t until the closer, “I Saw Him,” that you get to experience Massaron and Co.’s throat-grabbing improvisational skills. It broods through ambience, falters in and out of subconsciously formed rhythms, and raises the hair on your neck through Bozulich’s blatant yells. One might get the impression that she’s narrating the story of an apparition so terrifying that it’d send someone running through the bayous of Mississippi in the middle of the night.
I couldn’t help but feel that the material presented by Massaron’s Dandelions on Fire would be at home on any of the Tom Waits’ albums from the past decade. I couldn’t find any direct correlation from Massaron to Waits through background digging, and that’s what makes this album even better. It bears the almost unmistakable variances of an extremely seasoned veteran, yet makes no apologies when it comes to claiming its individuality. This is one uniquely diverse collection that’s sure to satiate any fan of Mr. Waits or Nels Cline, but would likely also be in frequent rotation of any dedicated Carla Bozulich fan.Simone Massaron boasts an impressive circle of musical acquaintances that includes Nels Cline, Marc Ribot , and Steve Piccolo. Judging by the diversity, adventure, and pure talent put into Dandelions on Fire, you can begin to understand why we’ll start paying just as much attention to Massaron as his respective musical cohorts.
Dandelions… runs the gamut in terms of depth, composition, and hauntingly precise vocal accompaniment. Carla Bozulich’s voice is as clean and as throaty as it’s ever been, sliding over Massaron’s compositions like a thick silk. Despite being born and raised in Italy, and being a revered fretless jazz guitar player, Massaron’s ability to channel the grime and soul right off any southern blues ballad is the most impressive aspect of this album. The tracks “Never Saw Your Face” and “Five Dollar Lottery” are quintessential examples of this ability. “Never Saw Your Face” opens the album and shows you just how deep Massaron can go towards the abysmal side of emotion, while “Five Dollar Lottery” hits you at the midway point, reminding you what he still has in store. Too dark for any blues club, and too straight-forward for any jazz club, these songs are right at home in the grittiest lamp-lit back-alley.
The Massaron machine doesn’t stop at just jazz and blues, though. Several of the songs would fit almost anyone looking for a folk background. He trades in his arsenal of guitars for a banjo and taps into a very legitimate backcountry sound. “Love Me Mine” and “My Hometown” are a couple of upbeat little ditties that keep the album refreshing and light, for when you need a break from the heavier serious side conveyed by the other tracks.
By the time you get to the last track on the album, you’ve heard jazz, blues, folk, and ballads that hold their own, and answer to nothing. It isn’t until the closer, “I Saw Him,” that you get to experience Massaron and Co.’s throat-grabbing improvisational skills. It broods through ambience, falters in and out of subconsciously formed rhythms, and raises the hair on your neck through Bozulich’s blatant yells. One might get the impression that she’s narrating the story of an apparition so terrifying that it’d send someone running through the bayous of Mississippi in the middle of the night.
I couldn’t help but feel that the material presented by Massaron’s Dandelions on Fire would be at home on any of the Tom Waits’ albums from the past decade. I couldn’t find any direct correlation from Massaron to Waits through background digging, and that’s what makes this album even better. It bears the almost unmistakable variances of an extremely seasoned veteran, yet makes no apologies when it comes to claiming its individuality. This is one uniquely diverse collection that’s sure to satiate any fan of Mr. Waits or Nels Cline, but would likely also be in frequent rotation of any dedicated Carla Bozulich fan.
Simone Massaron + Marc Ribot Duo
Simone Massaron + Marc Ribot Duo: 17 luglio, Ortosonico Pavia, ore 22.
Straordinario e unico concerto in duo di Simone Massaron con Marc Ribot. per ulteriori informazioni www.ortosonico.com
July, 17 – Ortosonico Pavia h.10pm.
Live performance with Simone Massaron and Marc Ribot. For further informations please visit
Dandelions On Fire guadagna la copertina di mescalina.it
Il portale di musica mescalina.it ha dedicato la homepage del n°33 a Dandelions On Fire, il disco di Simone Massaron con Carla Bozulich. La recensione è disponibile nella zona Press del nostro sito.
The music-related site mescalina.it features on his #33 homepage a tribute to Dandelions On Fire, the new album by Simone Massaron feat. Carla Bozulich. The related press review is avaiable clicking above on “Press”.
Danelions On Fire – mescalina.it
Tra collaborazioni e lavori in proprio, ci abbiamo quasi fatto l’abitudine al fatto che i dischi di Carla Bozulich siano attribuiti a nomi più o meno diversi a seconda delle occasioni. È stato così per il recente “Hello voyager”, accreditato come Evangelista, e parrebbe essere così anche per questo “Dandelions on fire”.
Attenzione però, perché questo è un album in tutto e per tutto di Simone Massaron, a cui la Bozulich ha prestato “solo” la sua voce e i suoi testi. Il chitarrista milanese è autore in toto del cd in quanto ha composto, arrangiato e suonato il materiale di sua mano, registrando con l’aiuto fondamentale di Zeno De Rossi (batteria), Xabier Iriondo (mahai methak), Andrea Viti (basso) più qualche altro ospite.
Si tratta dunque di un lavoro italiano, che ha però una caratura nettamente superiore alla media delle nostre scene indie-underground o quant’altro: “Dandelions on fire” è un disco di livello internazionale, in cui la voce della Bozulich è perfettamente a suo agio, a tratti anche più libera ed efficace rispetto a quanto fatto con i suoi progetti.
Ad ascoltare il modo in cui la sua indole drammatica rumoristica viene pacificata da fili di melodia autentici, legati saldamente ad un autarchico spirito blues, verrebbe da dire che questo è il disco migliore fatto dalla Bozulich, ma ribadiamo: lei qui si presta essenzialmente come interprete
Gran parte del merito è di Massaron e dei suoi musicisti, che dosano improvvisazioni e raggrumano noise, distorcendo, estraniando, ma senza mai portare i pezzi oltre il proprio limite (cosa che invece la Bozulich tende a fare volentieri quando è in proprio). Ne è così venuto un disco tanto profondo quanto ascoltabile, tanto straziante quanto commovente nella sua oscura bellezza.
L’approccio è quello di una musica americana old time scavata con un’attitudine da ricercatori alternativi odierni: dall’organo a pompa che scorre sotto ad “Never saw your face” al banjo che mordicchia “Love me mine” e così via per quella ballata perduta che è “The getaway man”, è tutto un affondare e risorgere da un umore avant-blues che non a caso a tratti assume qualche connotato spiritual.
Anche nei pezzi più toccanti come “Here in the blue” (“I’m here in the nowhere / I’m here in the blue”) c’è uno spirito insoddisfatto sempre ben sottolineato da chitarre dosate con dovizia, da una batteria che crea spazi e dai lamenti sonori di Iriondo piuttosto che di un violoncello o di qualche loop.
Il grammofono anni ’20 che si sente in “My hometown” è solo uno sfizio che sottolinea l’animo antico di questo nuovo progetto, che speriamo non si fermi a questo singolo episodio. Certo non sarà facile avere ancora a disposizione un’anima nomade come quella della Bozulich: Di tutte le case che la sua voce ha abitato, questa sembra però essere la migliore per come placa quell’identità disturbata che la contraddistingue.
Speriamo che Massaron riesca ad allestire un altro dei suoi spazi in cui alloggiarla.Tra collaborazioni e lavori in proprio, ci abbiamo quasi fatto l’abitudine al fatto che i dischi di Carla Bozulich siano attribuiti a nomi più o meno diversi a seconda delle occasioni. È stato così per il recente “Hello voyager”, accreditato come Evangelista, e parrebbe essere così anche per questo “Dandelions on fire”.
Attenzione però, perché questo è un album in tutto e per tutto di Simone Massaron, a cui la Bozulich ha prestato “solo” la sua voce e i suoi testi. Il chitarrista milanese è autore in toto del cd in quanto ha composto, arrangiato e suonato il materiale di sua mano, registrando con l’aiuto fondamentale di Zeno De Rossi (batteria), Xabier Iriondo (mahai methak), Andrea Viti (basso) più qualche altro ospite.
Si tratta dunque di un lavoro italiano, che ha però una caratura nettamente superiore alla media delle nostre scene indie-underground o quant’altro: “Dandelions on fire” è un disco di livello internazionale, in cui la voce della Bozulich è perfettamente a suo agio, a tratti anche più libera ed efficace rispetto a quanto fatto con i suoi progetti.
Ad ascoltare il modo in cui la sua indole drammatica rumoristica viene pacificata da fili di melodia autentici, legati saldamente ad un autarchico spirito blues, verrebbe da dire che questo è il disco migliore fatto dalla Bozulich, ma ribadiamo: lei qui si presta essenzialmente come interprete
Gran parte del merito è di Massaron e dei suoi musicisti, che dosano improvvisazioni e raggrumano noise, distorcendo, estraniando, ma senza mai portare i pezzi oltre il proprio limite (cosa che invece la Bozulich tende a fare volentieri quando è in proprio). Ne è così venuto un disco tanto profondo quanto ascoltabile, tanto straziante quanto commovente nella sua oscura bellezza.
L’approccio è quello di una musica americana old time scavata con un’attitudine da ricercatori alternativi odierni: dall’organo a pompa che scorre sotto ad “Never saw your face” al banjo che mordicchia “Love me mine” e così via per quella ballata perduta che è “The getaway man”, è tutto un affondare e risorgere da un umore avant-blues che non a caso a tratti assume qualche connotato spiritual.
Anche nei pezzi più toccanti come “Here in the blue” (“I’m here in the nowhere / I’m here in the blue”) c’è uno spirito insoddisfatto sempre ben sottolineato da chitarre dosate con dovizia, da una batteria che crea spazi e dai lamenti sonori di Iriondo piuttosto che di un violoncello o di qualche loop.
Il grammofono anni ’20 che si sente in “My hometown” è solo uno sfizio che sottolinea l’animo antico di questo nuovo progetto, che speriamo non si fermi a questo singolo episodio. Certo non sarà facile avere ancora a disposizione un’anima nomade come quella della Bozulich: Di tutte le case che la sua voce ha abitato, questa sembra però essere la migliore per come placa quell’identità disturbata che la contraddistingue.
Speriamo che Massaron riesca ad allestire un altro dei suoi spazi in cui alloggiarla.